Sono gli anni ’90, la magia della decade prima dove tutto era possibile sta svanendo, ma c’è ancora, nell’aria, nell’acqua, dentro le buste trasparenti dei fumetti sopra la mia mensola. La respiriamo ancora.
Ho appena cominciato il liceo e ho scoperto che qualcuno ha pensato bene di trasformare quella magia in carte da gioco. Così, dopo Pokémon, comincio la mia avventura in Magic The Gathering.
Le chiamiamo “le Magic” e non semplicemente Magic, ma ci divertiamo lo stesso. Il mio mazzo nero tutto Terrori e Scheletri fa un figurone: si sa, il nero smagrisce.
Nel cuore del tranquillo quartiere di periferia, in un umido seminterrato, due amici di sedici anni, Daniele e Il Mago Blu (manteniamo la sua identità segreta), si riunivano regolarmente per giocare a Magic: The Gathering. Erano due compagni inseparabili, uniti dalla passione per questo gioco di carte e in generale per qualsiasi cosa non facesse colpo sulle ragazze.
In una fresca giornata di primavera, i ragazzi si trovarono nel loro rifugio sotterraneo, circondati da scatole di carte, poster dei loro eroi magici e un leggero profumo di umido. Si sedettero al tavolo da gioco, entrambi carichi di entusiasmo per la loro partita imminente. Ricordo che il “magico tavolo” era in realtà una scrivania di vetro e rancore tramandata di nonno in nonno, usata probabilmente per licenziare gente e firmare atti notarili. A parte la terribile scrivania, la partita era già cominciata, il Mago sfoggiava un mazzo blu, bianco e verde.
L’espansione chiamata “Invasione” era appena arrivata in edicola.
Stallo momentaneo
La tensione aumentava man mano che le carte venivano giocate. Il Mago mise in campo una carta verde chiamata “Pace Momentanea”, che offriva un momento di respiro dal caos del gioco. Per chi non è avvezzo, “Pace Momentanea” è una carta che blocca tutto il danno per il turno e io ero a un passo dalla vittoria, stavo per distruggerlo. Rosicai non poco.
“’Sta carta.” Sussurrai.
Il Mago alzò gli occhi dal tavolo, colto di sorpresa dall’accusa. “È una mossa strategica, Daccò. Dovresti farne qualcuna ogni tanto.”
“Sei tu quello che sta perdendo però.”
“Non in questo turno.”
Le parole scatenarono un’accesa discussione tra i due amici. Le argomentazioni volavano avanti e indietro mentre il gioco si trasformava in una battaglia verbale. L’atmosfera, che una volta era gioiosa e rilassata, ora era carica di tensione.
Il litigio persistette per tutto il pomeriggio. La partita di Magic si bloccò, lasciando le carte abbandonate sul tavolo, mentre i due rimanevano seduti in silenzio, immersi nei loro pensieri. Ogni frase era travisata, un semplice “Mettiamo via le carte e giochiamo coi Lego” era tacciato di “Allora ti arrendi” e “Finché non passo non hai vinto e posso farlo finché non torni a casa”.
Il sole iniziò a tramontare, gettando una luce dorata nel seminterrato ormai silenzioso. Il giorno, che era iniziato con promesse di divertimento e amicizia, finì con una profonda breccia tra i due amici. Non parlavano più, né durante la partita né dopo.
La magia del gioco aveva esaurito il suo incantesimo, sostituito da una tensione che nessuno dei due sembrava capace di dissolvere. I due amici rimasero soli con i loro pensieri, incapaci di trovare la via per riavvicinarsi, mentre il gioco che una volta li aveva uniti giaceva dimenticato sul tavolo, testimone silenzioso della loro rottura.
“Ragazzi, ragazzi.” La voce della madre del mago arrivava dal piano di sopra.
“Vi va una cheesecake?”
Io e il Mago ci guardammo.
Per stavolta vince la torta, ma la prossima il vincitore sarà solo uno di noi due.
Daniele Il Rinoceronte Daccò