Indiana Jones al cinema è sempre un momento storico, a prescindere dal fatto che faccia seguito a un capolavoro come “L’ultima crociata” oppure a qualcosa che forse è meglio dimenticare come “I teschi di cristallo”. A prescindere dalle delusioni del passato, ogni volta che sento il “motivetto” di John Williams non posso fare a meno di saltare sul divano come Tom Cruise e sono sicuro anche voi.
Indiana Jones rimarrà per sempre Indiana Jones.
E sono anche abbastanza sicuro che i tre film classici non potranno mai essere eguagliati, per motivi sia storici che sociali e questo è qualcosa che dobbiamo metterci da parte: Indiana Jones ha avuto il suo momento, rimarrà nella storia per sempre, ma era quello il suo momento e nessun altro.
Il fatto che le sue avventure continuino (escludendo la stupenda serie tv) non va a intaccare le opere precedenti, per quanto poco riuscite possano essere. Questo lo dico proprio perché “Il quadrante del destino” è un’avventura di passaggio che a tratti esalta il buon Archeologo, ma per il resto lo prende a randellate in faccia.
Dovrebbe essere semplicemente un’avventura, non il finale di Indiana Jones, non hanno capito che non vogliamo e non è necessario andare a concludere la vicenda di un personaggio che più che un personaggio è un archetipo. Non mi interessano, e non dovrebbero interessare, i problemi d’amore, di matrimonio e con il figlio di Indiana Jones.
Indiana Jones è l’avventura e l’avventura non deve essere per forza approfondita, deve essere vissuta. Nei Predatori noi non sappiamo praticamente niente di Indy, ma non è un problema.
Anche la decisione di inserire flashback, a differenza delle altre pellicole, rallenta il coinvolgimento nell’avventura, non siamo lì a viverla con lui, la stiamo semplicemente guardando sullo schermo e anche questo è uno dei punti a sfavore della pellicola.
Un altro è Phoebe Waller Bridge che, nonostante sia un personaggio stupendo, interessante, acuto e coinvolgente, compare troppo. Se io vado al cinema per vedere un’avventura di Indiana Jones, io voglio vedere Indiana Jones e penserete più di una volta una cosa del genere guardando la pellicola: “Sì, brava, ma dov’è Indy?”.
Se mai uscirà, cosa molto probabile, un film dedicato a Elena Shaw, andrò a vederlo e mi lamenterò se vedrò qualcos’altro oltre lei, ma se sono in sala a guardare Indy, voglio vedere Indy.
Indiana Jones, il finale della pellicola
La pellicola si lascia andare sul finale, non riuscendo a capire cosa è elegante e cosa no. Un vecchio crociato che riesce a vibrare solo un colpo di spada prima di cadere? Elegante. Una gigantesca guerra in CGI, esplosioni e portali nello spaziotempo? No.
Entrambi incredibili? Assolutamente. Entrambe eleganti? No.
Mangold gira tutto il film sotto pressione, la pressione di dover rivaleggiare con Spielberg, ne imita la regia costantemente, senza mai però riuscire a eguagliarla, ovviamente. Spiace un po’ e alle volte e per i più attenti, risulterà anche pesante, ma ciò che vediamo alla fine è chiaro e limpido e forse è sufficiente questo.
“Il quadrante del destino” è un’avventura di Indiana Jones, forse più simile sia per trama che per sviluppo a una lunga puntata di una serie tv, che colpisce duro, dritto al mento, dimostrando di non aver compreso a pieno com’è il personaggio e cos’è l’avventura.
Tra Han Solo, Luke Skywalker e ora Indy, c’è questo bisogno di distruggere i personaggi classici facendoli colpire duro dal passato.
Forse è ora di smetterla.
Comunque almeno un’avventura degna di questo nome c’è stata. A questo link trovate le mie vicissitudini in quel di Taormina alla proiezione speciale con il cast.
di Daniele Daccò