Mi piacevano un sacco i pirati, quand’ero ragazzino.
Le avventure in isole misteriose o nel mezzo del cristallino mar dei Caraibi, tra lotte di cappa e spada, arrembaggi forsennati e tesori sepolti nei meandri di caverne oscure e minacciose hanno entusiasmato e animato i miei giochi di bambino, alimentati dalle letture di grandi romanzi come Il Corsaro Nero di Emilio Salgari e l’intramontabile Isola del Tesoro di Stevenson.
Ma soprattutto dalla visione di splendidi film, come La Tigre è ancora viva: Sandokan Alla Riscossa di Sergio Sollima, Corsari di Renny Harlin (che io trovai fantastico a dispetto delle aspre critiche ricevute) e anche La Maledizione della Prima Luna di Gore Verbinski (l’unico della trilogia che mi è piaciuto davvero tanto).
Citerò anche I Goonies, che porterò sempre nel cuore, proprio per lo spirito avventuroso che mi trasmette ancora, riportandomi indietro nella mia infanzia. E poi, vuoi mettere il superbo veliero fantasma di Willie L’Orbo?
Ma c’è un film, solo uno di quel genere sconfinato, che ha lasciato un segno indelebile nel mio cuore. A ridosso di anni e anni, anche quando l’interesse per il genere piratesco si ridusse in un piacevole intermezzo se ritrovato per caso, quel film sa ancora risvegliare il mio animo fanciullesco desideroso di avventure e al tempo stesso, infiammare il mio cuore di attore.
Perché in quel film, nella miriade di momenti epici ed esilaranti, di intenso dramma e avventura che trasudano copiosi da quella pellicola, c’è una scena che ancora oggi mi fa venire la pelle d’oca al solo rivederla…improvvisa, solenne e incredibilmente enfatica. In una parola, teatrale.
Inutile girarci troppo attorno, sapete già di quale film sto parlando: Hook di Steven Spielberg, uscito nelle sale l’11 Dicembre 1991. Uno dei miei film preferiti del cineasta di Cincinnati. La scena in questione ha come protagonista il pirata più famoso di tutta la letteratura e cinematografia mondiale: Capitan Uncino.
Il palcoscenico di Peter e Giacomo
Non starò troppo a dilungarmi sulla trama di uno dei film più belli tratti dall’opera di J.M. Barrie (un’opera che fu scritta inizialmente per il teatro, mi piace precisarlo!), anche perché se ancora non lo avete visto, avete appena provveduto a sterminare una decina di fate per questa ignobile onta e dovete rimediare correndo a vederlo seduta stante!
Per tutti gli altri, invece, conoscerete sicuramente la trama di questa piccola perla cinematografica, in cui Peter Pan vede avverarsi la sua più grande paura: Crescere.
Metter su famiglia, invecchiare nel lavoro e nelle ambizioni, dimenticando le avventure, i giochi, l’amore…ma l’Isola Che non c’è non ha dimenticato lui, e nemmeno il suo mortale nemico, Giacomo Uncino, che reclamerà l’ultimo agognato duello non con l’uomo, ma con il fanciullo che gli tagliò la mano dandola in pasto a un coccodrillo, attirandolo nell’Isola con il rapimento dei suoi figli e costringendolo a recuperare la sua antica abilità di schermidore e i suoi pensieri felici.
Spielberg gira quel film come se fosse in un gigantesco palcoscenico: le scenografie sembrano prese di peso dai migliori teatri di prosa, così tangibili al tatto e con quella fusione di realtà e magia che solo in uno spettacolo dal vivo puoi sentire.
Ogni scena venne girata con l’occhio fanciullesco di chi sta sognando una storia avventurosa ricca di colpi di scena e momenti che nascono solo nelle favole. Il cast è stellare, nessuno resta in secondo piano: gli attori recitano come se fossero davanti a un pubblico ammirante, improvvisando e amplificando, con mimiche facciali e sguardi intensi degni dei migliori animali da palcoscenico.
Il meraviglioso Robin Williams mostra tutto il suo talento e la sua incredibile voracità scenica, non risparmiando nulla della sua grande energia e donandoci un Peter Pan indimenticabile. Ma il suo acerrimo nemico non è da meno e gli basta una sola scena per lasciare il segno…proprio quella scena che ha conquistato il sottoscritto.
Un uncino brilla nel buio
L’arrivo di Peter nell’Isola che Non C’è non è dei migliori, lanciato a peso morto direttamente nel porto dei pirati di Uncino. Confuso e spaventato, rischia di rimanerci secco già cinque minuti dopo essersi svegliato per colpa delle sue scarpe, salvo poi essere salvato da Campanellino che mette K.O. tutti i briganti e lo aiuta a confondersi in mezzo agli spietati corsari.
Ed ecco che dal nulla sbuca fuori Spugna, interpretato magistralmente da quel mostro sacro che era Bob Hoskins (il mio Iago preferito in assoluto, recuperatevi il suo Otello della Bbc con Anthony Hopkins), che conduce tutta la ciurma a suon di fanfara piratesca verso il mastodontico veliero e portando un uncino di ferro ben affilato e lucidato su un cuscino, quasi fosse una reliquia sacra.
La fanfara cresce di intensità, scandita dai cori sguaiati dei filibustieri che compongono la processione. Spugna entra nella cabina del capitano immersa nel buio e poi…scintille e scoppi di mille colori illuminano l’uncino che viene agganciato al braccio del suo legittimo proprietario.
Il silenzio seguente viene rotto dal potente urlo di Spugna che saluta l’isola e i suoi abitanti e con parole e movenze degne di un bardo presenta alla ciurma (e a noi) il pirata più famoso e spietato di tutta la letteratura mondiale: Giacomo Uncino.
Quest’ultimo è interpretato da un altro grande mostro sacro chiamato Dustin Hoffman, che entra in scena in un modo che solo un vero villain sa fare: emergendo dall’ombra, portando con se una musica ancora più potente, alta e tenebrosa, oscillando la mano e l’uncino al coro di “Un-ci-no! Un-cin-no!” come un direttore d’orchestra.
Un bieco sorriso sotto i baffetti perfettamente incurvati come la sua arma famosa, gli occhi spiritati, colmi di sadica soddisfazione. E a concludere quella portentosa sequenza così maledettamente teatrale, uno scambio di battute che ancora oggi mi fa sorridere:
Spugna: “Vedete gli uomini come vi sono affezionati?”
Uncino: “Spregevole frittura, ma quanto li disprezzo!”
Bam. Eccolo qui, un vero pirata. Una degna entrata in scena, una di quelle che ti restano impresse per sempre nella memoria, che ti fanno dire “Amo i pirati”. È lui il vero protagonista, il suo nome è il titolo della storia.
Hook, non Pan.
E in questa memorabile scena, Hoffman lo mostra a tutti chi è il vero re dell’Isola che Non C’è. Ci mostra come dovrebbe essere un vero pirata secondo gli occhi di un bambino e lo fa in grande stile. Ovvio che un ragazzino come me ne rimanga tremendamente affascinato, no?
Lasciare il segno
In teatro, così come al cinema, una scena può spiccare fra tantissime altre per i significati che essa possiede al suo interno, per l’intensità che gli attori hanno dimostrato e che il regista ha saputo cogliere, ma soprattutto per l’impatto che può avere agli occhi di uno spettatore, giovane o anziano.
Come un bucaniere che si lancia senza paura all’assalto di una nave da saccheggiare con il coltello tra i denti, pronto a dare battaglia e far si che il suo nome venga ricordato nella storia. Così Dustin Hoffmann è riuscito a fare breccia nel mio cuore di bambino con quell’entrata trionfale, quella presentazione che difficilmente ho rivisto in altre pellicole, a dimostrazione della sua unicità. Dannatamente enfatica e sbruffona, con quel pizzico di teatralità che tanto amo…la degna entrata in scena di un personaggio che ancora oggi io prendo a modello come la vera rappresentazione di un corsaro leggendario.
Almeno per i miei occhi di bambino, s’intende!
Attore Novizio al vostro servizio!