In tutto il mondo sono ben noti (anche ai non specialisti) i grandi risultati che si ottengono alle scuole materne basandosi sugli studi del pedagogista emiliano Loris Malaguzzi, per cui attraverso i laboratori fin da piccoli si apprende meglio, oltre a imparare a usare le risorse di cui si è dotati naturalmente.
L’illustrazione italiana ne ha un fulgido esempio in Olimpia Zagnoli, nata nel 1984 a Reggio Emilia: «Ricordo di quel periodo le molte attività manuali e produttive, per esempio si imparava a cucinare e si andava a vendemmiare, azioni che hanno permesso di sviluppare una grande capacità pratica e che davano spazio alla riflessione e alla creatività».
Una vita a respirare arte
Per iniziare le scuole elementari la futura illustratrice si trasferisce a Milano con il padre fotografo e la madre pittrice («A casa ho avuto la possibilità di frequentare artisti amici dei miei, vedere cose che altri non avevano l’opportunità di avere così vicine») e lungo gli anni continua a disegnare «costantemente e ovunque».
Dopo il diploma all’Istituto Europeo di Design diventa professionista, decidendo di trasferirsi brevemente a New York: «Si pensa sempre ai grafici-illustratori come gente timida, rinchiusa nel proprio studiolo, privi di vita sociale e invece in America vengono organizzate molte cene e gala per creare momenti di incontro e confronto di gente diversa». Pressoché inevitabile, visto il talento e l’attenzione professionale oltreoceano agli aspetti visivi della comunicazione, l’inizio quasi immediato di collaborazioni con le maggiori testate della Grande Mela, come i prestigiosi The New Yorker e The New York Times.
Lo stile di Olimpia Zagnoli
Il suo stile caleidoscopico — per citare il titolo di un suo bel catalogo — è fatto di campiture piatte e senza sfumature, con linee dirette e figure stilizzate sono immediatamente riconoscibili (e molto simili al suo modo di vestire e di proporsi nelle immagini sui media e sul web: un dettaglio non da poco e anzi che dice molto), precise come la punta di una matita e con un tocco d’ironia che non guasta mai, anzi si fa apprezzare ancor di più: il segreto del suo lavoro è tutto qui… Almeno a parole.
«Non c’è una cosa che preferisco. Mi piace testare l’elasticità dei miei lavori ogni giorno e capire come meglio si applichino ai diversi contesti. Non ho un progetto preferito. Spesso faccio lavori dei quali mi dimentico completamente che poi rispuntano anni dopo dal cestino della carta. Tutto è speciale e tutto non lo è. Sono solo immagini in sequenza impazzita». Una moderna pop art timidamente consapevole del suo valore e un design già in sé multimediale: per conoscerla meglio vi consigliamo di recuperare il bellissimo documentario da un’ora Illustratori (2013), ideato da Andrea Chirichelli che lo ha diretto con Marco Bassi.
OZ, come a volte si firma, è sempre un viaggio in un universo bidimensionale soltanto all’apparenza: come direbbe Dorothy, qualcosa mi dice che non siamo più in Kansas!
di Loris Cantarelli