Il K-pop raccontato agli occidentali (da un’occidentale)

Alla fine degli ottanta, la Corea del Sud stava affrontando una profonda fase di trasformazione: dopo un periodo di dittatura, lo Stato si affacciava al nuovo decennio con una forte necessità di libertà, anche dal punto di vista artistico. La censura, strumento in mano ai governi precedenti, negli anni Novanta lasciò spazio a una nuova generazione di artisti che, anche in ambito musicale, creò una vera e propria rivoluzione.
L’11 aprile 1992, durante una manifestazione canora trasmessa sulla televisione nazionale, salì sul palco un gruppo di giovani: i Seo Taiji & Boys. Seo Taiji i membri del suo gruppo si presentarono vestiti all’occidentale, con un pezzo che sembrava provenire da un altro mondo, da una Corea rimasta fino a quel giorno nascosta. In una scena musicale abituata alle canzoni nazionaliste e romantiche accettate dalla censura, i Seo Taiji & Boys iniziarono a ballare e cantare come una boy band americana con sonorità rap e pop e sconvolsero la giuria del programma. L’11 aprile 1992 è la data di nascita del K-pop.

I Seo Taiji & Boys, la nascita ufficiale del K-pop

Seo Taiji & Boys diventarono un fenomeno di costume potentissimo: oltre a vendere migliaia di copie della loro canzone di debutto, il gruppo si fece riconoscere per il suo stile d’abbigliamento – che portò i loro fan a vestirsi con abiti invernali extralarge anche in estate – e, soprattutto, per il contenuto delle sue canzoni.
La continua ansia da prestazione scolastica, il bullismo, la necessità di evadere dagli schemi imposti dagli adulti sono solo alcuni dei messaggi veicolati dalle orecchiabili canzoni dei Seo Taiji & Boys. Per la prima volta dalla sua nascita, la Corea del Sud dovette fare i conti con il mondo giovanile, figlio dei figli della guerra, sulle quali spalle era stato messo il futuro dell’intero paese e le speranze di un popolo da decenni trattato come straniero in madrepatria. La carriera dei Seo Taiji & Boys durò solo quattro anni, ma bastò per sconvolgere il mondo musicale coreano.
Se, all’inizio, il Governo – fomentato anche dalla parte più tradizionalista della società – vide nel K-pop un fenomeno da contenere, poco a poco i profitti della nuova musica popolare convinsero anche lo Stato a investire ingenti somme di denaro in questo settore. Esattamente come per tutte le altre componenti della società, anche il K-pop venne integrato nel sistema della produttività intensiva alla coreana; a metà degli anni Novanta, tre lungimiranti imprenditori – uno dei quali era stato uno dei “Boys” di Seo Taiji – fondarono le tre etichette discografiche che, almeno nei primi anni, dominarono il mercato: la SM Entertainment, la YG, e la JYP.
Nacque così la Hallyu, o Korean Wave, ovvero “l’ondata” culturale coreana che invase gli altri paesi e che, anche oggi, mostra i suoi effetti in tutto il mondo. Sono trascorsi circa trent’anni da quel fatidico giorno di aprile e, nel frattempo, si sono susseguite tre (stiamo entrando ora nella quarta) generazioni del K-pop.

Ma cos’è, in effetti, il K-pop?

Troppo facile ridurre tutto alla semplice etimologia della parola: la musica pop prodotta in Corea del Sud. Il K-pop oggi è un’industria multimilionaria, con un potere mediatico straordinario, soprattutto in madrepatria. Seppure basato su un’arte, la musica, il K-pop non si differenzia dagli altri settori produttivi del Paese; con essi condivide lo stesso ideale: il sacrificio del singolo a favore della comunità. Possiamo riassumere i fattori che distinguono il K-pop dalla musica occidentale in due grandi concetti: la figura dell’idol (ovvero dell’artista) e la produzione in serie.
Cresciuti sin da piccoli per essere dei performer, gli idol sono, il Corea del Sud, una sorta di creatura sovrannaturale. Esteticamente perfetti e dal comportamento integerrimo, gli idol sono giovani ragazze e ragazzi totalmente votati all’intrattenimento dei propri fan. Durante la loro vita artistica gli idol non possono “macchiare” la loro immagine mischiando le loro vite con quelle dei comuni mortali e, per questo, devono tenersi alla larga da ogni tipo di scandalo o relazione amorosa.

Queste macchine perfette sono inserite nel sistema dell’intrattenimento che, esattamente come un’industria, si basa su sistemi produttivi studiati per il successo. Ogni passaggio della vita di un gruppo K-pop viene studiato in ogni minimo dettaglio, dalle audizioni agli anni di allenamento, dalla scelta dei componenti di un gruppo al debutto.

I 3 cardini del K-pop

Sono tre i cardini su cui si fonda il successo di una canzone K-pop: il concept, ovvero lo stile visivo, la coreografia e, infine, la canzone stessa. Il prodotto finito di un brano K-pop è il relativo video musicale, un cortometraggio esplosivo, creato per stupire il pubblico. Scenari variopinti o ambientazioni dark, ritornelli orecchiabili o intermezzi elettronici: il K-pop non può essere definito solo come “musica pop”, poiché, a tutti gli effetti, è un universo a sé stante, fatto di regole ben precise e calcolati cambi di direzione.
Grazie all’enorme successo del K-pop nel mondo, la Corea del Sud, negli ultimi anni, ha accolto milioni di turisti, incuriositi prima dalla musica e, di conseguenza, dalla cultura coreana in generale. Ciò che era nato come un genere di rottura con le regole imposte dalla società è, oggi, uno dei mezzi più potenti per la Corea del Sud per farsi conoscere nel mondo.

di Silvia “Stovtok” Pochetti 

Silvia Pochetti
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