Una sofferente speranza di riscatto- The Whale di Darren Aronofsky

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Una sofferente speranza di riscatto- The Whale di Darren Aronofsky

 

Salve a tutti voi, cari novizi e novizie!

Dopo aver ahimè saltato l’articolo di Gennaio, è bello poter ritornare a scrivere qualcosa per la mia rubrica, qui su Niente Da Dire! Mi piacerebbe poter dire, con tono solenne, che non è un caso che io ritorni con un articolo dedicato a questo film. Ma lo è, un fortunato caso. Un meraviglioso caso fortuito che desideravo che potesse accadere.

Martedì 31 Gennaio ho avuto l’onore e il piacere di andare a Milano per poter assistere, in anteprima, a uno dei film che più aspettavo di vedere, sin dal suo annuncio: The Whale, diretto da Darren Aronofsky e con protagonista quel gigante attoriale che risponde al nome di Brendan Fraser. Fresco fresco di tre candidature agli Oscar 2023, The Whale uscirà nelle nostre sale il 23 Febbraio, distribuito da I Wonder Pictures. Il film è la trasposizione cinematografica di un testo teatrale scritto da Samuel D. Hunter, che ha curato anche la sceneggiatura del film. Ed era più che naturale che il sottoscritto smaniasse dalla voglia di vederlo, essendo il teatro il mio campo di lavoro e di amore.

In sala, nel mezzo di numerosi critici cinematografici dall’aria importante e studenti di cinematografia pronti ad analizzare ogni singolo fotogramma avidi di sapere, ammetto di essermi sentito un po’ un pesce fuor d’acqua, visto che non mi sono mai ritenuto un grande esperto di cinema, ma più un appassionato che ama quell’arte e ha avuto la fortuna di poter essere dall’altra parte di quello schermo. Ma nel momento in cui si sono spente le luci e le prime scene di The Whale sono comparse sullo schermo, certi pensieri e disagi non esistevano più nella mia mente. Perché sin dal primo fotogramma, ho capito a che cosa stavo andando incontro…

La storia di The Whale è tutta vissuta attraverso gli occhi di Charlie, professore universitario recluso in casa a causa di una grave obesità che lo affligge da molto tempo, estraniandolo completamente dal mondo esterno e rendendolo incapace di tenere vivo ogni rapporto che ha con gli altri. L’unica compagnia di Charlie, a parte i suoi amati libri, è quella di Liz, l’infermiera che lo accudisce e alla quale è legato da una profonda amicizia. I suoi problemi fisici e un particolare evento accaduto durante l’inizio del film lo porteranno a cercare di riallacciare i rapporti con sua figlia Ellie, che ha abbandonato anni prima e di cui nutre ancora un affetto sconfinato per lei, purtroppo non ricambiato dalla ragazza. Questa decisione farà riaffiorare i traumi e le tragedie che Charlie tiene nascosti nell’unico luogo dove non nuocciono a nessuno, a parte se stesso: I suoi ricordi…

Stop. Non saprete altro da me per quanto riguarda la trama di questo film. Sappiate che c’è di più, molto di più in The Whale. Una storia che si srotola man mano che le scene si susseguono, penetrando a fondo nella mente e nel cuore dello spettatore. Senza lasciargli respiro, fino al culmine della narrazione, lasciando il pubblico senza forze, completamente estasiato.

Non sono un critico cinematografico, questo lo sapete. Sono un attore ( sapete anche questo). Novizio, come mi piace definirmi. Quindi non farò troppi giri di parole e andrò diritto al sodo, descrivendomi la mia personalissima e soggettiva opinione su questo film.

The Whale è pura magia cinematografica.

Non ci sono incredibili tecniche di regia o effetti speciali che vi faranno drizzare i capelli, nossignore. Non servono in questo film, se non a rovinare quello che Hunter e Aronofsky hanno deciso di creare, di raccontare. Tutto è raccontato con semplicità e precisione, nel puro stile teatrale che permane in tutto il film. Una regia intima e quasi invasiva, facendo sentire il pubblico una sorta di ospite inaspettato, che decide di rimanere lì, in silenzio a guardare il mondo del protagonista: isolato, sofferente, pieno di rimpianti e consapevolezze. E noi spettatori soffriamo, soffriamo in maniera atroce e intensa nel vedere il povero Charlie arrancare tra le stanze della sua casa vuota colma solo di rimpianti o mentre mangia in modo violento e autolesionista il cibo spazzatura che è diventato ormai la sua unica valvola di sfogo…o di fuga violenta. Una sofferenza che ci rende impotenti e desiderosi di poter aiutare quell’anima che non riusciamo a non amare, ma non ci viene permesso. Perché possiamo solo guardare e sperare…sperare che Charlie possa ricevere l’amore che necessita e che merita.

Tutto questo sentimento di sofferenza e disagio ci viene lanciato addosso dalle incredibili performance recitative degli attori. Tutti, e ripeto TUTTI, persino le comparse, sono necessari e lasciano una gigantesca impronta sulla storia, profonda e indelebile: la recitazione di Hong Chau (Liz) e di Ty Simpkins ( il giovane missionario Thomas), sono eccellenti e reali, lasciando il segno nel film con scene di grande impatto emotivo. Sadie Sink ( conosciuta da tutti per il suo ruolo di Max in Stranger Things), dà prova di essere un attrice migliore di molti professionisti di Hollywood, regalandoci un‘Ellie rabbiosa, sadica e nichilista e schiacciata da un abbandono che non vuole ( o che non riesce?) a perdonare. Senza poi dimenticare l’inaspettata e deliziosa performance di quel mostro di attrice che risponde al nome di Samantha Morton ( non sapevo minimamente che facesse parte del cast!), che intrepreta Mary, l’ex moglie di Charlie: In una sola scena è riuscita a insegnarmi più cose di un intero corso di recitazione, con le pause, i respiri, gli sguardi…Mente, corpo e anima.

E poi c’è lui…il magnifico Brendan: Fraser è qualcosa di inarrivabile, nella sua stupenda e impeccabile intepretazione di Charlie. Irriconoscibile sotto il pesante trucco e totalmente calato nella parte, attrae ed unisce tutto il resto del cast. Non sovrasta mai nessuno di loro ma eleva la loro recitazione in un walzer di sentimenti ed emozioni. Dolce, composto, profondo e dannatamente sincero negli sguardi, nei respiri affannati e nei sorrisi speranzosi, rivelando tra le pieghe del suo corpo sovvrappeso e stanco una fragilità che appartiene a tutti noi ma che non ci è permesso di mostrare. Aronofsky ha detto bene, in un intervista: Solo lui poteva rappresentare al meglio il personaggio di Charlie. Lui, che ha visto l’oscurità della depressione e della sofferenza e che poi ha deciso, con l’aiuto di tutti, di rialzarsi e tornare a respirare nella luce. La prova recitativa di Brendan Fraser è uno schiaffo a tutti coloro che hanno contribuito ad affossarlo, a distruggerlo mentalmente e fisicamente. Mentre è un abbraccio caloroso alle migliaia e migliaia di fan che lo hanno amato incondizionatamente e hanno gridato a gran voce il suo ritorno al cinema.

The Whale va visto, signori e signore. Senza se e senza ma. Perché è esattamente ciò che il cinema ( e anche il teatro) può e deve regalarci: una sofferente speranza di riscatto. Non solo per Brendan Fraser, che ha già riconquistato il posto che gli spettava di diritto, ma per coloro che lottano con i propri demoni, le proprie insicurezze e le malignità di un mondo che non gli permette di accettarsi come dovrebbero fare. Persone che trovano nel cinema e nel teatro un momento di pace e serenità, ma anche uno specchio sul dolore che li attanaglia, costringendoli a guardare nella casa di un professore obeso e vederlo soffrire mentre combatte come può per riconquistare ciò che di buono ha mai fatto nella sua vita. Affinché anche quello spettatore possa fare lo stesso: ovvero alzarsi in piedi, come vuole fare Charlie, per poter vedere finalmente il sole e scoprire quanto siano caldi e belli i raggi che esso emana.

Perché dobbiamo ricordare che meravigliose persone siamo…e che possiamo essere.

Attore Novizio al vostro servizio!

 

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