Questo mese cominciamo l’articolo con una domanda. Vi piace il vostro lavoro? Se la risposta è sì, allora devo anche chiedervi se vi piace nonostante tutto. Nonostante è una preposizione di valore avversativo. Esprime un’opposizione, un contrasto. Anche se abbiamo la fortuna di svolgere un lavoro che ci piace, quando questo è subordinato a qualcuno, accade inevitabilmente che ad un certo punto sia soggetto a contrazioni ed espansioni imprevedibili, sconfinando nel nostro tempo libero. Ecco il perché di quel nonostante.
Quando persiste il mancato riconoscimento dei nostri sforzi, i continui cambi di rotta, la pretesa di una reperibilità dovuta, anche al di fuori dell’orario di lavoro, abbiamo l’impressione che un segno sia stato passato e che a permetterlo siamo stati proprio noi. Se anche i nostri diritti fondamentali sono oggetto di trattative, discussioni o peggio ancora, rifiuti, possiamo ancora dire che quel lavoro continua a piacerci?
Vi sto parlando di una cosa piccola e apparentemente banale: le ferie negate. Ammetto di averla presa un po’ larga e forse sarebbe di aiuto ricordarvi che il tema che NDD ha scelto per il mese di marzo è la privazione. Tra tutte le forme di privazione di cui avrei potuto scrivere, e direi che gli argomenti non mancano, ne ho scelto uno un po’ frivolo, lo ammetto. Eppure è una cosa in qualche modo ascrivibile al sintomo di una malattia più seria e che si aggrava sempre di più a mano a mano che il tempo passa.
Dipendenti e ferie come miraggi
A guardarci da fuori, a noi dipendenti, si direbbe che non abbiamo altro in testa che le ferie. Sembra quasi che buona parte del nostro impegno lavorativo abbia l’obiettivo di portarci il prima possibile a quel momento lì. Quello in cui finalmente andremo in vacanza. Ma il modo in cui funziona il lavoro in Italia ha finito inevitabilmente con il permearci del sacro timore del licenziamento a cui, forse inconsciamente, reagiamo mascherando questa paura da senso del dovere. Ci sforziamo di portare a termine lavori, progetti ed emergenze, perché siamo professionisti seri e non ci piace andare via con dei “lavori in sospeso”.
Coltiviamo molti interessi, spesso lontanissimi dalla professione che svolgiamo e che non è sempre quella che ci identifica come persone. Magari ci piace scrivere, recitare, cucinare o abbiamo appena riscoperto nel Crossfit una nuova vocazione sportiva. Vogliamo goderci con serenità il poco tempo libero che ci siamo faticosamente guadagnati, perché sono gli unici momenti della nostra vita in cui possiamo essere noi. Purtroppo però c’è una mail importante da mandare prima di uscire dall’ufficio, un problema spinoso da risolvere, una richiesta del grande capo che ha bisogno con urgenza di sapere quali sono i piani tariffari dei dispositivi mobili di tutta l’azienda.
Non è così strano se ad un certo punto, inevitabilmente, comincia il conto alla rovescia per la prossima vacanza. Ed ecco che per caso, una mattina, ci imbattiamo in quel bellissimo viaggio in Giappone che desideriamo fare da sempre. Certo, la cosa richiede qualche sacrificio, ma il periodo coincide con la chiusura aziendale, quindi è un’occasione da non perdere. Per una famiglia non è mai facile pianificare una vacanza. Entrambe le metà di una coppia devono verificare con i rispettivi colleghi che il periodo vada bene e che non ci siano sovrapposizioni.
Magari tuo figlio è grande, va all’università e si ritaglierà del tempo per fare le vacanze con gli amici, ma un paio di settimane in Giappone con mamma e papà non se le fa certo sfuggire. Eppure anche lui deve assicurarsi di non avere esami o altri impegni.
Già questo richiede del tempo e delle piccole tensioni, ma alla fine possiamo formalmente inviare richiesta al nostro capo. Riteniamo che cinque mesi di preavviso siano un tempo ragionevole e poi abbiamo accumulato mesi (non settimane… mesi) di ferie arretrate che in ogni caso non ci verranno riconosciute. Siamo certi che non ci saranno problemi.
Ma qual è il problema dei dipendenti?
Eppure, un problema in effetti c’è. Proprio in quei giorni verrà avviato un progetto di cui si sente parlare da tempo. Un progetto il cui stato di avanzamento, scadenza e ogni singolo dettaglio ci era stato accuratamente tenuto nascosto. Servirà tutto il personale possibile per fare fronte alle richieste di supporto. Le ferie vengono negate. Dobbiamo farcene una ragione anche perché non è che puoi fare altro. E poi c’è sempre quel “senso del dovere” di cui vi ho parlato prima che insinua il dubbio che, se insistessimo, quelli in torto saremmo noi. Voi penserete che ci sono cose peggiori e non potrei essere più d’accordo. Anche se abbiamo lavorato sodo e ci sentiamo vittime di un’ingiustizia, ci saranno altre occasioni per andare in Giappone.
Oppure no?
E se invece questo fosse solo uno dei numerosi sintomi che abbiamo ignorato? Lo starnuto che precede l’influenza, o anche peggio? Ogni ipocondriaco che si rispetti ci direbbe che non si deve mai ignorare un sintomo e sebbene molto spesso uno starnuto sia soltanto uno starnuto, anche il peggiore dei pessimisti qualche volta ci azzecca.
di Alessandro Felisi