Comprendere sé stessi, intendo nelle azioni e negli stati emotivi, è una sfida che bussa ogni giorno alla nostra porta: gli occhi che fissano lo specchio, le mani che tastano le proprie lacrime calde, il sorriso che si trasforma in un ghigno di paura.
Eppure, vi è qualcosa di ancora più imperscrutabile. Un mistero incomprensibile che risiede proprio davanti al nostro sguardo, mentre parliamo con chi ci sta accanto: l’enigma dell’alterità.
Se, quindi, è tanto difficile comprendere i nostri stessi stati d’animo, quanto può essere complesso conoscere quelli altrui? Prevederli? Curarli, a volte.
La volontà altrui è un enigma insondabile. L’amore nell’altro è, anch’esso, un enigma. Una scommessa, se vogliamo. Come lo è, di rimando, l’odio.
E davanti a questa alterità ci blocchiamo, in ascolto delle parole, dei gesti, dei segni che possano tradurre l’interesse. In un incontro amicale, in una storia d’amore, in un addio lungo quanto una vita.
Soluzioni sbagliate negli occhi giusti
Di enigmi risiedono negli occhi di chi ci osserva. Essi hanno una storia, un vissuto, un’ispirazione. Accompagnano, a volte con timidezza, altre con spavalderia, le parole che ci possono colpire, ferire, far innamorare.
Eppure, da quegli enigmi, possiamo anche essere sopraffatti. Rimanere senza Niente da dire, eppure si avrebbe così tanto di cui parlare.
Ma più sono forti gli stati emotivi e più, in taluni casi, lasciano senza il fiato a far vibrare la corde vocali.
Come quei silenzi infiniti nei film in bianco e nero, sotto la pioggia scrosciante di un noir americano. Gli enigmi negli occhi di una donna voluttuosa, le risposte silenziose e sempre azzeccate dell’uomo dall’impermeabile grigio.
È più complesso, invece, quando accanto hai una persona le cui soluzioni non combaciano con le tue. E allora trovi una beatificazione del mistero, in un individuo fuori da te che sembra avere gli occhi giusti, quelli che vorresti ti guardassero per tutta una vita, eppure lo sguardo sbagliato.
I nostri sensi sono ingannevoli: cercano nell’intuito la traduzione corretta, ma forse non hanno studiato abbastanza da comprenderne il meccanismo. Così essi si assopiscono, in un’idea inesistente. Come la donna che fece innamorare Francesco Della Morte nelle sue mille vite, tante quanto il tormento del protagonista di “Della morte e Dell’amore“.
Enigmi e sovrastrutture come castelli di carta
Bastava, d’altronde, soffiare sui misteri, per liberarli dalla polvere. Oppure, dire amici in elfico per spalancare le porte di Moria.
Gli enigmi sono belli perché misteriosi, capaci di generare storie fantastiche, di personaggi che infondo non esistono senza quel magnetismo dell’imperscrutabile.
Il bello e dannato, l’esotica sensualità. Tutti, in comune, hanno il mistero della parola.
Quanto sarebbe noioso, in effetti, un mondo già risolto. Un rapporto con la soluzione a piè di pagina. Ma lo sappiamo già da noi che le soluzioni possono essere semplici e prevedibili. Quindi perché rovinarci il gusto di sfogliare le pagine fino alla conclusione, svelare le carte, togliere il piacere di rispondere all’enigma della sfinge, che confondeva Edipo nel riconoscere le fasi di vita dell’uomo nelle sue parole.
Soffiamo forte su quelle carte. Lasciamole crollare solo dopo averle ammirate per bene.
1 + 1 potrà anche fare 3, nel nostro immaginario.
Se la risposta è sbagliata e l’enigma non trova la soluzione adeguata, sarà il caso di cambiare giocatore.
In caso contrario, bisognerà mettersi in movimento, come Amelie tracciava la strada a Nino verso le sue braccia, con gli enigmi orditi su strade francesi.
Non dare tutto, mantenere gli occhi socchiusi perché così si può scorgere il meraviglioso oltre le ciglia. L’enigma da risolvere in un abbraccio, in un bacio, in un silenzio.
Quale segreto più grande, quale confine così labile tra piacere e godimento.
Miriam My Caruso