Le sparatorie di massa, in particolare le school shooting (quelle che avvengono appunto nelle scuole, ad opera di studenti, ex-studenti o anche persone esterne), sono una piaga tragicamente frequente negli Stati Uniti, paese nel quale si verifica il numero più alto al mondo di questi massacri.
Si stima che solo dal 2000 al 2023 ci siano stati in totale 483 casi di attacchi con armi da fuoco nelle scuole americane, tra quelli con conseguenze mortali e non. Facendo un rapido calcolo, ci rendiamo conto che si tratta di una media di 21 sparatorie all’anno o, in altre parole, di un attacco ogni 17 giorni circa.
Un numero impressionante, che costringe il personale e gli alunni stessi a prendere contromisure preventive quali addestramenti ed esercitazioni speciali, nonché corsi tenuti da psicologi scolastici che, tra le altre cose, sensibilizzano sulla pericolosità delle armi da fuoco.
Nel 2015 una scuola dell’Indiana è stata dichiarata “la più sicura d’America” dopo aver installato vetri antiproiettile, porte rinforzate, telecamere e pulsanti antipanico direttamente collegati alle stazioni di polizia. Altri istituti, come ad esempio una scuola del Michigan, hanno riprogettato le loro aule con barriere di cemento per consentire agli studenti di nascondersi e trasformato i corridoi in tunnel ricurvi per non lasciare il campo visivo diritto all’eventuale tiratore ed ostacolare il percorso dei proiettili.
I possibili fattori scatenanti di queste tragedie sono molteplici e sono ancora discussi dalle autorità statunitensi, ma sicuramente una causa è da ricercare nell’estrema facilità di accesso all’acquisto e alla detenzione delle armi che ogni cittadino degli USA ha, in virtù del Secondo Emendamento.
Sulla motivazione che invece ha fatto aprire il fuoco alla sedicenne Brenda Ann Spencer nel 1979 sui bambini di una scuola elementare a San Diego, in California, è stata scritta persino una canzone.
La strage alla Cleveland Elementary School di San Diego nel 1979
Brenda Ann Spencer era una ragazzina dai capelli rossi e dalla situazione familiare difficile. La madre, come da dichiarazione della stessa Brenda, “semplicemente non c’era”, e la ragazza viveva da sola con il padre, un alcolista con la passione per le armi.
In casa Spencer non c’era nemmeno un vero letto (Brenda e suo padre dormivano insieme su un materasso buttato sul pavimento), ma era presente praticamente un intero arsenale e quando per il Natale 1978 Brenda domandò in dono una radio, ricevette invece un fucile semiautomatico con mirino telescopico di precisione e ben cinquecento cartucce. Questo regalo, come in seguito dichiarò la Spencer, le fece sospettare in qualche modo che suo padre desiderasse segretamente che la ragazza si togliesse la vita.
Brenda era totalmente disinteressata alla scuola, che marinava spesso, e aveva già manifestato tendenze suicide e una certa ostilità nei confronti delle forze dell’ordine (dalle quali si era già fatta notare per aver sparato con una pistola ad aria compressa sulle finestre della scuola e per alcuni furti con scasso). Non era infrequente sentirle pronunciare frasi come “Voglio fare qualcosa di grosso per apparire in televisione”, oppure “Una di queste mattine verrete a cercarmi”.
Ed effettivamente, la mattina di lunedì 29 gennaio 1979, Brenda decise di non andare a scuola, imbracciò il fucile regalatole dal padre e si appostò alla finestra. L’ingresso della Grover Cleveland Elementary School era proprio di fronte a casa sua e i bambini in fila le apparivano come “anatre nello stagno” o come “una mandria di vacche ciondolanti”.
Non appena il preside Burton Wragg aprì i cancelli per far entrare i piccoli alunni, Brenda aprì invece il fuoco. La ragazzina sparò per venti minuti per un totale di 36 colpi, e dalla strage rimasero feriti 8 bambini e un agente di polizia, accorso sul posto. Il preside Wragg e il custode della scuola Mike Suchar persero invece la vita nel tentativo di proteggere i bimbi. Dopo aver fatto fuoco, Brenda si barricò in casa per diverse ore e ne uscì solo dopo che gli agenti SWAT le promisero un pasto da Burger King.
In seguito alla cattura, alla domanda sul perché avesse messo in atto quel folle massacro, senza mostrare la minima ombra di rimorso rispose solo “I don’t like Mondays”: non mi piacciono i lunedì.
I don’t like Mondays: successo e polemiche intorno alla hit dei Boomtown Rats
“And all the playing’s stopped in the playground now
She wants to play with her toys a while
And school’s out early and soon we’ll be learning
And the lesson today is how to die”
Bob Geldof e Johnnie Fingers della band irlandese The Boomtown Rats si trovavano ad Atlanta, ospiti di una stazione radio universitaria che li intervistava, quando arrivò un telex che informava della sparatoria avvenuta alla Cleveland Elementary School per mano di Brenda Ann Spencer.
La notizia venne letta in diretta e ascoltandola Geldof ne rimase sconvolto: in particolare pensò che l’antipatia verso il lunedì fosse un motivo piuttosto insensato per compiere un atto simile. Una volta tornato in hotel, continuò a rifletterci sopra e scrisse il brano I don’t like Mondays di getto.
La canzone presenta un fortissimo contrasto tra l’apparenza scanzonata (con un intro di pianoforte degno della migliore tradizione musical americana e un ritornello martellante e orecchiabile) e le parole del testo piuttosto crude, che raccontano il fatto di cronaca nera, quasi a voler sottolineare il marcio e il disagio che si nascondono tra le pieghe della società statunitense al di là della facciata patinata e perbenista.
Geldof sosteneva che il brano gli sembrasse la “perfetta canzone senza senso” per raccontare un gesto senza senso con un movente senza senso e che non intendesse strumentalizzare in nessun modo il fatto. A distanza di anni dichiarò però di essersi pentito di averla scritta (nonostante le quattro settimane al primo posto nella classifica britannica, le 500.000 copie vendute nel Regno Unito e i due Ivor Novello Awards vinti nelle categorie Best Pop Song e Outstanding British Lyrics). In primo luogo per mancanza di tatto verso i familiari delle vittime e secondariamente per aver contribuito a rendere famosa la criminale Brenda Ann Spencer, peso che non gli risulta piacevole da portarsi dietro.
Negli Stati Uniti la canzone entrò in classifica al 73esimo posto della Billboard Hot 100, ma venne fortemente boicottata nell’area di San Diego, dove molte radio si rifiutarono di trasmetterla per rispetto alle famiglie colpite dalla tragedia.
La famiglia Spencer invece tentò persino di bandirla in tutto il territorio degli USA, ma senza riuscirci. A tutt’oggi, I don’t like Mondays rappresenta il brano di maggior successo dei Boomtown Rats e nel 2019 il tastierista Johnnie Fingers è riuscito persino a farsi includere come co-autore della canzone (fino a quel momento attribuita al solo Bob Geldof), ricevendo un rimborso sui profitti.
“The silicon chip inside her head gets switched to overload”
Brenda Ann Spencer, a causa dell’efferatezza del suo crimine, è stata processata come un’adulta ed è stata condannata all’ergastolo nel 1980. Durante le perizie psichiatriche le sono state riscontrate epilessia e depressione (per le quali ha ricevuto cure in carcere) e una lesione cerebrale al lobo temporale attribuita a un incidente in bicicletta. È stata tuttavia giudicata capace di intendere e di volere e i test tossicologici per droghe e alcol al momento delle indagini sono stati refertati negativi.
Dal 1993 ha i requisiti per richiedere la libertà condizionata, ma le è stata negata già 5 volte (l’ultima volta nel 2022). Potrà presentare nuovamente istanza nel 2025.
Nonostante Bob Geldof abbia dichiarato di aver ricevuto una lettera da parte della criminale, dove lo ringrazia per averle dato fama (cosa di cui, come già detto, il cantante non va fiero), la Spencer nega di averlo mai contattato.
di Marta “Minako” Pedoni