(Non sono) Lacrime di coccodrillo

Sapete cos’è un coccodrillo?
Sì certo è un rettile. Anche piuttosto grande, di varie tonalità di verde, grosse zanne e, in alcuni casi, adora ingoiare sveglie e andare in giro ricordandoti che il tuo tempo è giunto (per cosa poi?)
Non solo.
Un coccodrillo, in gergo giornalistico, è la biografia di un personaggio famoso preparata in anticipo da pubblicare in caso di scomparsa della persona. Viene spesso tenuto all’interno di un archivio pronto per essere tirato fuori.

Questo non è un coccodrillo

Ecco questo non è un coccodrillo, è un pezzo della mia storia che risiede nella vita di un’altra persona, una persona che non c’è più e che se ne è andata all’improvviso.
Un giornalista, un avventuriero, la voce italiana che parlava dal Giappone.
Il 7 febbraio, una settimana fa, moriva a Tōkyō Pio d’Emilia.

Se devo dire quand’è stata la prima volta che sia entrato nel mio radar, che io l’abbia visto raccontare l’Asia da sotto i baffoni bianchi, beh non saprei definirla con precisione. In un certo senso c’è sempre stato, da quando ho cominciato a camminare per i corridoi verdi e grigi dell’università.
Veniva citato quando c’era qualche notizia importante di cui discutere, aveva qualcosa da dire quando ancora il Giappone non andava di moda ed era davvero faticoso trovare qualcuno che lo raccontasse.

Il 2011 e Fukushima

Poi è arrivato il 2011, il terremoto del Tohoku, il maremoto… Fukushima e il disastro della centrale nucleare. Pio d’Emilia fu il primo, e probabilmente l’unico, giornalista straniero che si recò nella zona per documentare la situazione per trenta giorni. Cominciò allora ad essere un volto conosciuto per altri oltre che per noi appassionati di Giappone.
Nel giugno di quell’anno pubblicò un volume dedicato agli eventi del marzo giapponese, intitolandolo “Tsunami nucleare”, da cui poi trassero un documentario: A Nuclear story.

Molto attivo su Twitter, commentava senza pietà sia ciò che succedeva in Asia sia nel resto del mondo, senza dimenticare la sua prima casa, l’Italia. Non si risparmiava, non si tratteneva, non importava quanto dure potessero essere le sue parole, ma certo non mancava l’ironia nei suoi commenti. I suoi discorsi non erano vani, ma avevano una maniera spigolosa e tagliente di arrivare al sodo. Amava il Giappone tanto quanto lo amo io, e proprio per questo lo criticava altrettanto aspramente, come un genitore che si accanisce sul figlio che sa essere migliore di come si comporta.

Quando mi ritrovavo a parlare con delle amiche o delle conoscenze del periodo legato allo studio della lingua giapponese, eravamo solite dire: “Sì è sempre Pio d’Emilia” (un po’ come Peter Petrelli, va sempre citato per nome e cognome insieme) e ridevamo del fatto che, ancora una volta, saltava fuori nei nostri discorsi, alla tv, su un quotidiano, in un documentario.

Il 2020 e la pandemia

Ci ha tenuto compagnia durante la pandemia, dalla terrazza della sua casa di Tōkyō, mentre con la città alle spalle ci aggiornava riguardo la situazione di Cina e Giappone. Placido, con un’aria seria ma non tanto da far nascere ansia, quel tanto che bastava per dare importanza a ciò che stava raccontando. Instancabile, sempre informato, sempre pronto.

Non era il mio narratore, ma era il narratore della storia che mi interessava ascoltare e la sua voce ha accompagnato gran parte della mia vita da adulta.
Ha lasciato questo enorme show all’improvviso, è scivolato via, lasciando, lì dove c’era sempre stato un rumore di sottofondo, di quelli che ti aiutano a dormire perché sai che dall’altra parte c’è qualcuno, un immenso e brutale silenzio.

Vi lascio l’ultimo articolo che ha scritto, C’era una volta il Giappone, andato online il giorno prima della sua scomparsa, perché le sue parole rimangano ancora un po’ nell’aria, perché io possa dire ancora una volta: “Sì, è sempre lui, è sempre Pio d’Emilia”

Stay Kind
Love, Monigiri
💙🍙

Monica Fumagalli
Monica Fumagalli
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