Una storia curiosa quanto inaspettata, il mio incontro con Don Alemanno. Ci siamo ritrovati a condividere un appartamento assieme ad altri collaboratori durante il Lucca Comics and Games 2023.
Pioveva forte, i giorni erano faticosi e pieni di incombenze, eppure tornare a casa significava trovare una persona sorridente che ti raccontava di quanto fosse andata bene la giornata, durante il quale aveva disegnato “un sacco di bestemmie”.
Siamo diventati amici, lasciandomi conoscere qualcosa in più di Alessandro Mereu, rispetto al suo alter ego Don Alemanno. Informatico, musicista e persona concreta. Così, abbiamo fatto quattro chiacchiere in una delle tante fiere in cui l’ho ripescato da dietro il suo stand capeggiato da Jenus. Ecco cosa mi ha raccontato.
Chi è Don Alemanno?
Don Alemanno è il nickname di un ex-tecnico informatico che ha iniziato per puro caso a riversare sul web le proprie vignette nel 2012. Dopo un anno di compresenza tra lavoro d’ufficio come informatico e questa forma primordiale di lavoro come content creator – quando ancora non esisteva neanche il termine – ho deciso di lasciare il lavoro d’ufficio per diventare definitivamente un fumettista a tempo pieno.
Qual è stato il primo albo o fumetto che hai letto?
Leggevo i Topolino quando ero piccolo, grazie ai quali ho avuto modo di imparare buona parte del linguaggio che tuttora utilizzo per i miei lavori e nella vita quotidiana. Consiglio vivamente a qualunque genitore di mettere in mano un Topolino ai propri figli, perché sono un’ottima scuola e sostegno alla propria dialettica. Poi, dopo i Topolino, sono passato a leggere Rat-man fino ad arrivare ai manga.
Com’è stato accolto il tuo personaggio Jenus sui social? Immagino ci sia stata una spaccatura tra haters, ovvero chi non comprende il tuo modo di comunicare, rispetto a chi riesce a coglierne l’essenza umoristica.
Allora, dipende. All’inizio non gliene fregava a nessuno delle vignette riguardanti i dogmi o i precetti cristiani, era un argomento che non provocava chissà quale tipo di flame. Mentre invece a provocare numerose polemiche erano le vignette riguardanti i membri del clero.
Un po’ come se della figura di Maria ai credenti non interessasse poi più di tanto, ma guai a toccare il clero o comunque figure riconducibili a personalità più contemporanee, come Padre Pio. Quindi, da una parte ricevevo le polemiche dei ferventi cattolici, dall’altra c’era la schiera di quelli che facevano già parte del mondo del fumetto grazie al percorso accademico classico.
Chi aveva intrapreso quel tipo di strada si è trovato ad avere a che fare con gente come me che arrivava dal web e questa cosa non è stata vista da tutti di buon occhio. Era un po’ un’invasione di campo.
Io credo che in realtà il fumetto sia un vettore per esprimere delle idee, valido in qualsiasi fonte di derivazione. Ho avuto rotture di scatole da parte dei, definiamoli, detrattori dei web comics, anche se poi sono diventato anche io un fumettista a tutti gli effetti con trenta volumi cartacei all’attivo, pubblicati dal 2013 a oggi.
Quindi da una parte abbiamo queste due tipologie di haters, ma dall’altra invece c’è una community che ti vuole bene, ti segue e sostiene.
Sì, sì, ma quelli sì, certo.
Fanbase e confessioni in anonimo
Un legame tanto stretto da far nascere Confessions, un libro delle confessioni dei tuoi followers. Qual è il rapporto con loro invece?
C’è una lore che sicuramente va avanti dagli albori di Jenus, ovvero: alcuni di loro sono convinti che io sia un vero prete. Altri, invece, sono coscienti che io non sia un prete, ma a loro fa comunque piacere pensare che possa esserlo.
Quindi si rivolgono a me come se veramente avessi un ruolo di confessore. Tramite le stories Instagram si rivelano, mi confessano delle cose che, secondo me, non hanno mai detto nemmeno al loro miglior amico. Robe anche gravissime!
Ma adottando l’anonimo?
Io so chi sono. Faccio le stories con il box per domande e risposte, quindi vedo chi manda i messaggi. Poi quando li condivido nelle stories, dove sotto do la mia risposta e la “penitenza”, lo faccio mantenendo il loro anonimato, ma la fonte d’origine del messaggio la conosco.
Una fiducia smisurata, che nel mio caso posso considerare anche ben riposta, nel senso che io ovviamente non vado a sputtanare nessuno. Ma a parti invertite io non lo farei mai. Non mi sognerei mai di andare da una persona semplicemente perché, magari, è mediamente nota a dirgli fatti miei.
Eppure c’è questa fiducia che, secondo me, è un po’ trasversale verso chiunque faccia il mio lavoro: tu segui una persona sul web e sei in qualche modo convinto che dietro a quel personaggio ci sia per forza qualcuno degno di stima, ma non è detto. Ho conosciuto una marea di creator, attori, cantanti, youtuber, di qualunque caratura. E c’è un sacco di gente che non mi piace.
Ma i follower sono convinti di parlare con il volto dei loro personaggi pubblici. Non è sempre così. È una specie di white noise che percorre le fanbase. Nel momento in cui tendi a mitizzare, idolatrare una persona, non puoi credere che, magari, abbia anche le tue stesse paure, che viva le stesse situazioni che vivi tu con lo stesso tipo di trasporto o anche con gli stessi traumi, no?
E tantomeno puoi pensare che sia una persona in grado di compiere nefandezze o magari essere priva di empatia, ma succede. Quindi diciamo che questa fiducia probabilmente nasce da questo, dalla convinzione che io sia una persona degna di fiducia, ma non lo possono sapere, semplicemente lo danno per scontato.
Hai avuto molteplici collaborazioni per i tuoi lavori, come quella con Pesov e Immanuel Casto. Come hai affrontato questo tipo di collaborazione e come hai messo a disposizione la tua arte per creare un qualcosa di nuovo?
Con Immanuel Casto successe che la Freak’n Chic mi ha contattato all’inizio della mia carriera per realizzare una carta di Squillo per l’espansione Bordello d’Oriente. Poi da lì è nata anche una collaborazione in campo musicale: in diversi concerti di Immanuel Casto sono stato chiamato come guest sul palco. Da lì abbiamo stretto rapporti personali con Immanuel, il suo chitarrista e tastierista, e un po’ con tutto l’entourage, diventando amici.
Poi sono iniziate una serie di collaborazioni con tanti creator nei campi più disparati. Dalla musica a Youtube. Con Boban è successo che durante una delle presentazioni dell’albo Jenus Redux a Parma assieme a Leo Ortolani, autore della copertina variant, l’editor della Magic Press mi informò che erano caduti i diritti su Heidi, perché erano passati 70 anni dalla morte dell’autrice del romanzo Johanna Spyri. In sostanza mi hanno chiesto di fare qualcosa su Heidi.
Siccome nel cassetto avevo una storia che parlava di nazivegani, ho capito immediatamente che poteva essere fatto un mash-up tra la storia di Heidi e ciò che avevo in mente. Così è nato Nazi Vegan Heidi. Ero, però, consapevole di non essere in grado di disegnarlo come avrei voluto, quindi ho chiamato Boban Pesov, con cui ero già amico e che ho sempre stimato molto come disegnatore, che aveva proprio lo stile adatto a ciò che avevo in mente.
Quindi, mentre Jenus è scritto e disegnato da me, Nazi Vegan Heidi è sceneggiato da me e disegnato da Boban Pesov. Ho portato avanti anche altre collaborazioni, coinvolto da aziende che non hanno nulla a che fare con questo mondo, ma questo è inevitabile, succede a tutti i content creators.
Stai lavorando a qualcosa di interessante? Ci vuoi fare qualche spoiler?
Un giorno mi sono svegliato e ho deciso di mettere in stand-by qualunque tipo di produzione fumettistica indirizzata a produrre opere cartacee.
Perché?
Per vari motivi, in buona parte derivanti da vicissitudini relative alla mia vita privata: ho sentito il bisogno di far sì che le mie fonti di guadagno derivassero soprattutto dagli eventi dal vivo. È indubbio che quando hai un format che funziona dal vivo, l’unità di tempo che dedichi a realizzare un’opera, come può essere un disegno su commissione in fiera, non è paragonabile a quello che ti può derivare economicamente da una percentuale abbastanza imbarazzante di royalties su un volume venduto.
Devi vendere un quantitativo di roba per cui veramente, secondo me, o sei Zerocalcare o il gioco non vale la candela. Preferisco lavorare durante gli eventi e quindi ottimizzare il mio tempo. Sentivo, anche, il bisogno di viaggiare, di avere nuovamente un contatto con la gente, cosa che avevo ridotto molto negli anni: realizzare un volume comporta non meno di tre mesi di lavoro dove sei concentrato solo su quello, poi verrà stampato e messo in circolazione e passano altri due mesi così.
I risultati di un prodotto cartaceo li vedi dopo molto tempo e ciò risulta anche un po’ alienante. Soprattutto dopo la pandemia, l’ultima cosa di cui avevo bisogno era alienarmi. Ho delle idee a livello embrionale, già abbozzate, ma non ho intenzione di dedicarci neanche un minuto del mio tempo ora come ora. Voglio fare fiere e voglio portare avanti il canale Youtube, dove ho iniziato anche le dirette con ospiti come Gianluca Iacono, Federico Frusciante e Maccio Capatonda. Cosa che avrei dovuto fare già da molti anni e che non ho fatto, sbagliando. Adesso voglio recuperare.
Don, che cosa ti lascia senza niente da dire?
La domanda “esiste Dio?”. Io non mi azzardo a dire di no. Dico che non lo so e volendo posso anche aggiungere che non me ne frega niente, perché tanto so che poi passerei tutta la vita a interrogarmi sulla questione senza arrivare a una conclusione dimostrabile.
Quindi, quando mi si chiede se esiste, io fondamentalmente non so cosa rispondere. Preferisco non pormi il problema.
Miriam “My” Caruso