Ora so che questo titolo può far storcere il naso perché suona un po’ come “il razzismo al contrario”, ma leggetemi senza fermarvi al titolo.
Non è un clickbait, avrei cercato qualcosa di più furbo, invece sono polemica ma coerente.
Da qualsiasi punto di vista guardiamo noi stessi e la storia dell’umanità, c’è sempre una dicotomia tra vincoli esterni e interni.
È una questione oggettiva e letterale, come l’abominio della schiavitù, la prigionia, i campi di concentramento, il colonialismo, l’assenza del riconoscimento dei diritti umani, i dissidenti politici, le dittature, le epurazioni etniche… tutti modi raccapriccianti di esprimere esternamente una coercizione, violenta, abusiva, intollerabile.
Ma è anche una questione soggettiva e interiore, come tutte le battaglie per la salute mentale, per ciò che sentiamo di dover far per chi siamo e dove siamo, per tutto ciò che la società, la famiglia, il lavoro, gli amici si aspettano da noi… e anche queste, seppur diverse, sono catene, sono una costrizione, sono un blocco.
Le catene autoimposte
Per quanto molto diversi e molto lontani, i due lati dell’essere costretti, dell’essere “schiavi”, sono drammi continui e costanti nella storia dell’umanità.
Non li metto sullo stesso piano, ma voglio soffermarmi sulla seconda tipologia, anzitutto perché fare un recap di una pagina degli abusi coercitivi della storia umana è riduttivo e un po’ fine a se stesso. Secondariamente, c’è sempre una sorta di lontananza da questi temi come se non ci tangessero davvero, che non è quel che voglio ora. Ora voglio qualcosa che sentiamo tutti, che condividiamo, per quanto sia comunque difficile da capire e ammettere.
È difficile perché nel mondo frenetico in cui viviamo, con valori sballati e fuori di testa come il profitto e la rendita personale come obiettivo massimo di vita, già è impossibile o quasi fare autoanalisi. Poi a un’età X si scoppia e allora viva la psicanalisi, gli antidepressivi o peggio, si è somatizzato tanto che è troppo tardi.
Uno dei problemi più grandi della contemporaneità sono le catene che ci vengono imposte, o che ci imponiamo da soli e che infine ci strozzano.
Per parlare di ciò, la prendo un attimo alla lontana, per far intendere come, anche alla lontana, le catene possono comparire ovunque.
A costo di suonare un po’ boomer, prendiamo l’esempio del “non si può più dire niente”.
Certo, è lampante che prima di mettere le mani sulla tastiera o aprire bocca bisogna collegare il cervello.
E va benissimo, per carità, la libertà di espressione è una cosa, l’esprimere pensieri sgangherati offensivi e ottusi è tutt’altro.
Ma quanto la “prevenzione” di certi comportamenti non diventa un giogo?
Esame di coscienza, tra sessimo, razzismo e perbenismo
Al solito, bisogna farsi un esame di coscienza e bisogna ammettere cosa si voglia esprimere.
Certo che il razzista è tranquillo e immune dal pensiero di fare un qualcosa di sbagliato nel dire che “devono stare a casa loro”.
Certo che il sessista non si preoccupa di esternare che “sì ma guarda com’era vestita”.
Certo che il finto perbenista neocolonialista indossa un kimono e dice “bella la Corea mangio sempre al sushi anche se sappiamo che sono tutti cinesi”.
Questo genere di pensiero ottuso (talvolta malevolo, talvolta solo ignorante) è ciò che si vuol combattere, ed è ciò che avviene con giornali, informazione, comunicazione, libri, film, serie televisive, musica qualsiasi cosa che trasmetta un messaggio.
Però quest’epoca ha tante colpe, e una delle più grandi è che nel suo essere estremamente complessa, si è optato per il semplicismo.
Lo schema è paradossalmente banale, da vedere e quindi da scansare, eppure si ricade sempre nello stesso loop.
C’è un problema diffuso => si nota il problema => si fa qualcosa per farlo notare a tutti => si trova un concetto breve da far passare a tutti in modo che la comunicazione sia più immediata => si elimina il contesto e il punto di partenza.
Così si fa il giro, e in men che non si dica, un tributo rispettoso e genuino a un’altra cultura diventa appropriazione culturale, un complimento innocente è molestia, una foto di un matrimonio felice con in mano una spada è istigazione alla violenza.
Attenzione, ripeto, non vuol dire che non esistano questi problemi, ma se la medicina è tossica al pari della malattia, non è che la malattia faccia meno schifo, però la medicina va comunque cambiata.
E questo è solo un esempio che si può applicare a una delle millemila imposizioni del mondo attuale.
Come si può uscirne?
Non so la soluzione, ma sono certa che l’educazione è fondamentale. Bisogna imparare, a qualsiasi età, a fare autoanalisi e autocritica. Bisogna fermarsi e fare il punto con se stessi prima che con gli altri. Vivere senza catene è una forma mentale, pressoché impossibile se non si è un eremita, tuttavia, nella nostra mente, possiamo decidere quando e quanto combattere ciò che proviene dall’esterno.
Non sempre si può, non sempre si vince, non sempre si riesce. A volte si deve accettare una sconfitta, a volte ci troveremo in accordo con gli schemi esterni.
L’importante è aver sempre l’umile onestà di guardarsi dentro e capire quali siano le nostre vere intenzioni.
di Alessandra “Furibionda” Zanetti