Il miracolo sul Fiume Han

La Corea del Sud è un paese con una storia millenaria ma, di fatto, è anche uno stato molto giovane.

All’inizio del Novecento, la penisola coreana unita divenne una colonia giapponese, e tale rimase fino alla fine della seconda guerra mondiale; con la resa del Giappone, la Corea venne occupata dall’Unione Sovietica (al Nord) e dagli Stati Uniti (al Sud).
Divenute stati indipendenti, dal 1950 al 1953, le due Coree si scontrarono dell’omonima guerra.
Alla fine del conflitto, in entrambi i nuovi Stati, era necessario ricostruire da zero un’identità nazionale, facendo forza su un popolo che, nei precedenti cinquant’anni, era stato in balia di poteri stranieri, sempre concentrati sugli interessi della madrepatria a discapito delle zone occupate.

Ciò che diversificò sin da subito le due Coree fu il modo di affrontare questo terribile periodo.

Corea del Sud: l’economia degli anni ’60 e le grandi scelte

La Corea del Sud, dal 1960 in poi attuò una serie di importanti scelte economiche, che la portarono, in pochi anni, a diventare uno dei paesi più ricchi del mondo.
Questa rapida trasformazione è stata ribattezzata dagli studiosi “Il miracolo sul Fiume Han”, in riferimento al fiume che scorre al centro di Seul.
La forza e, allo stesso tempo, il punto debole del Miracolo sul fiume Han furono i Chaebol 재벌, ovvero i grandi conglomerati industriali ad organizzazione familiare.

Grazie all’attività trainante di questi gruppi produttivi – si dice, nel loro periodo di maggior successo, bastassero le dieci famiglie coreane più ricche per rappresentare il 60% del prodotto interno lordo – la Corea del Sud tornò a crescere.
Il popolo coreano, seppur diviso da forti disuguaglianze sociali, sostenette l’organizzazione economica fondata sui Chaebol, per il bene della nazione. Solo recentemente, con lo stabilizzarsi politico del Paese, si è giunti a una rivalutazione della struttura statale, all’apertura del mercato anche alle piccole e medie imprese e, infine, a radicali modifiche nel sistema sociale.

Uno degli elementi che, anche con l’inizio del nuovo secolo, non è variato, è il profondo amore dei coreani per la propria terra e per la propria cultura. Fortemente colpiti dalla dominazione giapponese – che di fatto annullò ogni tipo di identità nazionale, portando anche fisicamente alla distruzione di edifici storici – i coreani oggi sono un popolo unito, dedito a un profondo rispetto per la loro bandiera e totalmente votato al sacrificio del singolo a favore della comunità.

Una volta garantita la stabilità economica interna, i governi coreani più recenti hanno puntato alla crescita della Corea del Sud in ambito internazionale. Uno dei successi più importanti delle politiche estere del Paese è la Hallyu 한류 o “Korean Wave”, ovvero il fenomeno che, dall’inizio degli anni novanta, ha portato un grande aumento della popolarità della cultura coreana nel mondo.

Hallyu, la rivoluzione industriale coreana

Seppur la Hallyu si basi principalmente su forme artistiche come la musica, il cinema e le produzioni televisive, essa nacque come una vera e propria rivoluzione industriale, con lo stanziamento di ingenti finanziamenti statali a favore della creazione di contenuti culturali adatti all’esportazione estera.

Il KPOP, ad esempio, è uno dei prodotti meglio riusciti di questa “industria culturale di Stato”.

L’ultimo, ma non meno importante, tassello per la vera e definitiva rinascita della Corea del Sud è ancora incompiuto: la fine delle tensioni con la Corea del Nord.
Anche se la guerra di Corea è terminata il 27 luglio 1953 con l’armistizio di Panmunjeom, ad oggi i due Stati non hanno ancora firmato un vero e proprio trattato di pace.
A dividerli, oltre alla Zona Demilitarizzata – una striscia di terra lunga quanto il confine tra le due Coree e larga circa quattro chilometri – ci sono quasi settant’anni di storia, nei quali la regione del Sud è diventata uno dei venti paesi più potenti al mondo, mentre quella del Nord sembra essersi fermata a quel lontano giorno di luglio.

Silvia “Stovtok” Pochetti

Silvia Pochetti
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