L’umanità indossa delle maschere da sempre, per raccontare storie, per ricordare, per essere qualcun altro, o magari per essere sé stesso in un modo troppo intimo per poterlo fare con il proprio volto. In questo mese di carnevale vi parliamo di maschere e di come sono cambiate nel tempo insieme a noi che le indossiamo.
La storia si fa nei posti più impensabili; sui campi di battaglia, in piccoli laboratori, tra le pareti di una stanza umida e perfino negli studi notarili.
Vincenzo Fortuna, notaio del 16esimo secolo, il cui studio sorgeva nella Contrada San Leonardo a Padova fu colui a cui una compagnia di attori si rivolse per costituire un nuovo tipo di società. Lo scopo era quello di “recitar commedie di loco in loco per cercare un pubblico sempre nuovo” con lo scopo di “guadagnar denaro che divideranno in parti uguali”.
Senza saperlo, tanto i membri della suddetta compagna quanto il signor Fortuna, stavano “registrando” uno dei momenti più importanti della storia del teatro.
Era il 25 febbraio 1545, giorno che in seguito venne scelto come data simbolica per la nascita della commedia dell’arte, un po’ come il 28 dicembre, data della prima messa in scena del Cyrano de Bergerac, è quella in cui si festeggia il Cyrano Day.
VALERIO. Cyrano? Qualcuno ha detto Cyrano?
ALESSANDRO. Stai calmo. Era solo un esempio. Sto partendo dalla nascita della commedia dell’arte per spiegarne le maschere. Non cominciare con Cyrano.
V. Beh, c’è un collegamento tra Cyrano de Bergerac e le maschere della commedia dell’arte.
A. Va bene dopo lo spieghi, ma prima fammi dire un paio di cose, va bene? Innanzitutto quando si parla della commedia dell’arte e delle sue maschere si pensa subito al Pulcinella di Carlo Goldoni. Niente di più sbagliato. La commedia dell’arte è di fatto uno stile teatrale nato in Italia agli inizi del Cinquecento e che di seguito si diffonde nel resto d’Europa.
V. Lo sai quel era la sua principale caratteristica?
A. Dato che ho introdotto io l’argomento direi di sì, ma scommetto che vuoi dirla tu.
V. Se insisti. Gli attori non avevano un copione. Figo vero? Si basava tutto su un canovaccio e improvvisavano in scena, seguendo le regole di quella che oggi viene chiamata “recitazione a soggetto”.
A. Esatto. In pratica erano dei precursori del teatro di improvvisazione. I loro spettacoli si svolgevano nelle piazze e nelle strade, spesso in mezzo alla folla e proprio per distinguersi dalla gente comune gli attori…
V. Io lo so, io lo so. Posso dirlo io?
A. Quando fai così mi sembri un’Hermione Granger con la barba.
V. Grazie… credo. Dunque dicevo… Ah sì. Gli attori per distinguersi dalla gente comune, iniziarono ad indossare delle maschere. In breve crearono dei personaggi ispirati alla commedia latina arcaica, ma con una differenza molto importante. Da una parte i personaggi erano diversi, ma accomunati dalle stesse caratteristiche; invece nella commedia dell’arte quegli stessi personaggi si fissavano e ritornavano sempre uguali in ogni commedia.
A. Questo è in effetti uno degli aspetti più affascinanti. Nel teatro tradizionale l’attore o l’attrice svolge un lavoro per interpretare un personaggio, mentre nella commedia dell’arte il personaggio è determinato dalla maschera. L’attore che indossa la maschera di Arlecchino o di Pantalone incarna sempre le stesse caratteristiche ovunque.
V. Anche la composizione delle compagnie merita di essere menzionata. Di solito erano nuclei di dieci persone; otto attori uomini e due attrici donne. Attrici donne, capisci? Una vera e propria rivoluzione. Prima della nascita della commedia dell’arte, i ruoli femminili erano interpretati da uomini o da giovani.
A. Arriviamo al punto e parliamo delle maschere, ti va?
V. Sono qui apposta.
A. Abbiamo detto che la fissità delle maschere della commedia dell’arte fa sì che i personaggi siano sempre gli stessi: il servo furbo, il vecchio sciocco, il soldato vanagloriosoo l’innamorato. Più in dettaglio queste maschere, che da ora in avanti ritornano sempre uguali a loro stesse in ogni commedia erano:
V. Pantalone, il mercante veneziano che si rende ridicolo per i suoi desideri sessuali che contrastano fortemente con la sua vecchiaia.
A. Graziano, il dottore che ricorre ad un linguaggio pomposo un po’ latino e un po’ bolognese.
V. I Giovani Innamorati, che si esprimono in una impeccabile parlata italiana, generalmente in contrasto con i vecchi e aiutati dai loro servi.
A. I Capitani. I rivali in amore che finiscono sempre scherniti e sbeffeggiati dagli Innamorati. I loro nomi, Capitan Spaventa o Fracassa, dovevano essere spaventosi. Parlano sempre in tono solenne, con vari dialetti o addirittura con accenti spagnoli, rappresentando una satira contro gli Spagnoli che si trovavano al potere in gran parte d’Italia.
V. Infine i miei preferiti: I Servi. Lo sciocco Arlecchino e l’alter ego astuto Brighella, che parlano in dialetto bergamasco.
A. Non dimentichiamo Colombina, la scaltra cameriera fidanzata di Arlecchino. Lei pero non indossa la maschera.
V. Arlecchino e Brighella incarnano l’evoluzione della maschera dello Zanni, che da solo meriterebbe un articolo a parte
A. Non dimentichiamo inoltre che, in funzione del linguaggio utilizzato, fatto di dialetti e parole inventate, nacquero in tutta Italia altre nuove maschere legate al costume della città. Pulcinella a Napoli, Stenterello a Firenze, Gianduia a Torino e così via.
V. E arriviamo infine a Cyrano de Bergerac e al suo collegamento con la commedia dell’arte.
A. Oh cielo!
V. No, no davvero. Con il suo cappello, il naso, il mantello, la spada, il carattere e la parlantina, è di fatto un eroe della commedia dell’arte. Inoltre, nella scena del duello, egli si riferisce a Scaramouche, personaggio della commedia dell’arte francese, pur avendo anche molti tratti in comune anche con Scapin e Matamore.
A. Tutto qui?
V. Hai detto niente.
A. Forse è meglio se adesso vai a parlare con Ilaria delle maschere nei videogiochi. Vediamo se riesci a menzionare Cyrano anche lì.
V. Accetto la sfida, seguitemi!
di Alessandro Felisi e Valerio Angelucci