Il mercato dei fossili è tra le questioni più importanti in paleontologia negli ultimi anni.
Quanti di noi vorrebbero avere in casa, o in giardino, uno scheletro di Triceratops, o magari un cranio di Tyrannosaurus, da sfoggiare quando invitiamo i vicini di casa, magari per far vedere quanto siamo migliori di loro?
Ecco, non so in quanti risponderebbero di no. Nemmeno io, sia chiaro, ma metterei una postilla: io vorrei avere in casa una replica di uno scheletro di Tyrannosaurus, o di un cranio di Triceratops.
Eh sì, perché, come diceva il buon Indy, “Quello dovrebbe stare in un museo!”
E non è una frase fatta, una sentenza scritta solo per farci vivere un momento memorabile al cinema, ma un problema che, ultimamente, sta assumendo forme grottesche.
Perché è un peccato che esemplari così importanti e belli vengano rinchiusi e dimenticati.
Un esempio di ciò che si vede nelle aste dei reperti paleontologici
Collezionismo e Musei
Ovviamente, il possedere e collezionare reperti storici, naturalistici e geologici non è una cosa degli ultimi anni. Non riesco nemmeno a quantificare quanti esemplari museali attuali arrivino da collezioni private appartenute a grandi signorotti, mecenati, colonizzatori o anche solo appassionati di natura che si dilettavano in viaggi e raccolte.
Si parla di collezioni, appunto, storiche, assemblate quando le conoscenze del mondo naturale e della vita passata erano ai primordi, o legate ancora ad un mondo ecclesiastico (dove la Chiesa si poteva permettere di acquisire – molte volte anche illecitamente – reperti provenienti da regioni dove vi era attività missionaria).
Per l’appunto, fino al diciannovesimo secolo, i naturalististi, i biologi e i medici spesso prendevano i voti ecclesiastici per poter proseguire gli studi, quindi molti reperti andavano a finire nelle tasche della Chiesa.
Ma sentire di collezioni private (quelle dei salotti dei miliardari, per intenderci) ai giorni nostri, contenenti reperti che potrebbero avere un enorme impatto sulla cultura e sulla conoscenza umana, personalmente la ritengo una cosa molto egoistica.
Il problema dei privati
Molti di noi hanno a casa quella conchiglia o quel pesciolino fossili acquistati in piccoli muse regionali, o trovati scavando durante una gita scolastica. E non c’è nulla di male in questo.
Ovviamente è sempre opportuno conoscere la legislazione che protegge i beni naturalistici del proprio Paese, così da non incorrere in problemi legali. Il problema sussiste quando i reperti posseduti hanno valore scientifico!
Prendiamo ad esempio il suddetto cranio di T. rex (mi raccomando, si scrive così!), un “oggetto” paleontologico che ormai è diventato uno status symbol (persino l’ex Presidente della WWE Vince McMahon ne aveva una riproduzione nel suo ufficio).
Non si tratta solo di un simbolo di potere, ma anche di una rarità, data la scarsità di esemplari in buono stato di conservazione di Tyrannosaurus nel record fossile.
Mettiamo caso che un cranio di T. rex venga scoperto negli USA. In America, la legislazione dei fossili prevede essenzialmente due casi (discorso lungo, riassunto in du’ spicci):
- il caso dei fossili trovati su territorio federale: questi appartengono allo Stato, quindi alle istituzioni. Di conseguenza, solo le istituzioni possono scavare in quel territorio e possedere l’esemplare, che sarà destinato a un museo;
- il caso dei fossili trovati nei territori privati (nei ranch, per capirci): questi appartengono al proprietario terriero, che può farne quello che vuole.
Di base, la buona prassi sarebbe che il rancher doni l’esemplare ad un museo locale/nazionale.
Ma non è così. I fossili vendono: il giro di soldi dietro, causato dalla domanda e dall’offerta, inducono il proprietario terriero a mettere l’esemplare in mano a rivenditori e collezionisti. L’esemplare finirà sul mercato e, a causa di quello status symbol citato prima, avrà un costo eccessivo per i musei. Costo che può esser coperto solo da magnati e miliardari.
Il povero cranio di Tyrannosaurus verrà quindi venduto a un privato, che lo terrà in salotto per sé. Certo, se ha seguito la prassi, avrà fatto tutto legalmente, ma a quale prezzo culturale?
Il fossile poteva esser donato ad un museo, catalogato, studiato, esposto e apprezzato da tutti.
Magari si poteva digitalizzare e stampare per dare al proprietario terriero una serie di repliche del cranio da rivendere.
E invece no. Solo per il gusto di avere un Tyrannosaurus originale da sfoggiare con i propri amichetti del tè pomeridiano, ci rimettiamo tutti.
Il Triceratops Big John, recentemente venduto per quasi 7 milioni di euro (ora noleggiato ed esibito da un museo americano)
Il mercato nero
Se esiste un mercato di elevato valore per un prodotto, esisterà anche un mercato nero per lo stesso.
E purtroppo, in paleontologia, il commercio illegale dei fossili è un problema tremendo.
Vari esemplari provenienti dalle formazioni fossilifere del Cretaceo cinese e mongolo sono depredati da razziatori che, cercando il colpaccio, scavano irresponsabilmente senza metodo scientifico per racimolare quanti più esemplari “cool” da esportare illegalmente.
In Mongolia, molti cacciatori di fossili rubano reperti senza permesso governativo, per rivenderli all’estero. Recentemente, gli sforzi del Dr. Federico Fanti dell’Università di Bologna stanno aiutando lo Stato mongolo a recuperare svariati esemplari trafugati in passato grazie a delle innovative tecniche di marcatori radiattivi (leggi qui).
Il Brasile ha sofferto molto di numerosi espatri dei propri tesori naturalistici da parte di stati esteri, e da alcuni anni movimenti legali stanno cercando di re-importare importanti fossili nei propri musei.
Durante la spedizione in Niger nel 2022, ho constatato con i miei occhi la devastazione dei “cacciatori di tombe”: siti distrutti, reperti rotti e abbandonati senza criterio, alla ricerca di quell’artiglio, di quel dente o di quella mandibola che attira grossi acquirenti nel mondo civilizzato in negozi che si trovano anche alla luce del sole, nelle strade di Agadez.
In questi luoghi giunge imperativo quindi sensibilizzare la popolazione culturale nella protezione e salvaguardia del proprio patrimonio naturalistico (uno degli obiettivi della spedizione sopraccitata).
Come combattere il mercato nero, quindi? Non comprate reperti se sono privi di certificazioni e permessi!
Non demonizziamo gli “scavatori” privati
Ultimamente, la lotta al commercio illegale dei fossili ha portato ad uno scontro ideologico tra accademia e privati.
Alcune realtà paleontologiche si sono schierate interamente contro i collezionisti privati, altre invece supportano tali realtà (ovviamente, sempre a patto che seguano un iter scientifico specifico durante il processo di scavo).
È difficile capire chi ha ragione, e probabilmente la ragione sta nel mezzo.
Giustamente, i musei e le università dovrebbero essere le uniche realtà che hanno i permessi di scavo e recupero dei fossili. Ma attività di fieldwork che coprono almeno due settimane di lavoro (fino anche a due o tre mesi di attività) costano tanti, ma tanti soldi. Soldi che queste realtà non hanno.
Soldi che però hanno le realtà private! Realtà che passano mesi e mesi a scavare, recuperare e anche restaurare molteplici scheletri che, fortunatamente, finiscono spesso nei musei stessi!
Quindi, bisogna demonizzare queste realtà private?
Non necessariamente. Personalmente, credo bisogni tutelare e offrire il giusto supporto agli “scavatori” che seguono le regole – sia legislative che scientifiche – durante questo affascinante processo. Inoltre, è necessario che diano priorità di acquisizione (a costi “umani”) alle istituzioni scientifiche, soprattutto per i reperti più importanti.
In questa maniera, tutta l’umanità potrà ammirare quello scheletro di Triceratops in una ricca sala museale.
di Filippo Bertozzo