Perdere (e ritrovare) la propria identità: la Corea durante la Dominazione Giapponese

Immaginatevi di svegliarvi un giorno e di trovare la vostra città occupata, il vostro luogo di lavoro messo a soqquadro, la vostra scuola svuotata di tutti i libri.
Questa è l’immagine che i coreani dovettero assistere in un giorno di fine agosto del 1910, quando il Giappone ufficializzò l’annessione della penisola coreana all’Impero.

Dal 1910 al 1945, la Corea unita visse uno dei periodi più difficili della sua storia, oggi ricordato con il chiaro nome di “Dominazione Giapponese”. In questi trentacinque anni, il Giappone si approcciò alla sua colonia in modalità diverse, accomunate da uno sfruttamento sistematico delle risorse economiche e umane.
Storicamente, la Dominazione Giapponese attraversò tre fasi: quella più repressiva, culminata con la manifestazione del Primo Marzo, quella più culturale e infine quella di inglobamento.

A seguito della conferma dell’annessione e per i primi nove anni, la politica giapponese si concentrò a reprimere ogni qualsivoglia volontà del popolo coreano. La censura portò all’eliminazione dei simboli coreani e delle forme di comunicazione che venivano considerate dal Governo di Tokyo come “ribelli”.
In questo clima, si svilupparono dei gruppi sovversivi autorevoli, che non si arresero alla cancellazione dell’identità nazionale che l’Impero stava attuando.

Dichiarazione d’indipendenza del 1919

Un gruppo di intellettuali, il primo marzo 1919, firmò una Dichiarazione d’Indipendenza, scritta dallo storico Choe Nam-seon. Tale dichiarazione fu ispirata ai Principi di Autodeterminazione dei Popoli che presidente Wilson aveva portato alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919.
La Dichiarazione d’Indipendenza Coreana venne letta a Pagoda Park, dove una folla sempre più numerosa si organizzò una marcia pacifica, che prese dimensioni nazionali e venne duramente repressa dall’esercito giapponese.

I fatti del primo marzo e il suo gruppo di ispiratori, che presero il nome di Sam-Il Movement, furono un segnale forte per il Giappone.
Dal 1919 e per circa una decina di anni, la Dominazione Giapponese si trasformò in una forma di controllo meno repressivo e più propositivo. La ricerca di arrivare ad un reciproco – seppur sbilanciato – scambio di interessi portò al miglioramento delle infrastrutture del Paese.
Ciò che il Giappone non aveva calcolato era il totale dissenso del popolo coreano, che non aveva alcuna intenzione di collaborare con un Dominatore che per anni aveva cercato di cancellare l’identità del Paese. Molti coreani decisero di emigrare altrove per cercare fortuna e per sfuggire alla repressione e molti altri si ersero coraggiosamente contro il sistema.
Alcuni dissidenti, gli stessi del Sam-Il Movement, fondarono un Governo Coreano provvisorio, con sede a Shangai.
Le necessità del Giappone di far fronte alla raccolta di risorse per la politica coloniale spinsero il governo di Tokyo a tornare alle politiche repressive. La volontà di inglobare la Corea e i coreani si tradusse in utopistiche campagne di “trasformazione” e “unificazione”.

I coreani e l’amore per la propria nazione

Questo fu forse il momento più difficile per i coreani e quello che porterà, alla fine della Seconda Guerra Mondiale e della Dominazione, al desiderio di riscatto coreano.
I coreani amano la loro nazione perché, per anni, fu vietato loro parlare la loro lingua, rispettare le loro tradizioni e portare un nome coreano.
La privazione della loro identità nazionale per oltre trentacinque anni ha portato al popolo coreano – in modo diverso tra Nord e Sud – a cercare ogni giorno di confermare la sua identità e di far conoscere a tutto il Mondo cosa significa essere coreani.

di Silvia ‘Stovtok’ Pochetti 

Silvia Pochetti
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