Intervista a Marco B. Bucci e Jacopo Camagni, i Simulacri e la distanza
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Jacopo Camagni, fumettista e illustratore, e Marco Bucci, sceneggiatore e game designer. Etrambi già autori della serie Nomen Omen, edita da Panini, sono stati a Lucca Comics & Games 2022 per la presentazione del primo numero della loro nuova miniserie Simulacri, edita Bonelli Editore. Ed è proprio allo stand della casa editrice milanese che abbiamo incontrato i due autori, per farci raccontare dettagli ulteriori su questo loro nuovo progetto.
NDD: Cominciamo con una sorta di domanda zero in cui vi chiediamo di raccontarci, brevemente, la trama di Simulacri.
Marco Bucci: Simulacri inizia come una slice of life che segue l’arrivo di Lily, che sembra all’inizio essere l’unica protagonista della storia, sull’Isola d’Elba. Lei conosce un ragazzo e poi, con un’atmosfera un po’ romance, la seguiamo mentre entra in questo gruppo di amici ormai consolidato da tempo; ragazzi che si conoscono da una vita e che vivono, ognuno a modo suo, la condizione di isolamento dell’Isola d’Elba. C’è chi se n’è andato, chi va e ritorna o chi è rimasto. Il problema, se così lo possiamo chiamare, è che non tutto è come sembra. C’è un’atmosfera sinistra che sin dal primo volume emerge tra le tavole. È questo lo trasformerà lentamente e lo farà, diciamo, scivolare da un genere letterario ad un altro. Lasceremo le atmosfere da tranquilla “quasi sit-com” tra ragazzi della nostra generazione, andando verso invece atmosfere molto più tetre. Diciamo che a un certo punto qualcuno spegnerà la luce.
NDD: A proposito della scelta delle isole: perchè l’Isola d’Elba e l’isola di Pianosa?
Jacopo Camagni: L’Isola d’Elba nello specifico perché quando abbiamo pensato la storia con Marco avevamo bisogno di un posto che rappresentasse un po’ questo problema che hanno i personaggi nel non riuscire ad andarsene via, dell’essere isolati e nel non riuscire a “mollare gli ormeggi”: vincolati a un posto. È una cosa che potevamo fare in qualunque città, in un paesino del sud Italia come anche in una grande città: è indifferente. Perché è una cosa abbastanza comune il fatto di non riuscire a lasciare la famiglia o provare ad andarsene senza farcela ed essere schiavi di dove si abita. L’isola sottolinea geograficamente, col mare attorno, questo blocco. L’Isola d’Elba nello specifico perché volevamo un posto che conoscessimo e che non fosse abusato dall’immaginario collettivo come poteva essere una Sardegna o una Sicilia. Sono bellissime, ma molto viste. L’Isola d’Elba io l’ho frequentata da quando mia mamma era incinta fino ai primi diciotto anni della mia vita. L’ho girata tutta l’estate in lungo e in largo. Quindi ho detto: “la conosco, ha alcune parti bellissime e alcune parti molto inquietanti”. Me la sono vista, e vissuta, d’estate, d’inverno, d’autunno: la conosco molto bene. Ed è un posto veramente poco battuto dalla fiction nostrana, sia dal fumetto, che dai libri, che dalla tv. Ci sembrava, quindi, perfetta e accanto c’è l’Isola di Pianosa. Sul perché ci serve non ne parliamo ora. Lo scoprirete da qua a pochi mesi!
NDD: Il personaggio di Lily nello specifico come è nato? Come lo avete creato? E poi anche questo gruppo di amici come lo avete formato?
Marco Bucci: Il tema delle distanze tra i personaggi e i luoghi emerge tantissime volte e riemergerà anche più avanti. Noi avevamo bisogno di una nomade, di qualcuno che non è consapevolmente in fuga ma che è consapevolmente sradicata. Lei non vuole rimanere troppo tempo nello stesso posto e infatti ha scelto un lavoro, lei lavora come archeologa, che la sballotti di qua e di là di continuo. Il suo personaggio si è un po’ fatto da solo, devo dire. L’abbiamo tratteggiato prima io e Jacopo assieme in fase di creazione di tutto il progetto perché questo progetto nasce comunque da un’idea mia e di Jacopo e dai suoi character design. L’ho sviluppato molto con Eleonora C. Caruso, con la quale firmo la sceneggiatura, che è un’autrice Mondadori eccezionale e grazie alla sua capacità di scendere in profondità nel lato intimista dei personaggi, diciamo che ho scoperto anch’io in corso d’opera cose di Lily che non avevo previsto inizialmente. Però è proprio il personaggio nomade che ti può condurre da esterno dentro un gruppo chiuso, che soffre queste distanze: sia tra di loro che comunicative, affettive, fisiche o distanze dai luoghi. Invidiano quello che è riuscito ad andarsene e prendono sempre in mezzo quello che è sempre in giro e ritorna sempre. E poi ci sono quelli che non se ne sono mai andati e quelli che sono arrivati ma che alla fine non se ne andranno mai. Il discorso delle distanze sicuramente è narrativo e metaforico. Lei è quella spiantata che non riesce mai a fermarsi in un posto, eppure qui si sta fermando. Perché?

Da sinistra: Stefano Martinuz, Marco Bucci, Jacopo Camagni, Flavia Biondi, Giulio Macaione e Eleonora Caruso Fonte: Bonelli
NDD: Come avete scritto nell’editoriale finale, il progetto nasce nel 2018: come si è sviluppato?
JC: Nel 2018 nasce il primo contatto con Michele Masiero. Ci chiese di pensare a un progetto per Audace (n.d.r. collana di Bonelli). Io e Marco ci siamo messi, metaforicamente, intorno a un tavolo a ragionare. Quindi ci è voluto un pochino di tempo per prepararlo, per svilupparlo, per preparare il materiale, perché comunque nel frattempo ho lavorato ad altro. Quindi anche ritrovare un attimo il tempo fisico per realizzare la caratterizzazione dei personaggi, per affinare un attimo la storia, ragionare sulle location, trovare il posto e avere anche un’idea della struttura complessiva della storia. Direi che la scintilla c’è stata 2018, poi in realtà a inizio pandemia, diciamo fine 2019, abbiamo cominciato il vero e proprio sviluppo tecnico della lavorazione.
MB: Anche perché il team creativo è composto da sei persone. Dovevamo armonizzare tutti gli impegni. Abbiamo srotolato i calendari e abbiamo detto: “va bene ragazzi, piano d’azione. Tu quando puoi? Io ho un buco qui e un buco qua. Sposta questo, questo lo faccio dopo, questo lo faccio prima”. Mettere insieme sei persone che lavorano comunque nell’editoria, e a pieno regime tra l’altro, è difficile. Nel frattempo nessuno ha smesso di lavorare ai propri progetti e l’abbiamo organizzato al meglio. Poi abbiamo fatto un piano che riuscisse a coprire la lavorazione anticipata di tutto quanto. Noi usciamo col primo, ma usciranno quattro volumi da qui alla prossima Lucca e sono quindi uno dietro l’altro.
NDD: È un progetto corale, ci sono tantissime firme, comunque già abbastanza note, e tantissimi stili differenti. Nelle tavole si nota questo stacco. Con quale dinamica avete lavorato?
JC: Diciamo che a me e Marco piace molto lavorare con i codici grafici. Nel nostro altro progetto che abbiamo con Panini, ovvero Nomen Omen, abbiamo alcuni codici grafici che usiamo per facilitare la lettura, senza dover, in maniera didascalica, spiegare le cose. Quindi in Nomen Omen abbiamo il bianco e nero e l’uso del colore che ti dicono dove, come e quando sei mentre stai leggendo. Ad esempio abbiamo pagine disegnate da un altro illustratore, Fabio Mancini, che ti dicono che in quel momento la protagonista sta sognando. È un modo di lavorare che ci piace perché crea un rapporto con il lettore. Non hai bisogno che ti tenga per la manina e che ti spieghi qualunque cosa tu stia leggendo e vedendo, ma mi fido di te e quindi so che in questa maniera tu potrai capire benissimo senza che te lo spieghi. Quindi, fatta questa premessa, volevamo trovare un codice grafico che ci permettesse di raccontare il dualismo delle location. Per cui abbiamo scelto due disegnatori differenti che pur essendo molto diversi tra di loro, sono amici e tra di loro c’è una chimica, sono facenti parte di un’identica scena del fumetto. Flavia Biondi e Giulio Macaione fanno parte della scena Graphic Novel e sono conosciuti per quello.
A noi servivano, dovendo far parlare dei personaggi e le emozioni, delle persone che sapessero raccontare quello. Loro erano perfetti per rappresentare le due parti della storia, in più sono amici, ci conosciamo da una vita ed è quindi sembrata automatica la scelta. A unire tutto questo abbiamo chiamato Stefano Martinuz, che è un illustratore e colorista che abbiamo chiamato appunto per la parte di colore, che serviva da collante per uniformare i due stili diversi e, al tempo stesso e col suo gusto cromatico, per dare un contrasto netto tra le due parti. Il lettore vede una pagina di Flavia con questi colori acidi, quasi fluorescenti e sa dov’è in quel momento, o perlomeno lo scoprirà. Vede quelle di Giulio che sono più malinconiche e sa che quello è un altro momento, un altro posto e un’altra situazione. Volevamo realizzare tutto questo senza dover mettere una didascalia per doverlo spiegare e, secondo me, funziona.
MB: Sì, siamo un po’ criptici in questo, ma diciamo che i codici grafici si svelano subito.
NDD: Simulacri è un termine molto interessante, nella letteratura viene anche utilizzato per analizzare la semiotica dei videogiochi (per gli avatar). Nel vostro editoriale finale scrivete “siamo solo simulacri”. Siamo solo corpi, involucri, avatar?
MB: Sicuramente il tema dei corpi è un tema importantissimo per Simulacri come serie. Il fatto che i personaggi abbiano dei corpi così diversi, alcune volte non conformi o comunque che non vogliono aderire a una conformità o a un canone, già ci racconta che sui corpi, che tra l’altro si incontrano molte volte anche eroticamente, c’è un tema. Su questo tema ne vedremo. Simulacri è una parola che viene usata una sola volta in tutta la serie, a tre quarti dell’ultimo volume. Simulacri, secondo me, fino alla fine è un titolo che filosoficamente rappresenta molto bene questa serie. All’interno della serie stessa però viene enunciato una volta.
NDD: Cosa vi lascia senza niente da dire?
MB: Che domanda meravigliosa. Io sono un romantico. Quindi, come i pittori quando, nella pittura romantica, rappresentavano i personaggi piccolissimi e minuscoli davanti a questi paesaggi maestosi, io rimango senza niente da dire davanti alle meraviglie della natura. E questo è molto vero. Quindi credo sia il momento in cui io sto zitto. Forse l’unico come si sentirà dalla mia voce (ride). In quel momento, possono testimoniare, sto zitto, me la godo e basta. Li rimango senza niente da dire.
JC: Sarò molto più classico. Una storia raccontata bene, se è raccontata bene, non mi lascia nient’altro da dire. E anche cinque giorni di Lucca mi hanno lasciato senza niente da dire (ride).
Ringraziamo Marco Bucci e Jacopo Camagni per il loro tempo e la loro gentilezza, auguriamo il meglio per il progetto Simulacri e per il loro futuro.
di Damiano D’Agostino e Alessandro Felisi
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