Intervista a Claudio Chiaverotti, tra incubi e fragilità

Da piccola, adoravo sfogliare i Dylan Dog dei miei fratelli: incubi su carta in bianco e nero, che tingevano di rosso le acque del Tamigi. Ancora, leggevo di goblin che irrompevano nelle stanze di fanciulle indifese con i loro coltelli affilati o partite a scacchi che portavano il sangue sulle mani di ogni pezzo bianco divorato. Donne sensuali innamorate dell’indagatore dell’incubo, dai corpi sinuosi e il destino segnato.

Poi si cresce e la curiosità prende il sopravvento, col desiderio di dare a quelle storie dei volti e delle matite.

Ho incontrato Claudio Chiaverotti in più occasioni, come penna iconica della Sergio Bonelli Editore. Oltre Dylan Dog, da appassionata di Morgan Lost, non potevo non stringergli la mano e ringraziarlo per aver condiviso la sua fantasia in uscite mensili.

Introspezione, autoanalisi, debolezze. I personaggi descritti da Chiaverotti sono più che umani, lasciando al lettore l’arduo compito di riflettere sulla propria vita, fortunatamente privata dai serial killer. Con Claudio abbiamo avuto modo di confrontarci su tantissime cose, durante l’ultimo Torino XMas 2023, perché scrittura e fantasia sono dei ponti incredibili da percorrere. Così, tra una domanda posta per questa intervista e una ricevuta per curiosità dallo stesso Claudio, abbiamo indagato un po’ negli incubi moderni e in quelli passati.

Quindi mettetevi comodi, vi presento Claudio Chiaverotti.

Chi è Claudio Chiaverotti?

Claudio è un creativo con poco tempo. Uno che vorrebbe sviluppare tantissime idee, ma che riesce a concretizzarne solo una parte.
Una persona abbastanza sprovveduta: non so cambiare la gomma di una macchina, sostituisco a malapena una lampadina, ma so raccontare storie. Nella vita, forse, la cosa buona che sono riuscito a fare è stata trovare delle declinazioni positive della mia fantasia per farle diventare un lavoro. Da sempre cerchiamo di trovare un modo per realizzare i nostri sogni. Nel fumetto ho trovato il mio.
Claudio non è uno scrittore, ma uno che inventa le storie per immagini. Forse, in un’altra vita, sono stato un regista o uno che faceva i fumetti.
Come dice l’ispettore Callaghan: “ogni uomo deve conoscere i propri limiti”.

Cosa si prova nell’essere il creatore di alcuni degli incubi più iconici di Dylan Dog, come Partita con la morte (n° 66).

dylan dog chiaverotti

Dylan mi piace tanto e mi sono trovato sin da subito in linea con il pensiero di Sclavi. Ho una dozzina di anni in meno di lui, neanche tanti, e mi sono trovato concorde su tantissimi argomenti, come Dylan Dog stesso: nei suoi pensieri sembrava quasi di sentir parlare me.

Ogni personaggio, per sommi capi, è la proiezione del suo autore.
Dylan Dog è Sclavi. Martin Mystère è Alfredo Castelli. Brendon e Morgan Lost sono declinazioni diverse di Claudio.
Dylan Dog è un personaggio che ha influenzato tanto la mia carriera di creativo e la segna tutt’oggi: ho iniziato con Martin Mystère, grandissimo personaggio dell’ecumenico Alfredo Castelli, ma subito dopo sono passato a fare il Buio (n°34 di Dylan Dog) e da lì ne ho scritti circa una sessantina. Attualmente sto lavorando di nuovo su Dylan. Bisognerebbe spendere ancora fiumi di inchiostro su Dylan: un personaggio reale, vero. Quest’ultima è la lezione di Sclavi, che ho sempre cercato di seguire, sia per Brendon che per Morgan.

Morgan Lost: come nasce l’idea di un killer di serial killer, in un’ambientazione particolare come quella di New Heliopolis.

Morgan Lost è arrivato dopo Brendon. Sono un grande appassionato di cinema, con una certa passione per i thriller. Apprezzo molto, anche, il cinema francese d’autore, ma la mia perversione personale è 007 e i primi film di Bruce Willis, come Die Hard.
Al di là di questi, per ritornare alla tua domanda, mi piacciono molto i thriller e avevo voglia di raccontarne uno diverso dal solito. In Morgan siamo alla fine degli anni ‘50, con contaminazioni antico egizie nell’architettura (il sindaco di New Heliopolis è ossessionato dall’antico Egitto e ha fatto edificare dei gargoyles antico egizi per propiziare la città agli dei).

Morgan Lost, tra distopia e fragilità

Morgan Lost è una distopia, c’è tutta una realtà reinventata: la seconda guerra mondiale non c’è mai stata, perché la spia inglese Marlene Dietrich ha ucciso Adolf Hitler prima degli avvenimenti che tutti conosciamo; esiste già il profiling, che in realtà è una scienza moderna inventata negli anni ‘70 da John Douglas, agente dell’FBI. Nel mondo di Morgan Lost, invece, ho raccontato che all’età di circa 13 anni Anna Freud, figlia di Sigmund Freud, venne rapita e uccisa da un maniaco (nella realtà era una neuropsichiatra infantile, deceduta a 91 anni). Quindi il padre, Sigmund Freud, decise di cambiare la direzione dei suoi studi dalla psicanalisi delle persone “normali” allo studio degli assassini.
Nel mondo di Morgan Lost, la bibbia dei serial killer l’ha scritta Sigmund Freud.

Poi c’è lui: una caratteristica importante di Morgan Lost sono le sue fragilità. Mi piaceva raccontare un personaggio attraverso le sue debolezze. Un uomo tormentato, un uomo depresso, un uomo che come me soffre di insonnia e mal di testa. Un uomo appassionato di cinema. Un uomo che, nel suo background, aveva aperto un cineforum, come avrei voluto fare io. C’è un po’ più di me in Morgan Lost rispetto a Brendon. C’è più di Claudio.

morgan lost volume 1

C’è anche introspezione, lui parla molto con sé stesso e si analizza.

È vero, si analizza molto. Non ho studiato, purtroppo, la psicologia così a fondo, ma ho letto i libri di John Douglas e la sua psicologia dei criminali. L’autoanalisi può essere un’esperienza intuitiva e di crescita personale. C’è assolutamente introspezione, una serie di pensieri e stati d’animo sulla vita che è intorno a lui.

Di serial killer cinematografici o persone “normali”

In ML racconto quello che penso del nostro mondo attraverso uno schermo. Non è un caso che i serial killer lì siano considerati delle rock star. Basta guardare tutte le trasmissioni che ci sono sulle nostre televisioni e che parlano di assassini. In Morgan Lost c’è cinema e i serial killer sono come i cattivi di Batman. Li ho divisi in due tipi: una parte sono quelli sopra le righe, un po’ come i gangster di Tarantino, divertenti e fighi – quelli della realtà sono molto più squallidi e brutti e non ho voglia di raccontarli – e l’altra piccola branca dei serial killer di ML sono persone più vicine a noi, persone che non nascono pazze, ma impazziscono. La pressione sociale, quella che abbiamo addosso tutti noi, a un certo punto li piega.

Mi viene in mente un film italiano, Gli ultimi saranno ultimi con la Cortellesi. A un certo punto lei dà di matto e afferma “Non sono pazza, sono stanca”. Lei vorrebbe solo entrare nella sua vita a fare le sue ragioni.

Adesso Morgan Lost è ripartito e attualmente in edicola c’è l’albo Vent’anni di buio: uno speciale più grande, poi si ritorna alle solite 64 pagine con cadenza bimestrale. Nelle nuove uscite, su cui sto lavorando, ritengo che almeno qualcuna debba rispecchiare il mio modo di vedere la realtà.

Creatività come testimone del disagio sociale

Cosa sta succedendo adesso? Molta gente è senza lavoro, non può più andare avanti. Quindi invece di scrivere dei gialli fini a sé stessi, voglio decidere di raccontare quanto accade intorno a me. Una delle storie che verranno pubblicate nei prossimi mesi parlerà di un mega sciopero dei metalmeccanici americani, uno sciopero che coinvolge tutto e che rischierebbe di bloccare l’America, lasciando tantissimi uomini e donne senza lavoro.

È proprio qua che il thriller irrompe nella realtà: una macchina, con i vetri oscurati, si fa largo tra la folla ammazzando un sacco di gente. Di fondo io voglio parlare di ciò che accade a queste persone.

Le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese: devono comprare il latte e il pane, sfamare i propri figli. Ancora, voglio raccontare storie di persone che, oppresse da tutto, dalla solitudine, danno di matto. Un artista deve essere il testimone del suo tempo e il creativo deve fare lo stesso, perché in questo modo chi legge può apprezzare la tua sincerità.

morgan lost

Questo tuo raccontare Morgan Lost, sempre in modo diverso, va a riflettersi anche sulle tipologie di pubblicazioni e formati con cui è distribuito. È cambiato molto dal primo albo a quelli attuali. Ci hai anche anticipato della pubblicazione bimestrale, che modificherà ancora una volta il modo di poter leggere ML.

Questo aspetto dipende molto dalle decisioni editoriali: io sono il creativo, affiancato da un team editoriale che impartisce indicazioni sulle pubblicazioni. ML è una serie abbastanza legata a me, per ora li ho scritti tutti io e, a volte, ha una periodicità diversa rispetto ad altre.

Ho chiesto di avere un’uscita bimestrale così da poter mantenere un appuntamento fisso, altrimenti con le mini serie o le stagioni si rischia di non far ricordare al lettore che in quel momento c’è Morgan Lost in edicola. Siamo in un periodo particolare, dove tutti noi abbiamo una serie di problemi e pensieri per la testa. Così sai, invece, che ogni due mesi esce Morgan Lost ed è la che ti aspetta.

La vendetta di Anubi nel freddo inverno torinese

La tua ultima pubblicazione: La vendetta di Anubi. Storia ambientata a Torino e intrisa di tinte egizie. Al centro della storia, infatti, vi è lo stesso Museo Egizio che si apre con i suoi misteri, lasciandoci tra le mani un bel thriller.

La storia, in realtà, ha una genesi lontanissima. La vendetta di Anubi, nella prima stesura, si chiamava Misteri al museo Egizio ed è stata pubblicata a puntate circa 21/22 anni fa su Torino7, supplemento de La Stampa di Torino. Era divisa in circa 54/56 puntate con uscita a cadenza settimanale, poi raccolta in un volumetto. In seguito l’editor della casa editrice Cut-Up, Stefano Fantelli, mi ha proposto di farne una nuova edizione.

Ora è stato tutto riveduto e corretto: ambientato in un freddo inverno del 2023 con riferimenti fortemente attuali, come il Covid. Ho deciso di raccontarlo tutto al tempo presente, cambiando il passato remoto con cui lo avevo scritto nella prima versione, per dare una dimensione attuale. Sta accadendo adesso. Ho approfondito alcune parti, ha un finale simile al precedente ma con tre epiloghi diversi, così che, anche chi l’ha letto in precedenza, può trovare qualcosa di nuovo.

Un thriller che si evolve

la vendetta di anubi chiaverotti

Mi ha divertito riprendere una storia molto tempo dopo la sua pubblicazione, vedere cosa avrei voluto tenere: essendo ipercritico con me stesso, è stata un’esperienza interessante. Ciò è anche parte integrante del processo creativo stesso.
Mi spiegava il grande Sergio Bonelli, editore della Sergio Bonelli Editore per cui lavoro da una vita, che anche i grandi registi a un certo punto si pongono un limite. Vorrebbero ritoccare le loro pellicole un’infinità di volte, ma poi le consegnano al cinema e finisce lì. Similmente avviene anche nelle storie che vorrei raccontare e cambiare per tutta la vita. Magari anche tu?

Sì, purtroppo sì, anche io come te sono vittima dell’ipercritica personale.

Bene e questo scriviamolo, perché è giusto che poi chi fa l’intervista entri nell’intervista. Ci vuole la meta intervista!
Questa insicurezza ipercritica ci permette, secondo me, di fare cose anche più fighe. L’unico problema è sapersi fermare. Se sei ipercritico non farai l’errore di definire il tuo lavoro come capolavoro alla prima stesura. La forza degli insicuri è la capacità di mettersi in gioco, accettando le nostre stesse critiche e, se le riteniamo valide, le critiche anche delle persone di cui ci fidiamo. L’insicuro, di base, è una persona che cresce. Noi insicuri ci capiamo!

Claudio, cosa ti lascia senza niente da dire?

La violenza che si sta scatenando in questo periodo storico. Non ci si può più confrontare. Purtroppo vi è una violenza verbale che sta prendendo sempre più piede e non va bene. A volte tendo a sottrarmi da determinate discussioni, come ad esempio in ambito social, perché sono fini a sé stesse.
Non riesco a interagire con i violenti.
Il violento verbale non ti dà la possibilità di controbattere o anche solamente parlare. Costruisce una barriera e ciò mi lascia senza parole.

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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