L’altro giorno mi sono tagliata.
Non me ne sono accorta subito, ma poi ho visto il sangue, ho sentito il dolore; una volta presa coscienza non ne ho più potuto ignorare l’esistenza.
Perché è così, puoi far finta quanto vuoi, essere convinto di essere invulnerabile, ma ad un certo punto senti male e non puoi più ignorarle, e non vale solo per le ferite del corpo.
Così come un piatto o un bicchiere si crepa o va in frantumi anche a noi, nel corso delle nostre vite, capita di romperci.
E volte è solo un graffio superficiale, in altre occasioni finiamo in pezzi e crediamo di essere compromessi definitivamente, con un valore minore a causa delle nostre cicatrici, ma anche solamente dei nostri difetti e delle nostre mancanze.
Se invece fossero proprio quelli a renderci speciali, unici e insostituibili?
L’arte del kintsugi
In Giappone, quando una ciotola importante si rompe, spesso la si porta ad aggiustare, la si lascia nelle mani di un artista che la ripara con la pratica del kintsugi (金継ぎ “riparare con l’oro”).
La tradizione vuole l’utilizzo dell’urushi unito a della polvere dorata, per ricongiungere insieme le parti divise.
Urushi è la linfa dell’omonimo albero, che si estrae come si fa un po’ con lo sciroppo d’acero, e da cui si produce una lacca utilizzata in Giappone da quasi 6000 anni.
Ci vuole tempo, ce ne vuole molto se vuoi fare le cose fatte bene.
Ma poi, quando la ciotola ritorna nelle mani del suo proprietario, ha una nuova vita, ancora più bella e unica di prima. Cicatrici dorate impreziosiscono quelli che sarebbero difetti, difetti per cui in altre occasioni ci saremmo liberati dell’oggetto.
L’esperienza in prima persona
Di prima mano ho sperimentato questa tecnica in un workshop di due ore.
Avevo un piatto fondo intatto che io stessa ho infranto armata di martello. Non pensavo che rompere qualcosa sarebbe stato così difficile e così bello allo stesso tempo.
Un respiro, il vuoto nella mente, l’attrezzo come prolungamento del mio braccio.
Bisogna prendersi il proprio tempo, bisogna utilizzare forza, ma non troppa.
Un colpo e ciò che prima era una cosa sola si infrange a causa tua.
Mi tremavano le mani.
Dopo la distruzione è venuta la ricostruzione, lenta, pezzo per pezzo.
Tenendo insieme i frammenti, attendendo che il bicomponente tinto di polvere d’oro si solidificasse, mi sembrava di star facendo fluire la mia energia e un pochino della mia anima all’interno dell’oggetto.
Lo stavo aiutando a guarire.
Vivere il presente
Il kintsugi non è qualcosa che si può fare di fretta e soprattutto non si può fare altro mentre si è impegnati nella ricostruzione: niente smartphone, poche chiacchiere, nessuna distrazione, vietato il multitasking.
Se perdi di vista il tuo obiettivo le parti della porcellana non si salderanno, la ferita rimarrà aperta, non ci sarà guarigione, non ci sarà pace.
Tempo, attenzione completa, scoperta.
L’importanza di ogni nostro gesto e di ogni nostra scelta.
Tutto questo ho vissuto nel workshop a cui ho partecipato questo mese negli spazi di Tenoha a Milano. Una realtà che apre le porte sul Giappone e ti permette di viaggiare senza allontanarti dall’Italia.
Quando abbiamo cominciato a non avere più tempo per fare una cosa per volta, per riversare tutta la nostra attenzione in un unico gesto? Per dare tutti noi stessi ad un’unica attività?
Quando abbiamo cominciato a correre verso ogni obiettivo raggiungibile, rendendoli così tutti irraggiungibili?
Stay kind
Love, Monigiri