Il giorno 19 marzo 2024 siamo stati invitati a presenziare all’anteprima del film d’animazione spagnolo Robot Dreams, tenutasi presso il Cinema Anteo di Milano. La pellicola è stata prodotta nel 2023, sotto la direzione del regista e sceneggiatore Pablo Berger. Berger è conosciuto principalmente per aver girato Blancanieves (2012), film scelto poi per rappresentare la Spagna durante l’edizione dei premi Oscar del 2013. Nello stesso anno, la pellicola ha vinto ben 10 premi su 18 nomination ai premi Goya, il più importante riconoscimento cinematografico in Spagna. Anche Robot Dreams è stato candidato ai premi Oscar, nell’edizione 2024, dopo aver vinto il premio Controcampo al Festival Internazionale del Film d’Animazione di Annecy. L’anteprima mondiale era però già avvenuta durante la settantaseiesima edizione del prestigioso Festival di Cannes.
L’incipit di Robot Dreams (e il problema della sinossi)
Nella vivace Manhattan degli anni Ottanta, il cane Dog soffre di solitudine. In una noiosa nottata passata a fare zapping, nota uno spot che pubblicizza la vendita di robot da compagnia e decide di comprarne uno. Dopo averlo montato, Dog e Robot danno vita ad uno stretto rapporto: in particolare Dog “insegna” a Robot molte cose, che questo vive con l’entusiasmo di un bambino. Un giorno, Dog porta Robot a passare una giornata in spiaggia ma Robot, alla fine, non riuscirà più ad alzarsi, essendosi arrugginito a causa dell’acqua. Dog prende la decisione sofferta di lasciarlo lì, dopo aver tentato in tutti i modi di trasportarlo, e sarà così costretto ad aspettare fino alla riapertura della spiaggia per recuperare Robot.
L’incipit riportato poco sopra è molto simile ad altre sinossi che si possono reperire su Internet, differendo però in una cosa. La maggior parte dei riassunti di trama parla del rapporto tra Dog e Robot come di un’amicizia e presume anche che Robot, nonostante non sia umano, abbia un genere, quello maschile. Ciò nonostante, dalla visione del film il rapporto appare ambiguo da quel punto di vista. Qualcuno potrebbe pensare ad un’amicizia e altri – in cui mi ritrovo – ad una storia d’amore. In base alla lettura di questo rapporto, su cui si fonda l’interno film, muta anche ciò che ogni persona si “porta a casa” dalla visione.
Da cosa nasce il film: la graphic novel Robot Dreams
Robot Dreams è un film adattamento dell’omonima graphic novel, scritta e disegnata dalla fumettista americana Sara Varon. Varon è un’autrice che si occupa di fumetti e libri illustrati per l’infanzia, molto conosciuta e apprezzata all’interno del panorama del fumetto indipendente, americano e internazionale.
La peculiarità del fumetto è stata ottimamente trasposta in formato filmico. Infatti, così come nelle tavole non sono presenti balloon o didascalie, la pellicola è muta e priva di qualsivoglia battuta. Il comparto sonoro è caratterizzato esclusivamente dalla colonna sonora – la quale comprende anche brani perfetti per far entrare lo spettatore nell’atmosfera della New York anni Ottanta. Un altro elemento prettamente fumettistico ben riportato sullo schermo è riportato in una specifica scena. Robot si trova sulla spiaggia, ricoperto da neve e ghiaccio, e sogna costantemente di potersi rialzare e tornare da Dog. Robot esce dunque dall’inquadratura, spaccando il ghiaccio, quasi come se fosse una vignetta – espediente utilizzato alcune volte anche nella stessa novel originale.
La tematica di Robot Dreams: la solitudine, l’amore, l’andare oltre
Per quanto sia estremamente presente il bias cognitivo per cui in molti pensano – e pensiamo – che i film d’animazione siano esclusivamente per bambini, questa pellicola è uno degli elementi a riprova del contrario. Robot Dreams – sia per ciò che riguarda la novel che per quanto concerne il film – è un prodotto che può avere più livelli di lettura anche in funzione dell’età e della generazione di appartenenza del fruitore.
Personalmente, anche se potremmo estendere il parere privato alla fascia di popolazione ed età di cui faccio parte, penso si tratti di una storia d’amore. Il rapporto tra Robot e Dog è perfettamente incasellabile nella relazione amorosa. L’inizio di un’amicizia, lo sfociare nel qualcosa in più – non necessariamente più profondo – di un amore. E poi l’inaspettato: le incomprensioni, l’arrivo di un imprevisto che porta ad una necessaria separazione. Una separazione sicuramente sofferta, da entrambe le parti, ma vissuta dai due componenti della relazione in maniera differente. Mentre Dog ha la possibilità di andare avanti e tenta di farlo in tutti i modi, Robot – nonostante i numerosi tentativi – rimane bloccato lì, su quella spiaggia, in quel momento, in attesa del ritorno della sua persona.
Alla fine, però, anche Robot riesce ad uscire dal suo stato di immobilità: viene sempre in qualche modo trascinato – anche letteralmente – fuori dal suo status, ma alla fine si abitua alla nuova realtà, una realtà senza Dog. E quando lo stesso Robot ha la possibilità di incontrare nuovamente Dog e stringerlo ancora a sé, decide in maniera conscia e autonoma di non farlo. Decide di lasciarlo andare e, soprattutto, di lasciarsi andare fornendo ad entrambi una possibilità di cambiare, evolversi. Questo senza comunque dimenticarsi l’uno dell’altro, ma mantenendo viva la fiamma della memoria, che lascia dietro di sé un persistente profumo agrodolce.
Il “problema” del titolo: adattamento e queerness
Ricollegandoci alla problematica sinossi del film di cui abbiamo parlato poco sopra, l’adattamento del titolo si trascina dietro il medesimo problema. In questo modo, anche il titolo si rivela il sintomo di una “malattia” comune, che si traduce in bias per la maggioranza dei fruitori. Il titolo in italiano, infatti, è Il mio Amico Robot – e una scelta simile è stata fatta anche per il titolo in lingua francese. Tale titolazione presume, come abbiamo fatto notare in precedenza, che il Robot sia di genere maschile e che il rapporto tra questi e Dog sia un’amicizia. Non mi sento di aggiungere “solo” un’amicizia, perché questo presupporrebbe l’idea che ci sia una gerarchia nella profondità dei rapporti. Per quanto singolarmente ognuno dia priorità diverse ad ogni rapporto – d’amore, familiare o di amicizia che sia – sarebbe scorretto presumere in generale quanta importanza è data ad ognuno.
Ciò nonostante, già ad una prima visione, il titolo potrebbe suonare fuorviante, per qualsiasi tipologia di pubblico. In particolare potrebbe esserlo – da ciò che ho notato personalmente, quindi da prendere con le dovute precauzioni – per persone queer e vicini alle istanze LGBTQ+. Il fatto che Robot sia, per l’appunto, un robot – un’entità senza sesso e senza genere predefinito – può già sollevare qualche dubbio. Anche per quanto riguarda Dog, però, allo stesso modo non abbiamo alcuna indicazione del suo sesso e genere. Questo fornisce anche un’enorme possibilità al pubblico di identificarsi, a prescindere dalla propria identità di genere. Inoltre, la sensazione di solitudine iniziale provata da Dog potrebbe sembrare estremamente familiare a chi si identifica come queer.
di Dorian Leva