La liberta dei pensieri e dei corpi sono concetti ancora molto lontani dall’essere accettati dalla società. Viviamo dentro strade solcate dal cattivo pensiero, dal pregiudizio e da un’etica stringente delle intenzioni.
Quindi, la castrazione delle parole, dei simboli, della creatività risiede dietro l’angolo. A questi si aggiunga il problema, anche questo reale quanto ingombrante, del ruolo della donna nella società. Imporre le “corrette” parole, il “giusto” posto da occupare, le “buone” norme da seguire sembra la prassi e non l’eccezione di realtà più ristrette.
Così, quando ho incontrato Ester Cardella nella zona rossa del Torino Comics, mi sono emozionata nel vedere i suoi occhi brillare mentre parlava di libertà e della sua arte. Perché, lo sappiamo bene, è una lotta continua tra chi siamo e quale maschera vogliamo bruciare per sentirci libere dal peccato. Un peccato che è retaggio antico e che dovremmo pensare di obliare.
Quindi, accostata a Ester mentre disegnava nel suo stand, le ho chiesto di parlare con me e raccontarmi il suo mondo. Un mondo pieno di rivoluzioni e impegno. Ecco, quindi, la mia intervista a Ester Cardella.
Chi è Ester Cardella?
Sono una ragazza di Palermo. Una ragazza che cerca di mettere in gioco sé stessa, “sfruttando” il proprio lavoro per conoscersi meglio.
Nell’illustrazione trovo un modo per guardarmi allo specchio. Il fatto di disegnare erotico è un ascolto terapico che faccio verso me stessa. Sono una ragazza che cerca di incontrarsi, conoscersi. Molte volte mi sono costruita un sacco di gabbie, ho indossato delle maschere, che ora cerco di togliere, a mio modo.
Qual è stato il primo fumetto che ha dato il via alla tua passione per l’illustrazione?
Sicuramente i fumetti di Andrea Pazienza. Anche se alcune volte mi dicono che i miei lavori possano ricordare Mino Manara e questa cosa mi fa battere parecchio il cuore. Con Andrea Pazienza non c’entro niente, però lui metteva tantissimo di sé stesso nelle sue opere, oltre che i suoi difetti, la sua vita sregolata. Ha parlato anche delle droghe, delle relazioni amorose…c’è anche tanto erotismo nelle sue storie.
Quindi Andrea Pazienza è stato sicuramente il mio la, mi ha indicato la via per riuscire a capire che il fumetto era un modo a me affine per comunicare.
Ho cominciato a capire che mi piaceva fare fumetti grazie a lui.
Hai fatto un percorso di studi abbastanza complesso per poi andare a ricercare un tuo genere. Com’è stato concretizzare di voler trattare l’erotico per poi esporlo al mondo?
Come ti dicevo prima, sono alla continua ricerca di me stessa. Inizialmente, quando andavo a scuola, cercavo il consenso dai miei insegnanti: studiavo tantissimo, portavo sempre più esercizi di quanti richiesti a lezione, tanto lavoro. Però in quelle tavole non c’ero io.
I miei disegni erano freddi, il tratto nervoso. Avevo acquisito la tecnica, le nozioni, le informazioni, però mancava qualcosa. La tecnica, infondo, non è niente senza la componente creativa, passionale, d’amore.
Anche dopo aver terminato la scuola, ho continuato a studiare. Ero talmente tanto tormentata dall’idea di disegnare per come pensavo che la società mi richiedesse, da continuare a giudicarmi e a studiare ancora.
Poi a un certo punto mi sono chiesta il perché continuassi a giudicarmi, se mi stessi divertendo in quello che facevo. Non avevo più il professore dietro la cattedra a dirmi se il mio lavoro andasse bene o male.
Ricordo, una notte con il lume acceso sulla scrivania immensa, piena di roba e disegni sparsi. Presi della carta con una forma particolare, rettangolare, stretta e lunga, regalo di una mia amica. Non stavo passando un bel periodo, avevo dei problemi con una relazione ed è stata proprio quella sensazione di distacco che mi ha spinta a disegnare per come volevo io.
Avevo bisogno di lasciarmi andare.
E da là è nato tutto il mio mondo. Se oggi sono qua è per quella notte, per la carta della mia amica e per quella relazione.
Da quel giorno, se sono nervosa, butto fuori tutto creando. Anziché pensare alla didattica come un chiodo fisso, al giudizio degli altri, penso alla mia liberazione.
Ho sempre avuto il controllo sulle cose, per questo la scuola per me era super importante, perché mi dava dei paletti fondamentali.
Ora l’illustrazione è come se fosse un rituale, una sorta di meditazione: entro in contatto con una parte evanescente, astratta, di me stessa. Un altro mondo, non reale. Prendimi per fricchettona, però è così!
Arrivi in contatto con quella parte di te stessa, che ti dà anche il rilascio di dopamina. Disegnare diventa vitale e quando torni nel mondo reale senti l’esigenza di provare nuovamente quelle sensazioni lì, di goderne ancora.
Come vivi il rapporto con la tua community?
I tuoi lavori vengono percepiti come una forma di liberazione anche per chi ne fruisce?
È tutto collegato: sto cominciando ad accettarmi per quello che sono, mostrandomi nella versione più naturale di me stessa, senza badare a cosa pensano gli altri, a cosa posso dire per piacere, cosa devo indossare o come posso mostrarmi al meglio per loro. Cerco, invece, di capire come sono fatta io e in questo modo non posso sbagliare. Le persone lo capiscono quando sei naturale: nel momento in cui sono in contatto con me stessa, gli altri, piaccia o no, vedranno che sono a mio agio.
Inizialmente vivevo la mia nuova strada artistica con un po’ d’ansia, perché gli altri mi dicevano: “ma tu quindi sei così” oppure “ah ma tu allora pensi queste cose, ti piace questo!”.
Nel momento in cui riesco a distaccarmi da questi pregiudizi, disegno quello che voglio, quello che mi piace. Mi entusiasma anche il fatto di regalare piacere alle persone a cui arrivano i miei disegni: quando qualcuno mi chiede una commissione ed è il regalo per la sua ragazza, ci metto l’anima e sono contenta che poi queste due persone riescano a godere di ciò che disegno.
Ho superato quella vergogna che mi ha accompagnata per tutta la vita e penso che se c’è chi trova ispirazione grazie a me, si sente più libero guardando i miei disegni, significa che ho fatto un buon lavoro. Ne sono soddisfatta.
È possibile pensare a una liberalizzazione sessuale nella società?
L’arte è comunicazione tramite simboli, così come la musica può essere evocativa o trasmettere sensazioni. Quando si è nervosi, si tende a cercare nella musica qualcosa che possa calmare; se sei carico, metti in cuffia, non so, un pezzo dei Megadeath o dei Pantera. Se sei innamorato ascolti Alex Britti. Ancora, se sei triste ascolti Gaber, oppure De André se vuoi piangere.
In quella musica, vi sono emozioni. Ciò che cerco di dare io è una visione erotica della realtà, ma non è soltanto questo.
Se abbracci l’erotismo, compi un elogio alla vita stessa.
Qualsiasi cosa tu possa fare, poi, nella vita, se ci metti passione, entri in armonia con te stesso. Il mio disegno è erotico perché ha dentro questa voglia di liberazione.
Non è più soltanto una visione sessuale, fisica, ma un sentirsi fieri di sé stessi e di tutto ciò che si possa provare. Se sei in armonia con il tuo corpo, hai migliorato qualcosa di enorme nella tua vita.
Ci sono delle ragazze che, certe volte, vengono a dirmi che non sanno che emozioni stanno provando nel vedere i miei disegni:
“non ho mai visto una cosa del genere, però mi sta piacendo”.
C’è una crisi.
Sì, perché ti metti in gioco! Ad esempio il personaggio della suora, che ritraggo in alcune illustrazioni, genera scandalo, ti fa provare delle emozioni. Io ricerco questo, voglio che la gente viva delle emozioni, che rimanga loro qualcosa che possa portarli a pensare.
Chiaramente sono anche contenta di sapere che i miei disegni piacciano sia agli uomini che alle donne.
Ma perché alle donne piace di meno o comunque lo dimostrano di meno? Perché l’uomo è più portato a liberare e a dimostrare le proprie fantasie?
Non è giudicato come può essere giudicata una donna.
Bravissima, la donna invece pensa che se dimostra di apprezzare determinate cose significa sicuramente qualcosa di non propriamente buono per la società.
Quindi vi è una sorta di pregiudizio che ti dai a monte di tutto, perché pensi:
loro poi mi giudicheranno.
Quindi per me è una soddisfazione riuscire a farmi apprezzare dalle donne tramite i miei disegni, perché così riesco a far provare anche a loro quello che provo io mentre creo.
Non voglio vergognarmi di ciò che disegno, se voglio disegnare una scena di sesso, d’amore o di autoerotismo, lo faccio e basta.
Fra uomini si parla tantissimo di sessualità, ma fra donne si ha un’enorme difficoltà. Con le mie amiche, da più piccola, non se ne parlava mai di queste cose.
Ancora, mia madre mi aveva detto che mi sarebbe venuto il ciclo con lo sviluppo, ma arrivata a una certa età non mi ha mai detto che comunque ho una vagina, composta in una certa maniera. E poi succede che farai sesso male nella tua vita, potrai arrivare magari ad avere dei figli, genererai vita, senza avere vissuto la tua, la conoscenza del piacere, del tuo piacere. Potrà capitare di scegliere di stare con una persona e con quella persona non riuscirai mai a essere veramente te stessa, perché non ti conosci.
Per questo per me il fatto di disegnare anche scene di autoerotismo è super importante: prendiamo una scena dove c’è una suora all’interno di una chiesa, con la bibbia in mano nell’atto di darsi piacere. Perdonami se sono così dettagliata, ma per me è un concetto importante.
All’uomo piace perché pensa “guardala, si sta liberando“, alla donna, invece, dovrebbe piacere perché potrebbe pensare “guarda, anche io mi sto liberando” e questa cosa per me è super importante, ci tengo tantissimo.
Ester, cos’è che ti lascia senza Niente da Dire?
Tendo a pensare tantissimo, quindi certe volte rimango in silenzio perché ho bisogno di concentrarmi per dire al meglio ciò che realmente voglio esprimere.
Quando mi dicono che faccio quello che faccio perché sono donna, che ho quella cosa in più dettata dal mio genere, chiaramente è come dire: “devi farlo, sei coraggiosa a farlo, hai questa dose di coraggio e talento, lo devi fare, brava”.
Non sanno, però, tutto quello che c’è dietro. Ora io con te mi sono aperta tantissimo. In quei momenti là, invece, è come se loro sottovalutassero tutto quello che c’è dietro e quindi rimango interdetta e dico: “scusami ma in che senso?”.
Non conoscono le situazioni che ho vissuto, la mia sessualità, i miei traumi e l’abbraccio che mi sono data nel riuscire a fare ciò che voglio. Non è stata una scelta che ho preso una mattina a caso, dicendo “oggi faccio questo perché così sarò quella che fa i fumetti erotici, sono tutti maschi e allora mi ci metto io che sono femmina”. No, è stata tutta una lotta, una scelta ben precisa.
Quindi rimango là e mi domando se sia il caso di rispondere oppure lasciare tutto così. Perché poi magari è fiato sprecato. E alla fine, o lascio perdere o dico “adesso siediti qua che ti racconto un po’ di cose”.
E ti racconto la storia della mia vita.
(Ride) Esatto, poi avrai bisogno di uno psicologo, però vabbè.
Miriam My Caruso