L’orgoglio di che?

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L’orgoglio di che?

Ormai chi ci segue da un po’ sa che il mese di giugno lo dedichiamo al Pride, all’orgoglio LGBTQIA+.

Ma orgoglio di che cosa? Facciamo una ricerchina: se su google si cerca qualcosa, normalmente escono risultati inerenti a quel che ci interessa e poi i suggerimenti, basati sulle ricerche che vanno per la maggiore in un dato momento. Stando ai primi di giugno 2023, se si cerca la parola LGBT o LGBTQ+ su google, questi sono i risultati.

screenshot su ricerche google a tema lgbt

Ripeto, per chi leggerà questo articolo nel 2123, che era il 2023.
Di questo si tratta. Ancora. In Italia.

Ma nel resto del mondo va meglio, vero? … vero?

No cara persona del futuro, non va affatto bene.
Ci spostiamo in Cina, facile trovar da ridire alla Cina ovviamente, con le sue politiche poco human friendly, figuriamoci verso la comunità queer.

A quanto pare, essere gay o trans è uno “stile di vita”, una scelta da cui bisogna proteggere i giovani e, in caso, correggerli.
Mmm, queste idee suonano familiari? Chissà da dove arrivano, noi superiori in Occidente non facciamo mica così.
Tra l’altro, i nazionalisti hanno sfruttato e stanno sfruttando questa tematica per fomentare le paure e il fervore. Ecco allora che i gay indeboliscono la nazione perché non sono abbastanza machi da difenderla dal nemico invasore.

Inoltre, è proprio il mondo LGBTQ la debolezza chiave, perché si fa manipolare dagli stranieri che vogliono destabilizzare la società.
Senza poi contare che la crisi delle nascite è una chiara colpa delle persone queer.

Ci sono perfino delle aree dove sono state avanzate proposte di legge per bandire dalle scuole elementari qualsiasi materiale che parli del mondo LGBT, per mettere l’obbligo di chiedere il permesso ai genitori per affrontare tali tematiche in classe. Altre ancora dove anche i libri in biblioteca devono essere censurati.
Non so se siete pratici e conoscete queste aree, ma vi lascio qui i nomi, si chiamano: Arizona, Oklahoma, Tennessee e Florida.

Abbiamo già parlato di orgoglio vs fierezza, ma quello che voglio sottolineare qui è l’assenza di tutto ciò.
Io non sono fiera né orgogliosa di appartenere a pressoché nulla che faccia parte di questo dannato mondo. Non provo orgoglio né fierezza.

Non mi sento rappresentata, non mi sento compresa, non mi sento accettata e non mi sento a mio agio. Quello che sento, quello che provo tutti i giorni, è altro.

Dite che questo è rappresentativo?

Screenshot di testate giornalistiche su tema anti-lgbt

Io provo vergogna.

Provo vergogna nel leggere queste notizie, nel doverne parlare, nel dovere ancora stare qui a puntare il dito da una parte o dall’altra, come se ci fossero davvero degli schieramenti.

Provo fatica, una fatica boia, a far capire come guardare oltre il dito, a guardare la realtà dell’esistenza, a dover convincere giorno dopo giorno la gente che non c’è un nemico nell’ “altro”. Il nemico, se proprio lo vogliamo trovare, si identifica in ciò che ci impedisce di ottenere la felicità.

Sono i sistemi, le istituzioni, i governi incancreniti in posizioni di un potere fittizio che beneficia “solo chi ce l’ha”. Sono loro che dovrebbero far rispettare le persone, difendere, far garantire diritti … e invece la lotta si sposta solo su chi ha ragione, su chi urla più forte, su chi butta giù l’altro dal ring della decenza.

Provo stanchezza, perché mi sembra di ripetere sempre le stesse cose ma mai arrivano giuste, alle orecchie giuste.
Provo rabbia, frustrazione, delusione… perché per quanto si spinga in avanti la barca dell’inclusione, della comprensione e dell’accettazione, più ondate di intolleranza, ignoranza e bigottismo la respingono a riva.

Non riesco a provare orgoglio.

Mi hanno tolto le forze per essere fiera di qualcosa. Mi sento schiacciata e soggiogata da una retorica che inizia e finisce lì, sugli schermi, sulle tastiere, sulla punta delle dita. Non vedo spazio, non vedo rappresentanza. Vedo voci, ma non le sento. E non perché non ci siano, ma l’urlare furibondo, fuori luogo, frustrante, fustigatorio di chi non capisce un c**** è troppo forte.

È un martellare discontinuo, a cui non puoi abituarti, come gli operai che arrivano alle sette del mattino a fare i lavori, ma poi lasciano lì a metà le cose, tu ti stappi le orecchie e di nuovo riprendono più forti di prima. È una cosa a cui non ci si abitua, è una cosa che logora e basta.

E io non so a cosa mi possa aggrappare affinché questa sensazione di frustrante impotenza possa svanire, perché in fondo, sono contenta di provarla, perché se smettessi di sentirmi così, sarei come loro, o peggio, indifferente.

E allora carə amicə che stai leggendo, ti chiedo di non sentirti magari male come me, ma se ti ci senti, non sentirti solə.
L’unica cosa che possiamo fare è rimanere qui, imperterriti e impertinenti, a puntare il dito, a urlare più forte se necessario. La lotta continua, non dovrebbe essere una lotta quella di essere persone, eppure lo è. È ingiusto, è logorante, è tutto quello che ho già scritto: ma è così. E finché ci sentiamo un po’ male, sappiamo almeno che non siamo come “loro”. Finché proveremo disagio e disgusto nel vedere intolleranze e discriminazioni, sapremo che siamo dalla parte giusta.

Una misera consolazione? No, è senso di appartenenza, l’appartenenza di chi non si arrende al male.

di Alessandra ‘Furibionda’ Zanetti

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