Il 20 Luglio 2023 noi di Niente da Dire abbiamo avuto l’occasione – la fortuna e l’onere – di assistere all’anteprima italiana dell’ultima erculea fatica del regista londinese Christopher Nolan: Oppenheimer.
La prima italiana si è tenuta presso il Cinema Arcadia – in particolare la sede di Melzo, provincia di Milano – con la partecipazione di testate giornalistiche del settore e content creators legati all’ambito. La peculiarità di questa anteprima è data soprattutto dal formato della pellicola: Arcadia Cinema ospiterà, a partire dal 23 agosto con prevendite di biglietti già aperte, la versione in IMAX 70mm, presso la Sala Energia PLF.
70 mm di magia: l’importanza del formato…
Il formato IMAX 70mm è stato scelto dal regista per la sua risoluzione, ben 10 volte di maggior qualità rispetto agli altri formati di proiezione standard. L’affermata rivista americana di cinema IndieWire ha pubblicato un articolo riguardante in particolare il motivo per cui lo stesso Nolan ha optato per una tale decisione. Non si tratta infatti di una mera – o meglio, pura – questione di qualità.
Fin dalla più tenera età, infatti, il regista era sempre stato affascinato dal formato IMAX, il quale è soprattutto appannaggio di installazioni audiovisive di grandi dimensioni e relegato alle proiezioni in contesti museali. Continuando, Nolan arriva anche ad affermare che trova il 70mm un mezzo di enorme e totale immersione per lo spettatore.
… di cui ancora non possiamo godere
Perché nel Bel Paese Oppenheimer uscirà però con ben oltre un mese di ritardo rispetto alle proiezioni estere? Questa scelta è stata dettata dalla conoscenza e dalla considerazione del contesto e della natura dell’audience nostrano.
Infatti, durante il periodo estivo, sembra quasi impossibile attirare gli spettatori nelle sale. Tale scelta è stata dettata dunque da una visione attenta e lungimirante da parte della compagnia Universal Pictures Italia. Questo potrebbe anche essere un interessante punto di discussione: il pubblico ha ancora il desiderio di entrare e vivere la sala?
A quanto pare, nonostante la prudenza della compagine italiana targata Universal, le cose stanno andando meglio di quanto auspicate. Così come riporta un interessante articolo di Gabriele Niola sul Post. L’estate cinematografica 2023 è estremamente feconda, soprattutto da parte di etichette che non temono il rischio.
Oppenheimer: perché vale la pena aspettare
Nonostante la snervante attesa che attende il pubblico italiano, vi possiamo assicurare che varrà assolutamente la pena aspettare. Nolan si riconferma un regista multidimensionale e poliedrico. Non solo è in grado di confezionare pellicole peculiari, al limite, in alcuni casi distopiche, con le quali abbiamo imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo. Allo stesso tempo, così come fu per Dunkirk (uscito nel 2017), il regista riesce a trasportare queste sue caratteristiche all’interno di film storici e biopic. E anche con Oppenheimer questa sua impresa è riuscita.
La pellicola si avvale inoltre di un cast stellare.
Per quanto possa sembrare numeroso, i personaggi sono estremamente ben caratterizzati e calibrati, ognuno di loro ha lo spazio per farsi sentire ed esprimere le proprie potenzialità. Oltre a Cillian Murphy che veste i panni del padre della bomba atomica, gli altri attori di spicco sono Florence Pugh, Emily Blunt, Matt Damon e non ultimo un magistrale Roberto Downey Jr. In aggiunta numerosi attori di grande fama si sono prestati al progetto anche solo per piccole ma rilevanti parti, come ad esempio Kenneth Branagh, che ritroviamo nei panni di Niels Bohr.
Il ritmo è sincopato, mai troppo veloce e mai troppo lento; tutto è misurato nei minimi dettagli, anche quello che ad un primo impatto potrebbe sembrare una scelta sbagliata e poco calcolata di Nolan – come la durata del film – è in realtà una mossa pensata e pianificata. Non è necessario guardare Oppenheimer per conoscere la storia di quest’ultimo.
Ma è necessario guardare Oppenheimer per avere un punto di vista della vicenda, chiaro, conciso e senza fronzoli. E per provare, ancora una volta, il brivido di un vero e proprio kolossal.
Oppenheimer: trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica
“L’avvincente racconto di una delle figure più decisive e contraddittorie del nostro tempo”
Queste sono le parole di Nolan, le quali potete leggere sul retro del libro che ha ispirato la gestazione dello stesso film. Assieme alle dichiarazioni del regista, anche le brevi e concise considerazioni di testate come il New York Times e il Los Angeles Times. Queste definiscono il volume come “un’opera di grande erudizione e lucido approfondimento” e “un racconto magistrale”, rispettivamente.
I due autori, il giornalista Kai Bird e lo storico e professore universitario presso Princeton University, Martin J. Sherwin (deceduto nel 2021), sono particolarmente legati all’argomento, tanto da renderlo il focus principale delle loro carriere. Sherwin, tra le altre cose, è infatti colui a cui si deve il Nuclear Age History and Humanities Center (attivo fino al 1993), presso la Tufts University. Bird vinse il premio Pulitzer proprio per questo volume, durante l’edizione del 2006.
Ed è partendo proprio da questo testo che Nolan dipinge il ritratto dello scienziato e dell’uomo. Trattandosi di una coppia di umanisti, i due autori hanno sviscerato tutto il contorno sociologico e psicologico che obnubila tutt’ora questa controversa figura. Lo scienziato che leggeva Freud e Jung, lo scienziato con simpatie marxiste (e notare bene: non staliniste). L’uomo che riusciva a vedere gli atomi e la materia stessa. L’uomo che davanti a tale bellezza, davanti a quello che si definisce per antonomasia il sublime Kantiano, è arrivato al punto da non riuscire però a vedere la sua stessa follia. Almeno, non fino a che non fu troppo tardi per rimediare.
La struttura intrinseca del film: come nascono e muoiono le stelle
Il tempo in questo film è tutto. L’elemento essenziale. Il motore. Sono decenni di storia americana, che si intreccia con quella non solo Europea, ma anche orientale e, non di meno, sovietica. Sono 3 ore che sembrano volare alla velocità della luce. 3 ore che a volte sembrano 3 minuti. Che a volte sembrano 30 anni. 30 anni in cui lo spettatore viene trasportato con violenza vanti e indietro, senza tener conto di un eventuale colpo di frusta, anzi, ricercandolo. E che colpo subiamo ad ogni scena, ancorati alle nostre poltroncine di velluto.
Ma è anche il tempo della vita delle stelle. Nonostante non siano presenti riferimenti temporali riportati in sovrimpressione, come nel più classico e didascalico dei film storici, dopo solo qualche minuto, le diverse annate e i contesti correlati sono già chiari anche al più cieco degli spettatori. Si tratta della vita di Oppenheimer che si intreccia con le vicende socio – politiche di un’intera epoca, in cui lui stesso subisce una scissione: uomo, marito e padre. Ma anche scienziato e intellettuale. E come lui stesso arrivò a definirsi “[…] Morte, distruttore di mondi.”
Il film stesso è una stella. Ma attenzione, non una bomba.
Non termina infatti con la sequenza dei test o con quella del post-bombardamento. Il film si trascina, ancora, come un uomo prossimo alla morte. La lunghezza non è un difetto, anche se può essere elemento di disturbo. Ma si tratta di un elemento di disturbo voluto, cercato, contestualizzato. Ci stanchiamo, ci rassegniamo e ci spegniamo assieme al Dott. Oppenheimer. E assieme alla sua speranza naif di un mondo migliore. Un mondo pacifico.
Il (folle) piano tecnico di Nolan
Come è solito da parte di un regista di questo tipo e di questo calibro, Nolan è fin da subito stato chiaro con la produzione: nessun effetto speciale prodotto tramite CGI (Computer Generated Images). Il giornalista Steve Weintrub ha intervistato a riguardo il regista, per conto della testata Collider, tramite la quale Nolan ha dichiarato:
“Penso che la computer grafica sia molto versatile, può fare ogni genere di cose, ma tende a farci sentire troppo sicuri. Ecco perché è difficile usarla nei film horror. L’animazione tende a far sentire il pubblico al sicuro. Il Trinity Test, in definitiva, ma anche le prime immagini di Oppenheimer che visualizza il Regno Quantico, dovevano essere minacciose in qualche modo. Dovevano avere il mordente delle immagini del mondo reale. Il Trinity Test, per chi c’era, è stata la cosa più bella e terrificante allo stesso tempo, ed è lì che ci siamo diretti con questo film”.
Nonostante le difficoltà tecniche e pratiche che si sarebbero potute incontrare, il regista è stato irremovibile. La buona riuscita è stata dovuta anche grazie al supporto tecnico di professionisti del settore che hanno precedentemente lavorato a grandi saghe, come quella di Mad Max.
Una voce fuori dal coro: Gunther Anders e il movimento antiatomico
All’interno della pellicola esiste una forza invisibile di cui percepiamo la spinta fin dai primi passi del progetto Manhattan. Non si tratta solo della spinta comunista (marxista o stalinista che sia). Così come non si tratta solo dei timidi dubbi dello stesso Oppenheimer e del suo team di ricercatori.
In particolare, in quel periodo di fertilità intellettuale, si distinse fin dai primi anni di università un cittadino tedesco di origine ebrea: Gunther Anders, all’anagrafe Peter Stern. Un nome, una condanna: da studente universitario, addirittura alunno del rinomato Heidegger a Freiburg nel campo della fenomenologia, ma relegato alla sua origine, quella ebrea, e alla sua identità di rifugiato in America.
Successivamente alla presa di potere di Adolf Hitler, l’intellettuale si esiliò a Parigi nel 1933, imbarcandosi poi nel 1936 verso la volta Statunitense, dove, nonostante gli umili lavori per sbarcare il lunario, continua a collaborare come giornalista agli ambienti intellettuali di Adorno, suo professore.
Tornato in Europa nel 1950, l’esilio statunitense e il successivo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, segnarono il suo completo distacco dall’ambiente accademico, ritenendolo quasi responsabile per aver allevato personalità come Oppenheimer e Heisenberg. Nello stesso anno ha inizio la sua carriera da militante politico, all’interno del movimento antiatomico da lui stesso fondato.
Anders e Oppenheimer arrivano negli anni della Guerra Fredda ad avere quasi una visione comune: tali armi e potenze distruttive non dovrebbero essere nelle mani della politica. Per Oppenheimer, inizialmente, tutto era dissertazione sul piano puramente teorico. E probabilmente, così sarebbe dovuto rimanere.
La creazione di Oppenheimer e la sua (sfortunata e violenta) eredità
Oggi, così come nel pieno del periodo post Seconda Guerra Mondiale, risuonano le parole dello scienziato che, parafrasate, recitano: ne pagheremo le conseguenze.
Oppenheimer era ben consapevole del fatto che la bomba atomica – non solo sua, ma di produzione di tutto il team di ricercatori e collaboratori di Los Alamos – non sarebbe stata un’eccezione.
Al contrario: sarebbe stata un terribile apripista.
Con la Guerra Fredda e le minacce di attacchi militari di natura nucleare si andava consolidando una nuova era. Un periodo che ha portato numerosi paesi antidemocratici – tra cui Cina, Russia e Corea del Nord in primis – a permettersi di poter negoziare con i paesi europei, senza temere ripercussioni. Un’era che rende sempre più ambigui i rapporti tra superpotenze mondiali, in particolare nel contesto post attacco bellico nello stato dell’Ucraina.
di Martina Dorian Leva