Se lotti per la foresta pluviale sei un panda, è il passaggio logico successivo a una frase classica che si legge anche troppo nei social.
Visto che se combatti per i diritti per la comunità LGBT devi essere per forza Gay.
Anzi, nessun omofobo direbbe “comunità LGBT” , la frase più credibile potrebbe essere: “Se combatti per i diritti dei gay devi essere gay.”
No, nemmeno così va bene.
Nessun omofobo direbbe “diritti dei gay”, possiamo fare di meglio. Per un omofobo un gay non ha diritti, come un panda.
Vediamo se suona meglio questa: “Difendi i gay? Cosa c’è, ti piacciono gli uomini?”
Con declinazione in base al sesso di chi riceve la domanda, ovviamente.
Ecco, forse ora ci siamo. Perché per un omofobo non puoi “lottare” o fare “fatica” se non hai un diretto, veloce e comodo guadagno personale.
Il classico “non è un problema mio” che torna nell’aria grazia a un atmosfera più pesante, un clima che permette a queste frasi di aleggiare senza che chi di dovere le scacci via con un ventaglio.
Allora si, siamo dei panda, tutti. Non c’è niente di male ad essere un panda, semplicemente stanno perdendo la loro casa, la possibilità di essere liberi.
Gli altri animali della foresta se ne preoccuperanno? Probabilmente si.
Ricordate Guardiani Della Galassia? Il primo? Il team è a Ovunque e Rocket, non a caso per questo articolo “TrashPanda”, pone una domanda a Peter Quill: “Perché ci tieni tanto a salvare la Galassia?”
Starlord risponde nella maniera nella quale ogni panda, omosessuale, etero, animale della foresta dovrebbe rispondere: “Perché sono uno di quegli idioti che ci vive dentro.”
Ecco il punto, vivere in una società migliore è un guadagno per tutti quelli che ci abitano, non solo per i panda, non solo per gli omosessuali, non solo per i cittadini che tengono alla libertà di una minoranza.
Di recente sono stato a Bari. Qualche giorno fa per essere precisi.
Stavamo tornando da una faticosa giornata al Bgeek, l’aria era scura, l’hotel ci aspettava, siepi abbracciavano il cortile che faceva casa al parcheggio.
Passiamo tra due siepi opportunamente distanziate per permettere l’entrata di noi comuni mortali e poi: sfrusc.
Un fruscio, una siepe trema, i rami si flettono e dal nulla un cinghiale grande quanto, beh, un cinghiale esce e si ferma tra le due siepi.
Mi guarda, io lo guardo di rimando. C’è un’alchimia tra noi.
Sto per presentarmi quando: altro fruscio, davanti a me. Dalla siepe fa capolino un altro cinghiale che, lesto, scompare tra le foglie di lì accanto. Dietro a lui un maialino più piccolo e così via per la conta di dodici suini, forse sedici. In periferia, a Bari.
A Milano non siamo molto abituati alla “natura”, sta di fatto che il primo cinghiale non si è mosso fino a quando l’ultimo maialino non è sparito e poi puff tra le foglie anche lui.
Sono certo che a quei cinghiali avrà importato della scomparsa della loro foresta, al rimpicciolimento, alla scarsità di cibo che li ha portati fino a sotto il mio hotel. Gli ha importato come a qualsiasi altro animale che è rimasto vittima di questo logoramento, impoverimento della loro vita.
Ho guardato quel cinghiale, dicono che non si dovrebbe, ma io l’ho fatto. Credo che quel cinghiale abbia provato pena per me, per tutti i problemi che devo affrontare, per il pass del Bgeek, che si è rotto quasi subito e non avevo nastro per ripararlo, per il wifi che non c’è, ci doveva essere nell’hotel, ma invece niente.
Ho pensato che forse, quel Cinghiale che mi guardava con pena, come solo un animale può guardare un uomo, aveva più empatia di chi ti chiede “Sei un Panda?”, “Sei forse Gay?”.
Ci ho pensato.
Gli zoccoli che stridono sull’asfalto mentre il cinghiale si volta creano un rumore innaturale, che nessuno avrebbe mai dovuto sentire, come il “ma” dopo “non sono omofobo.”