Latte e Cartoni, le sigle come fenomeno pop nella musica italiana

Prendete un pomeriggio qualunque degli anni ‘90. Come molti altri bambini, con ogni probabilità mi stavo affannando per terminare i miei compiti entro le 16. “Prima il dovere e poi il piacere”, mi ricordava sempre la mia mamma.

Eh sì, perché a quell’ora arrivava il mio momento preferito della giornata: la merenda pomeridiana. Alle 16 in punto chiudevo i quaderni e mi piazzavo davanti al televisore, con la mia tazza di latte e i frollini da gustare insieme ai miei cartoni animati preferiti. Tuttora il profumo dei biscotti inzuppati mi ricorda di quell’oretta spensierata passata a guardare l’episodio quotidiano, nonché l’ansia di sapere come sarebbe continuata la storia l’indomani. A quei tempi, infatti, i cartoni animati venivano trasmessi in fasce orarie specifiche e tendenzialmente per ogni titolo veniva mandato in onda un solo episodio al giorno. All’epoca, a meno che non si avesse la tv satellitare, non erano diffusi i canali tematici che oggi replicano le stesse puntate in loop 24 ore su 24, 7 giorni su 7, né tantomeno esistevano le piattaforme on demand e di streaming. Se mancavi l’appuntamento o scordavi di sintonizzarti in quei precisi orari, la puntata era persa. Zero repliche. Escludendo il videoregistratore (questa è un’altra storia), l’unico rimedio era aspettare la ricreazione l’indomani a scuola per farsi raccontare dai compagni che cosa era successo a Rossana ed Heric.

Potrei dire quasi che il fatto che i cartoni animati venissero trasmessi solo in quelle precise finestre temporali (e non fossero a disposizione senza limiti) mi ha insegnato in primis ad apprezzare quello che stavo guardando, nel momento in cui lo stavo guardando, ma soprattutto ad organizzarmi bene la giornata: una skill che da adulta mi è tornata estremamente utile. Anche oggi probabilmente preferisco la politica di alcuni servizi di streaming di caricare un episodio a settimana rispetto al binge watching sfrenato. Quel piccolo momento di svago incastrato tra gli impegni settimanali rappresenta un traguardo che scandisce la routine, un piccolo piacere dopo il dovere. Ed è un po’ come sentire di nuovo il profumo della merenda.

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L’olfatto nel mio caso è un senso importante attraverso il quale rievocare quei momenti d’infanzia, ma un imprinting fondamentale che ha messo radici nel cervello di tutta la progenie degli anni ‘90 è passato dalle sensazioni uditive, grazie al “fattore sigla”.

Le sigle televisive dei cartoni animati, per come le intendevamo in Italia in quegli anni, erano un genere musicale a parte. Non si limitavano ad essere dei semplici jingle introduttivi, ma si trattava di canzoni pop vere e proprie, create appositamente da fior fior di compositori (Ninni Carucci o Franco Fasano, giusto per menzionarne un paio). Infatti, i brani spesso e volentieri presentavano anche delle strutture inusuali e per nulla banali: un esempio è la sigla de I gemelli nel segno del destino, che vanta un ritornello con tempo dispari. In musica, i tempi pari (come ad esempio il classico 4/4) sono misure che ci comunicano familiarità e “perfezione”, suonano più orecchiabili e ci rendono spontanea l’azione di “battere il piede”. I tempi dispari (quelli che al numeratore della frazione hanno dunque un numero dispari) sono detti irregolari, e suscitano nell’ascoltatore un senso di imprevedibilità, perché se si batte il piede ad istinto si va fuori tempo. Laddove ci si aspetterebbe che la battuta musicale sia finita, in un 5/4 (come nel caso della sigla sopraccitata) c’è invece un “movimento ritmico” in più, che “ritarda” dunque l’inizio della battuta successiva. È una particolarità musicale che si trova di rado nel pop, a maggior ragione diventa peculiare in una sigla destinata a una trasmissione intesa prevalentemente per l’infanzia.

Discorso a parte va fatto invece per i testi, a volte non ispirati quanto la parte musicale. Da adulti abbiamo ridacchiato tutti sulle rime con i superlativi assoluti e sugli aggettivi buttati un po’ a caso in riferimento al protagonista di turno. Intendiamoci, non voglio biasimare gli autori: immagino che gli venissero forniti solo pochi elementi generici della trama, e non è un’impresa facile tirare fuori un testo partendo da vaghi accenni; in un attimo però ci si ritrovava ad ascoltare sigle con una sfilza di “rapidissimo-fortissimo-giustissimo”. Ad ogni modo, le sigle dei cartoni di quegli anni erano un successo tale che periodicamente venivano raccolte tutte insieme per la pubblicazione di dischi interi, e i loro interpreti (Cristina D’Avena e Giorgio Vanni su tutti) sono diventati e sono tuttora a pieno titolo star della musica italiana. I loro concerti in giro per tutta Italia sono tutt’oggi sempre sold-out, grazie all’affezionato e nutrito pubblico in larga parte composto da “ex-bambini”. E una volta che ci si ritrova nel parterre, non importa se si è metallari, neomelodici o punkabbestia: siamo tutti uguali quando torniamo bambini di fronte alle sigle dei nostri cartoni preferiti.

i gemelli nel segno del destino sigla italiana

Le sigle avevano anche un’altra funzione molto importante: erano il “richiamo” che ci attirava davanti alla TV (rigorosamente cantando a squarciagola) se per caso ci si trovava in un’altra stanza o distratti da qualcos’altro, e annunciando il momento della messa in onda ci permettevano di non perdere l’inizio della puntata.

Oggi, con l’avvento delle repliche nei canali tematici, le sigle hanno forse perso questa loro utilità, e probabilmente anche per questo non sono più così diffuse. Nei cartoni destinati ai più piccoli si limitano spesso ad essere brevi jingle, a volte anche solo strumentali, in altri casi invece si preferisce lasciare le opening originali, come per gli anime trasmessi ormai quasi esclusivamente sulle piattaforme online, che pure sono apprezzate da una grande fetta di pubblico. Non si compongono quasi più intere canzoni dedicate appositamente alla messa in onda degli episodi, tranne rare eccezioni: una di queste, per fare un esempio, è la sigla di Miracolous LadyBug cantata da Briga e Gaia Gozzi. C’è da sottolineare inoltre che Giorgio Vanni, in duo con il suo collaboratore Max Longhi, continua a comporre canzoni ispirate a serie animate o a videogiochi del momento, sebbene queste non vengano necessariamente utilizzate come sigle ufficiali, ma vengono comunque molto apprezzate sia in streaming che nei live.

Nonostante il “fattore sigla” abbia quasi del tutto perso la sua ragion d’essere in TV, possiamo dire che la sua dignità come canzone pop all’italiana non è andata mai persa. Anzi, in un certo senso ha ritrovato la sua ambizione originale: essere considerata un genere musicale a sé stante, con interpreti specializzati, singoli pubblicati e concerti dal vivo, dove speriamo di poterci spaccare le corde vocali ancora a lungo.

di Marta “Minako” Pedoni

Marta Pedoni
Marta Pedoni

Marta Pedoni è una cantante, attrice e performer. Ha inoltre studiato doppiaggio cantato a Roma presso la Scuola Ermavilo fondata da Ernesto Brancucci.
In arte Minako, sceglie questo nome in onore di Sailor Venus. Classe 1990, la sua vita (nonchè la sua personalità) si divide tra arte e scienza, in equilibrio tra razionalità e sensibilità. Tutto ciò si traduce, per farla breve, in una Principessa Disney laureata in Tecniche di Laboratorio Biomedico.
Quando non è su un palcoscenico a cantare, recitare e ballare o non viaggia su un aereo, parla di musica su Niente Da Dire e conduce con Daniele Daccò Il Cornetto Del Mattino sul canale Twitch de Il Rinoceronte Viola.

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