Il mito di Sergio Leone – Intervista a Mauro Galfrè

Negli scorsi mesi, visitando il castello di Casale Monferrato, era possibile varcare la soglia di una porticina e ritrovarsi di colpo a osservare la tomba di Arch Stenton, direttamente dal film “Il Buono il Brutto il Cattivo” di Sergio Leone con tanto di scheletro autentico utilizzato durante le riprese del film. Ma bastava voltare lo sguardo per ammirare bozzetti preparatori delle scenografie dei film del regista romano, riproduzioni di abiti di scena e veri documenti storici. Un tuffo nel west cinematografico per eccellenza reso possibile dalla mostra “Il Mito di Sergio Leone” curata dall’artista e collezionista Mauro Galfrè e Bruna Borla. Ma un tuffo anche nella vita del piemontese Carlo Leva, amico personale di Galfrè e aiuto dello scenografo Carlo Simi nella realizzazione di veri e propri classici del Cinema.
Abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con Mauro Galfrè, ovviamente a un tavolo da poker fra cappelli e pistole in piena atmosfera leoniana.

Quando si parla di western molto spesso non ci si rende conto di quanto l’elemento scenografico sia determinante per creare il perfetto impatto. Cosa ha appreso di tutto ciò tramite il suo rapporto con Carlo Leva?

Carlo Leva è stato decisamente l’incontro fortunato della mia vita. Lo conobbi a Cuneo circa trent’anni fa nell’ambito di una mostra e contemporaneamente conobbi anche Carla Ranaldi, moglie di Sergio Leone. Abbiamo fraternizzato subito, dato il mio amore per il cinema western, e iniziato un sodalizio. Nel tempo mi sono sempre più appassionato alle sue opere. Va ricordato che il romano Carlo Simi era, all’epoca dei western di Leone, il suo scenografo ufficiale mentre Leva era il suo aiuto ma gli venivano affidati numerosi compiti ed è per questo che abbiamo magnifici disegni preparatori firmati da lui. Purtroppo Leva è venuto a mancare nel 2020 e io sto aiutando la moglie Maria Teresa a riordinare il suo archivio, composto da migliaia di disegni dato che, all’epoca, fu uno scenografo per la Titanus e lavorò a più di cento film. Ha lavorato con autori del calibro di Dario Argento, Federico Fellini, Claude Chabrol. Io, da amico e appassionato, ho deciso di portare avanti il suo ricordo anche perché Leva era un conterraneo.

L’enorme mole di materiale evidenzia il lavoro smisurato richiesto da autori così prestigiosi. Secondo lei questa è una delle ragioni che rendono immortale l’opera di Sergio Leone anche per le nuove generazioni?

Assolutamente sì. Non dimentichiamo che Leone ha creato un vero e proprio stile. Ancora adesso, quando Quentin Tarantino deve fare una inquadratura di un certo tipo non dice all’operatore “Fammi un passaggio da sinistra a destra” ma dice “Fammi un Leone” e tutto è subito chiaro! Io penso che abbia re-insegnato a una generazione di nuovi registi europei e, soprattutto, americani a fare un certo tipo di cinema. Se uno ha un occhio attento ed è appassionato di cinematografia del passato riesce a cogliere anche nelle produzioni moderne qualche citazione leoniana e non soltanto nei western. Questo è il motivo per cui il cinema di Leone non morirà mai e nemmeno il west!

Lei ha un film prediletto di Sergio Leone? Perché io vivo sempre un passaggio di testimone con mio padre che vide “Il Buono il Brutto e il Cattivo” in sala quindi non può che essere quello.

Io ho due film nel cuore: “Il Buono il Brutto e il Cattivo” perché quello è un esempio di magistrale cinematografia. Tarantino ribadisce spesso che darebbe un braccio pur di potersi fregiare di avere girato il celeberrimo “Triello” della scena finale. Quell’opera è entrata nell’immaginario collettivo anche perché la sua rivisitazione della classica tenzone da commedia all’italiana con i tre protagonisti è da manuale.
E poi, anche per questioni anagrafiche, sicuramente “C’era una volta il West” per il senso di nostalgia che il film trasmette. Lì si coglie letteralmente la fine di un’epoca, la fine di un West. Credo che Leone lo abbia girato così “lento” proprio perché gli stessi protagonisti cercano di allontanare il finale; sanno che, giunti a quel punto, tutto sarà davvero finito.

Noi poniamo sempre una domanda di rito: che cosa la lascia senza Niente da Dire?

Come appassionato del cinema di Leone rimango senza niente da dire di fronte ai suoi film. Rimango talmente estasiato, emozionato e trasportato che non ho nulla da aggiungere. Servono solo le immagini e le immense musiche di Morricone. Io ho sempre pensato al loro sodalizio artistico come quello tra Mogol e Battisti, due cose inscindibili.

Non posso non chiudere con una domanda a tema: lei che tipo di persona è, quello che spara o quello che scava?

(Ridendo) Quello che spara, naturalmente. E sparo dritto.

di Roberto “Mr. Rob” Gallaurese

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