“Tu non pensi e non parli come l’uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l’angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t’eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell’attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli…”
Non tutte le bambole sono felici.
Noi le vediamo lì, con i loro eterni sorrisi stampati su volti di porcellana o plastica, mentre i loro occhi brillano di gioia fittizia guardando un orizzonte immaginario fatto di promesse create dalle loro proprietarie, che si divertono a progettare per le loro bambole incontri, lavori, avventure e sogni di conquista e di amore. Tutto perfettamente confezionato per il divertimento di coloro che muovono le loro gambe e le regala una voce che non potrà mai essere la loro.
Ma non tutte le bambole sono felici.
Ci sono alcune bambole che parlano, si muovono, hanno il viso e il corpo fatto di ossa e carne. Hanno un cuore che batte, un’anima che brucia dentro di loro. Sogni, speranze e sentimenti che rendono “più umano dell’umano”, per citare un grande film. Ma tutto ciò non importa, sono comunque bambole. E sono infelici.
“Come fanno ad essere bambole? Sono esseri umani.” comincerete a dire giustamente voi. Avete ragione, sono esseri umani. Ma ci sono persone che credono che siano soltanto bambole da possedere, da plasmare a proprio piacimento e da tenere rinchiuse una teca di vetro, lontano da tutto ciò che potrebbe danneggiarle. Utili solo per il loro appagamento personale.
Non potranno mai aspirare a nient’altro che a questo: una bambola in una teca.
Nora e la sua casa di bambole
E’ il caso di Nora, protagonista indiscussa di Casa di Bambola di Henrik Ibsen, scritta nel 1879 e considerata una delle opere più famose del drammaturgo norvegese, simbolo di una fiera ribellione femminile contro i preconcetti sociali del matrimonio e dei suoi doveri, che trova il suo simbolo proprio nel personaggio sopracitato, una “bambola” vivente rinchiusa in una splendida teca che lei chiama casa e che condivide con suo marito Torvald Helmer, uomo che la riverisce e la riempie di regali e attenzioni, ma che altresì la limita, la svilisce come donna in grado di fare, decidere, pensare.
E nel momento di massima ricchezza della famiglia, con tre splendidi bambini e il nuovo lavoro di Helmer che ha ricevuto una incredibile promozione, dal passato di Nora sbuca un segreto che potrebbe incrinare il rapporto con il marito: una cospicua somma di denaro chiesta in prestito alle spalle del marito, in maniera illegale, per salvare il suo lavoro che stava naufragando e permettergli di risalire la china.
Un debito contratto dall’ avvocato Krogstad, non un uomo malvagio, ma costretto a minacciare Nora per necessità di sopravvivere anche lui a un possibile licenziamento da parte di Helmer. Nonostante Nora cerchi di evitare il licenziamento di Krogstad, ciò avviene per la testardaggine di Helmer nel volersi disfare dell’avvocato, che in un istante di rabbia reagisce inviando una lettera proprio al suo ex capo, contenente tutta la verità sul debito contratto da Nora e la sua minaccia di denunciarla alle autorità.
Ciò farà scattare l’uomo e la donna subirà pesanti ingiurie da parte del marito impazzito di rabbia, che minaccia addirittura di toglierle l’educazione dei figli. Ma poi…
Lo sguardo di Nora e di Ibsen
Ricevuta un ulteriore lettera da Krogstad, che rivela di non voler più procedere con la denuncia e che vuole allontanarsi dalla città con Kristine, suo antico amore, Helmer cambia di nuovo atteggiamento, diventando di nuovo felice e dolce con la moglie, come se nulla fosse successo.
Ma la bambola ha finalmente preso coscienza di sé e ha scoperto di essere una persona vera: Nora ha visto il vero volto del marito e si rende conto di non sapere più chi è lui e lei stessa. Prende coscienza della sua condizione di bambolina fragile e vuole uscire da quella casa per trovare se stessa e la sua identità nel mondo.
A nulla valgono le scuse e le richieste di perdono di Helmer, che tenta in tutti i modi di convincerla a restare facendo addirittura leva sui loro figli e sulla sacralità del matrimonio. Inutile, Nora non si fa più abbindolare né comandare. Ora vuole camminare con le sue gambe e scoprire sé stessa. E si libera dalla sua teca, posando gli occhi verso il futuro.
Gli stessi occhi che possiede Ibsen, ispiratori e colmi di speranza per tutte le donne legate strette da pregiudizi e limitazioni, oppressioni e violenze, siano esse fisiche o psicologiche. Un messaggio che l’autore ha voluto divulgare ritrovandosi sobbarcato di insulti e critiche feroci, che denunciavano lo scandaloso comportamento di Nora nei confronti della sacralità del matrimonio. Critiche che, però, fortificarono l’opera e l’hanno resa leggendaria, dimostrando con il tempo che Ibsen aveva ragione: anche la barbie più bella e preziosa ha diritto a vivere la sua vita in totale libertà, a conoscersi, a decidere per sé, oltre per coloro che ha deciso di amare. E nessuno ha il diritto di incatenare o controllare la sua esistenza per il proprio diletto, nascondendolo dietro promesse di amore indiscusso e false attenzioni…
Perché quando una bambola non è felice, troverà sempre la forza di cercarla fuori dalla sua teca, libera da ogni vincolo.
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