Chengyu e xiehouyu: la scrittura enigmatica cinese

Chi mi segue da un po’ sa – grazie a una mia antica rubrica – che i chengyu sono un tipo di espressioni idiomatiche tradizionali cinesi, la maggior parte delle quali è composta da quattro caratteri cinesi. Apparentemente si tratta di strutture assai enigmatiche perché se non se ne conosce il contesto non hanno minimamente senso.

I chengyu erano ampiamente utilizzati nel cinese letterario e sono ancora oggi comuni nella scrittura cinese vernacolare e nella lingua parlata, ma si sono ridotti di molto. Il numero è anch’esso un enigma: fonti riportano che ne esistano circa 5.000 mentre alcuni dizionari ne elencano oltre 20.000.

I chengyu sono considerati la raccolta di saggezza della cultura cinese e contengono le esperienze, i concetti morali e gli ammonimenti delle precedenti generazioni.

Un’altra struttura enigmatica della lingua cinese si chiama xiehouyu ed è un po’ il “genitore” del chengyu perché è essenzialmente lungo il doppio. Si tratta infatti di un tipo di idioma composto da due parti divise l’una dall’altra da una pausa. La prima parte contiene informazioni specifiche e fornisce alcuni indizi che portano alla “risposta”, come viene chiamata la seconda parte.

La rana in fondo al pozzo

Che enigma è? Cioè, cosa mi dovrebbe significare? E questo è un chengyu, perché è solo “un pezzo”.
Il suo xiehouyu invece è: 井鼃不可以語於海者拘於虛也 “Una rana in un pozzo non può concepire l’oceano”.

Ok, fin qui ci possiamo arrivare, giusto? E questa è solo la “morale” della storia, perché esiste tutta la storia della “rana in fondo al pozzo” che è stata scritta dal grande filosofo cinese Zhuangzi (di cui ho anche parlato in un video). Attenzione che però non tutti i chengyu hanno un relativo xiehouyu!

Pur essendo due espressioni di matrice simile in realtà vengono utilizzate in maniera diversa: i chengyu sono più altisonanti, letterari, vengono usati sì anche nella lingua parlata, ma essendo solo 4 caratteri, non sono sempre di facile interpretazione.
Gli xiehouyu sono quasi delle battute, dove la prima parte è la situazione, e la seconda è una sorta di plot twist che ti fa realizzare qualcosa o che ti fa ridere.

Questo non vuol dire che se usi un chengyu sei un intellettuale, ma purtroppo noi laowai abbiamo questo vizio di sentirci fighi a saper due parole e quindi spesso facciamo figure un po’ misere come con il famoso

马马虎虎 “mamahuhu”

Letteramente vuol dire cavallocavallo tigretigre e indica un senso di insoddisfazione, un “così così” nostro, ma anche una persona a cui non frega molto delle cose: quest’espressione non ha una vera frequenza quotidiana, ma piace tanto a noi stranieri da usare perché suona bene e fa un po’ ridere.

due cavalli dipinti in stile cinese

La storia di mamahuhu è essenzialmente quella di un pittore che sta disegnando una tigre. Un uomo gli si avvicina e gli dice “Vorrei un dipinto di un cavallo”. Non volendo iniziare un nuovo dipinto, l’artista aggiunge a caso un corpo di cavallo sotto la testa della tigre. Il cliente giustamente gli dice che fa schifo e glielo lascia lì, così il pittore se lo tiene a casa appeso in salotto. Nei giorni seguenti, il figlio maggiore gli chiede cosa sia e lui risponde “È una tigre!” Poi arriva il figlio minore a chiedergli la stessa cosa e lui risponde “È un cavallo!” Più tardi, il figlio maggiore vede un cavallo… E, pensando che si tratti di una tigre, lo uccide, così il padre deve rimborsare i danni al proprietario del cavallo. Può andar peggio di così? Certo, perché il figlio minore incontra una tigre, e indovinate cosa succede? Cerca di cavalcarla e muore sbranato.

Terribile, vero?

Oggi il termine viene usato per descrivere una persona imprudente o una situazione che è solo “così così”.
Da quando l’ho scoperto, ho smesso di fare l’occidentale “faiga” che cita a caso chengyu perché è una storia terribile.

Sia mamahuhu sia jingdizhiwa (la rana in fondo al pozzo) hanno una storia e così tutte le migliaia di espressioni enigmatiche che sono rimaste nella lingua cinese, che sia essa letteraria o parlata. Nella mia vita ho accumulato libri e libri di chengyu perché le storie relative sono fantastiche, di mio però non riesco a utilizzarli nella lingua comune perché secondo me è proprio la nostra forma mentale diversa, non abbiamo l’abitudine a usare “proverbi” o espressioni simili come intercalari. O almeno, io non parlo così in italiano. Ma un giorno li tradurrò e tutti si potranno beare di queste storie dalla morale atroce (che adoro!).

E voi conoscevate queste espressioni? Le riuscireste a usare?

di Alessandra “Furibionda” Zanetti

 

 

Alessandra Zanetti
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