Quando si parla di “Rivoluzione culturale” il primo pensiero volge inevitabilmente alla Cina di fine anni Sessanta. Di certo questa espressione non porta con sé il significato positivo che un ipotetico rivoluzionamento dal punto di vista della cultura potrebbe significare. Questo termine nasce proprio dai presupposti sbagliati di ciò che si intende sia come rivoluzione sia come cultura. Le rivoluzioni sono sempre state dei moti in qualche modo partiti dal basso per andare a movimentare un alto che altrimenti avrebbe continuato secondo il proprio percorso in un ordine sociale sgradito ai più. Però è anche vero che non è sempre così; chiamiamo rivoluzione anche altro, come quella industriale o se vogliamo Internet è stata una rivoluzione.
Rivoluzione e desiderio di cambiamento
Una rivoluzione di per sé non è né bella né brutta ma le cause di una rivoluzione sono sempre un desiderio così forte di cambiamento da necessitare uno strappo alla situazione precedente.
I nomi che vengono assegnati dalla storia a questo genere di attività considerano le conseguenze e le cause.
Non sempre tuttavia cause e conseguenze ci rimangono ben chiare nella mente.
Lo stesso termine rivoluzione, per i motivi sopracitati e molti altri, può scatenare in ciascuno di noi una reazione differente.
Ci sarà chi più a suo agio nel cambiamento trovi conforto in un desiderio di rivoluzione poiché è necessario per un futuro migliore.
Ci sarà chi rimarrà spaventato e inorridito da questo termine perché violento esagerato e innecessario perché va bene così.
Ora tralasciamo un attimo la rivoluzione culturale cinese per dedicarci al pensiero di ciò di cui abbiamo bisogno adesso. Per esempio, un’emergenza climatica che non tratta più di futuro ma di presente e di passato e, se sul passato non possiamo farci niente, sul presente dobbiamo agire.
Pausa ambiente, passiamo alla battaglia incessante per la parità, l’uguaglianza, i diritti, il genere.
Sì lo so che sono tutte battaglie diverse ma passatemi la generalizzazione sotto il termine comune che “siamo tutti creature f*ttamente uguali con il diritto di essere trattate e rispettate nella nostra unicità rimanendo pur sempre uguali nei diritti nei doveri e nella libertà”.
Ebbene, questo tipo di pensiero che ad alcuni sembrerà naturale è normale per altri può risultare rivoluzionario.
Tralasciando quanto sia ingiusto che questo tipo di pensiero sia ambientale sia umano non sia ancora la normalità, vediamo anche qui come il termine rivoluzione possa già avere un nuovo significato rispetto a quanto scritto finora.
Utilizzo corretto delle parole
Da scrittrice sono una grande fan dell’utilizzo appropriato delle parole così come sono una grande fan dell’etimologia e della semantica.
L’etimologia è l’origine del termine e rivoluzione parte dal senso di ri-volgersi, fare una svolta, trovare qualcosa di nuovo.
La semantica è significato che appioppiamo alle parole in vari periodi della nostra vita, storia e geografia.
Io credo che ci sia bisogno di una nuova rivoluzione culturale e se dico una cosa del genere è chiaro che mi vedete già in piazza con le giacchette rosse e il libretto Rosso di Mao.
La rivoluzione culturale del 1966 è quanto di più lontano da una rivoluzione e da una cultura ci potesse essere: tutto architettato a monte con manipolazioni inquietantemente e sorprendentemente ben riuscite da parte da un Mao che stava perdendo consenso. I giovani studenti si sentivano i meno rappresentati, i più vittima di ingiustizie e di disparità sociali, per questo avevano cominciato a scrivere e gridare a gran voce il loro desiderio di essere ascoltati a partire dai dazibao, i manifesti enormi di protesta sulle mura delle città.
Tornando al presente, la cosa assurda è che se parliamo di questi concetti in maniera astratta: siamo tutti d’accordo che bisogna salvare l’ambiente e che siamo tutti uguali, ma poi…
“io non esco con quella persona perché è di un’altra estrazione sociale”, “io non posso farmi vedere in giro con te perché sei vestito in questo modo-poi cosa pensano gli amici?” “salviamo i pinguini ma compro tutto monodose monouso perché non ho tempo di lavare i piatti”.
Allora sono l’individualismo e l’unicità di cui noi ci sentiamo portatori sani e portavoce inascoltati a essere la nostra stessa catena?
Io credo fermamente che ci serva una rivoluzione culturale.
Però, non credo che sia ancora in moto perché tutte le parole di cui ci riempiamo la bocca poi non vengono seguite dalle azioni.
Poi è vero, nel piccolo possiamo fare veramente un 0,00001% perché sono i governi a dover agire. Gli stati. Le multinazionali. Chi guida il mondo non è il singolo, ma comunque rimane che l’ipocrisia dietro cui ci nascondiamo “in grande” nasce dagli atteggiamenti “nel piccolo”.
Per questo serve una rivoluzione perché le cose fatte piano piano non cambiano mai, perché serve urlare, perché serve uno strappo, serve che ogni pensiero di questo genere sia davvero seguito da un’azione per quanto possa essere scomoda o spostarci dalla nostra pigra abitudine.
Serve una rivoluzione culturale e serve ridare una nuova dignità semantica a questa espressione.
È il nostro modo di pensare e di agire che deve cambiare, la nostra cultura.
Serve una rivoluzione culturale di nuovi dazibao, di urla al cielo, di manifesti e di vernice sui monumenti.
Se serve, si fa tutto, no? Serve cambiare approccio e soprattutto serve attaccarsi alle azioni e non alle parole.
Da scrittrice e linguista soffro e mi disgusta oltremodo vedere quanto siano le stronz*te lessicali vengano utilizzate come limite e non come aiuto espressivo.
Rivoluzione o un altro termine, l’importante è l’obiettivo
Quindi se la parola Rivoluzione ci fa paura, va bene, chiamiamola in altro modo, chiamiamola Transenna Felice, chiamiamola Bastioni animati, chiamiamola Afwerwdfgewf2102.
Fa niente, me la metto via e non riqualificheremo questo termine, pazienza.
Ma deve iniziare a importarci davvero delle cose, delle persone, dell’ambiente.
Oltre le parole. Oltre il pensiero.
Costa fatica? Siamo pigri? Chissenefrega.
E lo so che se sei arrivat* fin qui a leggere, a te importa.
Ma fai che te ne importi di più.
Può sempre importare di più.
E chiediti – io me lo chiedo sempre – dal pensiero all’azione quanto spazio c’è?
Alessandra ‘Furibionda’ Zanetti