Una vigliaccheria emotiva
Mi piace parlare di paura. E’ un argomento che mi affascina e al tempo stesso mi terrorizza ( per l’appunto), visto che io sono notoriamente un fifone. Ma il concetto stesso di paura, di spavento, ha sempre avuto un ascendente su di me. Come se volessi in qualche modo esorcizzare il timore che ho sempre avuto verso quella parola, guardando film dell’orrore o giocando a survival horror. O più semplicemente, parlandone con qualcuno.
Ma la più interessante analisi sulla paura me la diede il grande Giorgio Gaber, in uno dei suoi monologhi che ho sempre amato di più: La Paura. ( è una fastidiosa ripetizione, me ne rendo conto e mi scuso.) Monologo che ho avuto il piacere di portare in scena io stesso quando mi sono calato nei panni del Signor G. Il testo parla di una passeggiata notturna di Gaber che sfocia in un inquietante incontro con un misterioso personaggio in un vicolo oscuro, generando terrore e apprensione sul protagonista che non sa come affrontare la situazione e si ritrova a fare mille congetture su chi sia quell’uomo e quale sia il metodo migliore per cavarsi via da quell’impiccio così spaventoso. Un monologo divertente e spassoso, ma che racchiude al suo interno verità inequivocabili.
Ma c’è una parte, in questo monologo, che penso riassuma perfettamente una rappresentazione della paura non generale, ma odierna. Ve la riporto:
“E camminando di notte, nel centro di Milano, semideserto e buio e vedendomi venire incontro, l’incauto avventore, ebbi un piccolo sobbalzo nella regione epigastricoduodenale che a buon diritto chiamai, paura o vigliaccheria emotiva.”
È il pezzo iniziale, l’introduzione. Ed è quella che più mi colpì ai tempi in cui studiavo il buon Giorgio. Soprattutto per l’ultima frase che viene detta: Vigliaccheria emotiva.
Una frase che riassume parecchie questioni che stanno vorticando in maniera prepotente negli ultimi anni del nostro paese, o del mondo intero: Integrazione razziale, parità dei diritti, amore tra lo stesso sesso e proprietà del proprio corpo. Sono tutti concetti che fanno paura a molte, troppe persone. Ma come possono far paura cose che non fanno paura? Oltre che al semplicissimo fatto che, come ci insegna Lovecraft, la cosa che spaventa di più è la paura dell’ignoto, di ciò che noi non conosciamo; questa paura è derivata da una semplice emozione primordiale che li rende incapaci di affrontarla e comprenderla, la vigliaccheria. Una vigliaccheria emotiva che li fa rimanere fermi e immobili, pieni di pregiudizi e ignoranza, in un vicolo davanti ad uno sconosciuto che sta solamente camminando per la sua strada, con un mazzo di fiori tra le mani e pronto a proseguire verso il sentiero che si è scelto di intraprendere.
E’ la forma di paura che più ci spaventa, ci distrugge sin dai tempi antichi: la paura di capire, di comprendere qualcosa che non rientra nei nostri standard classici. La vigliaccheria emotiva che impedisce al personaggio del Signor G di camminare tranquillo nelle strade di Milano. Di salutare amichevolmente una persona che non nasconde nessun’arma nel mazzo di fiori, ma solo tanta gentilezza che si tramuta in un sorriso cordiale e un saluto colmo di speranza. Speranza che troppe persone non colgono, troppo vigliacche emotivamente per cercare di aprirsi al dialogo, all’ascolto. Una incomprensione che spaventa più degli zombie o dei vampiri, perché questa è reale e sta mietendo vittime ovunque, in tutto il mondo.
E’ una paura che mi terrorizza fin dal profondo. Perché mi fa capire che abbiamo ancora molto da imparare in questa vita, e dobbiamo sforzarci di farlo prima che sia troppo tardi. Perché in fondo, quando finalmente ci scrolliamo di dosso quella vigliaccheria emotiva, ci accorgiamo che…
“…ho avuto paura di un’ombra nella notte, ho pensato di tutto, l’unica cosa che non ho pensato… è che poteva essere semplicemente, una persona.”
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