Onigiri Calibro 38

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Un sorso di avventura

Sei convinto di sapere cosa voglia dire avere sete quando dopo qualche ora che non bevi senti la bocca un po’ pastosa.
Ma non sai davvero il reale significato della cosa fino a che non rimani senza abbeverarti per molto, molto tempo.

Ne esistono di vario tipo, quella di cui parlo io è una specifica:
La sete di avventura che solo viaggiare ti dà.

A quest’ora, qualche anno fa, ero già in Giappone a perdermi per le strade dopo aver accompagnato viaggiatori di tutte le età a visitare gli splendidi luoghi delle città nipponiche.
Sudavo, bevevo Pocari Sweat o gelati in sacchettini e mi facevo piacevolmente rintronare dal rumoroso e prorompente frinire delle cicale.

Tanto tanto tempo fa

Quindici anni fa invece, vivevo il Giappone per la prima volta… la prima.
Una giovinetta che non era mai stata oltreoceano, partita con qualche amico, un libro e vestiti stropicciati nella valigia.
Quindici anni è l’età di un adolescente che si appresta a diventare maggiorenne.
E io invece ero lì, a vivere il mio grande sogno.
Poco prima ero terrorizzata che non sarebbe stato all’altezza delle mie aspettative.
Poco dopo il rientro ero terrorizzata che non sarei mai più riuscita a sentirmi completa lontana da lì (spoiler, le mie paure si sono avverate)

In queste quindici estati – a parte ovviamente le ultime 3- ho visto il paese cambiare tantissimo, pur rimanendo per certi versi lo stesso.
Mi sono resa conto di quanto la prima volta fosse complesso e a mano a mano sia diventato più semplice girare per il Giappone, mi sono accorta di quante cose in più fossero a disposizione di una straniera.

Non è un paese per stranieri

Il cambiamento numero uno è sicuramente quello legato alla lingua.
Nei primi anni 2000 nelle varie stazioni e sui mezzi di trasporto di ogni tipo non c’era altro alfabeto che quello giapponese.
Quando dovevo comprare un biglietto per muovermi in metropolitana stavo almeno 20 minuti davanti alla mappa gigante delle linee e facevo calcoli astronomici, prendevo appunti e saggiavo il vento per capire dov’ero e qual era la direzione da prendere.
Una volta a bordo non potevo distrarmi, dovevo contare le fermate o imparare a memoria i kanji dei posti in cui volevo andare o rischiavo di sbagliare.
Quante ore passate con le mie compagne d’avventura a fermare persone in stazione per chiedere gentilmente di aiutarci ad arrivare a Odaiba perché proprio non capivamo come si facesse.
Stesso problema per cartelli informativi fuori dagli esercizi commerciali.

Niente internet

No, niente smartphone.
Erano i primi 2000.
Per poter far funzionare il tuo lì dovevi fare i salti mortali e avere sangue nipponico nel tuo albero genealogico, valeva anche un lontano antenato ma era necessario.
Il wi-fi pubblico te lo potevi anche sognare, forse non c’era neanche negli hotel… forse. Quello è cambiato soprattutto negli ultimi tempi con le Olimpiadi alle porte.
Quindi quello che si aveva a disposizione erano delle mappe, le guide rilegate e fascicoletti stampati che ci eravamo preparati prima di partire.
Ovviamente oltre alla bontà di qualche passante.
Non credo di essermi mai persa così tanto da nessun’altra parte. Bei ricordi.

Non parlo inglese

Tornando alla lingua per comunicare.
Trovare qualcuno che effettivamente parlasse un inglese comprensibile era un miraggio, e infatti la maggior parte delle volte preferivo utilizzare il giapponese, cosa ovviamente non fattibile per tutti.
Mi ha ovviamente aiutata a perfezionarmi, ma certo è che non era facile per i turisti in generale.

Qualche volta il non essere giapponesi ci impediva anche quando avevamo a che fare con il personale dell’hotel, e non era solo una questione di lingua.
L’ultima notte che io e il mio gruppo eravamo a Tōkyō c’è stato un tifone che si è protratto a lungo, così il mattino seguente abbiamo deciso di prenotare dei taxi per andare in aeroporto – non che io ci tenessi particolarmente a rientrare ma tant’è.

Per quanto lo chiedessimo il receptionist non voleva saperne di chiamarceli. Abbiamo dovuto chiamare in Italia, nonostante qui fosse notte fonda, svegliare la nostra professoressa dell’università, farci passare il marito giapponese e farlo parlare con l’uomo dell’hotel.
5 minuti dopo avevamo i nostri taxi.
Ad oggi non ricordo esattamente per quale ragione non volesse aiutarci, ma così fu.

Vorrei un biglietto per…

Acquistare biglietti per determinate mostre era altrettanto complesso.
Li vendevano solo in alcuni punti specifici e soprattutto solo all’interno del Giappone, quindi prenotarli prima di partire era impensabile.
Dunque o avevi gli agganci giusti o niente da fare, magari il Museo Ghibli lo vedi la prossima volta.

E queste sono solo alcune delle cose cambiate nel tempo, che sono migliorate, un po’ grazie alla tecnologia, un po’ grazie al fatto che i giapponesi hanno compreso (almeno in parte) quanto aiutare il turismo potesse convenire anche a loro.
Speriamo che se lo ricordino presto, perché qui la sete aumenta.

Stay Kind
Love, Monigiri
💙🍙

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