Quanti tipi di peccato esistono?

Il mio primo pensiero all’idea di scrivere di peccati è stato un leggerissimo “Ma sì, parliamo di Seven Deadly Sins, che è un anime super carino, mi piace un sacco, ho visto tutto tutto tutto e così finalmente variamo un po’ sul tema al solito della mia pesantezza filosofico-narrativa”. E invece no, anche stavolta vi è andata male perché a pensare a Seven Deadly Sins mi si sono scatenati una serie di altri pensieri che non mi hanno più permesso di tornare al semplice contenuto di sette simpatici peccati capitali con dieci simpatici (non tanto) comandamenti e altre citazioni randomiche da parte di una cultura che considera peccato qualcosa di molto diverso dalla nostra concezione di peccato.

Per esempio, per noi occidentali il peccato chiama suo fratello senso di colpa immediatamente, ma non ho particolarmente voglia di soffermarmici anche perché ne siamo così sommersi e sovrastati che, in tutta franchezza, non mi sembra servano grandi presentazioni.

Più presentazioni invece servono per un mondo lontano dal nostro, quello asiatico. Sì, ho scritto “asiatico” con aria di sfida perché parto dal Giappone ma poi mi sposterò. Intanto, per quanto riguarda il Giappone appunto, il senso di peccato – stranamente – si avvicina abbastanza, in realtà, a quello cinese, quindi parliamo di due cose in una volta sola. Perché? In breve:

È tutta colpa di Confucio

(Dovrei farmi una maglietta perché è una fase che mi sento dire molto spesso).
Secondo l’etica confuciana che si è sviluppata in Cina e in Giappone, il peccato è qualcosa che si discosta, si allontana o va contro un codice legale o morale. Una sorta di trasgressione etica o fisica o morale di una legge. Tra l’altro, la somiglianza si trova anche nella scrittura perché il carattere sia cinese sia giapponese con cui si indica il peccato, fa in realtà riferimento a un crimine, proprio legato al concetto di non rispettare la legge.
Diverso dal nostro senso dunque, ma fin troppo semplice da capire. Perciò questa volta vorrei spostarmi sulla Corea.

Perché la Corea (potrei dire anche le Coree in questo caso, perché si tratta di un’idea che non c’entra con le divisioni più recenti) ha sviluppato un concetto di peccato, totalmente diverso da Cina e Giappone, nonostante la comune matrice confuciana.

한 han – peccato, sofferenza, cuore amareggiato

Se avete visto qualche k-drama, sapete che se una persona si macchia di un crimine, questa deve essere punita, deve pagare, deve ripulire la sua coscienza, vivere le conseguenze e patire dolori infiniti fino all’espiazione. E se non c’è una punizione divina, allora starà al giustiziere di turno portare avanti il carico del far espiare i peccati a chi li ha commessi: ma attenzione, se si esagera anche nella giustizia, portando avanti una vendetta violenta e insensata, volta solo a creare altro dolore, allora anche il giustiziere sarà giudicato. E così via.

Tutto l’insieme di senso di giustizia-ingiustizia, di dolore atavico e incapacità di trovare pace perché nessuno è in grado di garantire un equilibrio giusto, tutto questo e molto altro, è han. C’è chi dice che sia insito nella natura coreana, c’è chi dice che sia invece un lascito dell’ultima invasione giapponese di inizio Novecento che poi si è esacerbata con la divisione delle due Coree negli anni ’40… Dove sta la verità?
Non ho idea della risposta, posso solo fare un ragionamento.

cartone animato donna e uomo

Una visione così netta e intensa

Può essere così recente? Possibile che in meno di cento anni si sia sviluppato un risentimento così forte da permeare la cultura tanto da vederla rappresentata così intensamente e frequentemente? Non sto facendo un’analisi socio-antropologica basata sulle serie tv, ci mancherebbe, vorrei solo portare qualche esempio e darvi anche un suggerimento di visione. Ho recentemente visto la serie “Il gioco della morte”, tratta da un webtoon, ed è proprio l’emblema della concezione di peccato.
Il protagonista si suicida ed è costretto a rivivere dodici volte finché non capirà perché ha sbagliato, in un’espiazione lenta e dolorosissima, con dodici reincarnazioni una dietro l’altra, tutte collegate a persone che hanno in qualche modo contribuito al suo suicidio. Tutto questo gli servirà per arrivare a vedere come questo atto fosse sbagliato sebbene lui parta da una prospettiva dove ovviamente si sente del tutto nella ragione. Un cambiamento per niente repentino, ma profondo e lancinante: senza spoiler, questa è una delle pochissime serie revenge a quasi lieto fine che abbia visto.

Non esiste un lieto fine

A dire il vero, è più “giustizia è stata fatta”, non proprio “e vissero felici e contenti” come lo intendiamo noi. Se tu però non hai capito niente comunque soccombi; se capisci, hai una possibilità di redenzione. Vedo un filo rosso tra questi concetti: il peccato, la redenzione, la giustizia e il karma.
Tutti questi argomenti sono fortissimamente presenti nella cultura coreana che vediamo rappresentata nei k-drama: ovviamente la popolazione tutta non può essere racchiusa da semplici fotogrammi ma ricordiamoci che noi conosciamo tanta cultura americana tramite il telefilm quindi che differenza c’è a voler avvicinarsi allo stesso modo? L’importante è non pensare unicamente a una visione cinematografica o televisiva di un luogo: le persone sono comunque persone e hanno un insieme di idee, moti e ragionamenti.

Per il resto, aspetto di andare in Corea e vi saprò dire!

di Alessandra Furibionda Zanetti

Alessandra Zanetti
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