Editoriale: Ossessione d’Amore

Le tipologie di gabbie che si interpongono tra noi e la vita reale possono essere di qualsiasi tipo. Molte di esse sono generate dalla nostra mente, altre ci vengono imposte dai dettami sociali, che siano essi economici o etici.

Quelle di cui parlo questo mese hanno inferriate arrugginite, soffitti altissimi e pavimenti umidi e freddi.

Le ossessioni d’amore, quei desideri intrusivi e indesiderati che ci ancorano alla nostra bella gabbietta a sfregare le guance sulla ruggine, pur di sentire qualcosa. Un tipo di ossessione così logorante da consumare ogni altro sentimento, lasciandoci sgretolati e inebetiti.

Gli occhi si riempiono di lacrime al minimo ricordo e i sogni sono capovolti in incubi.

Un’ossessione indesiderata, un sentimento velenoso, i giorni che si ripetono tra canzoni struggenti in cuffia e gelato al cioccolato direttamente dal barattolo del freezer. Perché di ossessione e d’amore ci si può anche ammalare, anche se vorremmo relegare il cuore a qualcos’altro di più edificante. Non si dorme, si soffre, niente più.

Ossessione dell’imperfezione

donna che si scolpisce

Accanto alla gabbia, nel luccicare delle sue forme metalliche, vi è un piccolo scrigno con dentro martello, picchetto e uno specchio. Avremmo voluto essere le persone più speciali sulla faccia della terra. Camminare a testa alta, dopo aver distrutto le nostre fattezze a colpi secchi e imprecisi.

Di tutto quell’amore che avremmo voluto dare, però, ne rimane solo un cuore livido e gonfio di singhiozzi, ansia e notti agitate.

“I think I was special but I’m creep.”

Ma, che poi, cosa significa essere speciali? È un elemento, una sensazione, una parte del corpo che si può tastare? Come un braccio, una gamba o le proprie labbra strette tra i denti?

Dalla gabbia lo vediamo bene, che siamo tutti estremamente normali e pienamente umani. Eppure gli occhi sono ancora annebbiati, i pensieri martellanti, la vista distorta: vorrei essere speciale come colui che non è altro che abitante del cuore e non del proprio fianco.

Quando accade, una piccola parte di noi dovrebbe prendere lo stesso picchetto e martello con cui deturpa il proprio essere, per colpire forte contro il chiavistello, che incatena a sogni infausti e idealizzazioni vanesie. Anche solo per rispetto e amore per sé stessi.

Ossessione delle ossessioni

Il clang del ferro scivolato a terra ai nostri piedi assume il suono di un applauso. Un “finalmente, hai aperto gli occhi e hai trovato la tua via, oltre il labirinto”. Ma alcune ossessioni, purtroppo, diventano l’adrenalina quotidiana di cui il corpo non può permettersi astinenza.

Dopo aver estirpato il nome che, odiato e amato, tormentava i nostri polsi in manette strette, lo spaesamento ci sospinge verso altre ossessioni. Quotidiane distrazioni, che cercano di colmare il vuoto generato da inadeguate mani. Perché con ogni lacrima versata per qualcuno, perdiamo un po’ di noi stessi.

“Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite che finiamo in bancarotta già a trent’anni.”

E pezzo dopo pezzo, ore dopo ore buttate sotto la doccia a sciogliere le lacrime con il sapone, si decide che è troppo. Così, le mani frenetiche si adoperano a lavorare, la mente a macinare idee su idee, il corpo a subire continui burn-out.

Siamo belli, brutti, troppo indietro, inadeguati, inefficienti. Siamo tante cose negative e nessuna di queste. Davanti allo specchio, ancora, siamo solo noi, con gli occhi distrutti e le braccia in cerca di conforto.

“Volevo solo scomparire in un abbraccio.”

Ossessione, guinzaglio dell’esperienza

tristezza

Stare in coppia significa porsi in una condizione di svantaggio emotivo: siamo fragili, basta una frase sbagliata pronunciata dalla propria controparte che il cielo sembra coprirsi di nuvole scure.

Immaginarsi quando, in ossessione d’amore, si vede il proprio oggetto del desiderio, che in ossessione ribadisco diventare anche esponenzialmente indesiderato, allontanare malamente il nostro sguardo. Non tutti gli incontri d’amore sono positivi. Essi possono trasformarsi in un guinzaglio stretto, dal respiro corto, con ansia continua e briciole di speranza che fortificano il cappio. Un trauma associato a un volto.

Però, da tanta sofferenza, se si ha la forza di alzarsi e riempirsi con altro amore ricambiato, si fiorisce al doppio della velocità. Quando un animo buono, o quantomeno integro di valori, fa esperienza della sofferenza, mai vorrebbe generare altrettanto patimento.

Così diventiamo più forti, con le nostre esigenze ben delineate. Forse anche troppo in alcuni casi, perché quando si tocca il fuoco l’odore di pelle bruciata rimane ben impresso nelle narici.

E quindi cosa fare? Rimanere su una zattera in mezzo al mare?

Corrispondere amore per il mondo. Per sé stessi. Condividere le spalle marchiate con chi ha le stesse ferite. Leccarle a vicenda.

Dal fallimento delle proprie scelte a creazione di qualcosa che ne eclissi l’errore.

Si rinasce, anche se rotti. Forse anche più belli.

Miriam My Caruso

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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