Tre domande a Giorgio Vanni
Giorgio Vanni, cantautore milanese classe ‘63. Una delle voci più familiari alla generazione millennial, divenuta celebre proprio per le sigle dei cartoni animati più famosi degli anni ‘90 e 2000. Noi di Niente da Dire abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo virtualmente per farci quattro chiacchiere sui suoi progetti con la novella piattaforma Hibe e sul suo percorso artistico. “Alla tua!” esclama Giorgio alzando il bicchiere con il caffè, l’atmosfera è quella giusta. Possiamo cominciare con l’intervista. Buona lettura!
Parlaci di “Catch the song”, il tuo nuovo format musicale su Hibe.
“All’inizio ero un po’ perplesso, ma mi piaceva l’idea. Non avevo mai fatto il conduttore e poi mi son detto “mettiamoci in gioco”. Tutti i componenti dello staff di Hibe, da Edo il regista, Giulia e Marco Menna, mi hanno messo proprio a mio agio. In realtà la proposta l’ho ricevuta dal mio amico Leonardo de Carli che mi diceva “secondo me saresti adatto e potresti fare una cosa divertente con questa trasmissione”. Io e il mio socio Max Longhi ci abbiamo pensato, non era esattamente il mio ambito, la mia comfort zone. Però possiamo provarci.
La cosa è stata organizzata molto bene anche per i copioni, anche se sono sempre andato molto a improvvisazione. C’erano delle regole da rispettare per quanto riguarda il gioco, il quiz vero e proprio. Ma poi sono andato molto a braccio e divertendomi molto, soprattutto perché i concorrenti sono miei super amici, tra cui Micol Ronchi, Giovanni Fois, Matt e Bise e Arianna Craviotto, una giovane doppiatrice. Insomma molti talent amici ma anche, cosa molto bella, tanti appassionati a quello che faccio e affezionati al mio personaggio.
Per cui ci siamo trovati, perché ovviamente Max (l’ammiraglio) e Federica mi seguivano da vicino, in questo mondo creato da Hibe. Io mi sono trovato bene, molto carino e ben organizzato, e avevo tanta voglia di cantare durante le puntate, ma mi sono comunque divertito nel “far finta” di fare il conduttore. Che poi non era “far finta”, ho fatto proprio il conduttore. Mi sembra sia andata abbastanza bene, poi è normale che una nuova piattaforma con contenuti nuovi, con rivisitazione di un personaggio come me da cantautore a conduttore, ci vuole un po’ di tempo e promozione. Soprattutto per avvicinare più pubblico e spettatori possibile.
È stata una cosa molto positiva, mi è piaciuto moltissimo aver avuto la possibilità di sviluppare di più una parte di intrattenimento che ho durante i miei spettacoli. Spesso, appunto, parlo durante i concerti, racconto e faccio battute. Hibe mi ha dato la possibilità di espandere, esprimere e sviluppare parte di quella mia natura.”
Peraltro Hibe è una piattaforma che cerca di mettere anche in contatto il pubblico con la trasmissione, giusto?
“Certo! Hanno fatto un casting tra i miei fan che erano interessati a partecipare al programma e sono arrivate tantissime candidature, più di quelle che ci servivano. Vedo i ragazzi che ci seguono e che mostrano un affetto fortissimo, c’è un amore rispetto a quello che abbiamo fatto. Parlo al plurale perché tutte le sigle che ho fatto le ho prodotte con Max, Alessandra Valeri Manera ha scritto quasi tutti i testi. Anche perché, tornando al discorso, si vanno a toccare delle corde della sfera emotiva dell’infanzia e dell’adolescenza. Per cui quando mi fermano in giro non mi chiedono solo la foto, spesso mi chiedono: “ti posso abbracciare?”
Questo mi fa risparmiare un sacco in psicoanalisi, nel senso che sono fortunato e pieno di affetto da tantissime persone. Non mi sento più frustrato o solo. Questa, ti dirò, è una mezza battuta, perché è vero. Tanti vedono Giorgio Vanni come sempre allegro e sempre a 3000. Sì è vero, però non sempre. C’è anche una parte di me molto malinconica. Soprattutto durante il periodo dell’adolescenza ho vissuto esperienze abbastanza traumatizzanti. Ho perso mia mamma quando avevo 15 anni e mio padre quando ne avevo 23. Quello mi ha creato grande dolore. La musica e il pubblico mi hanno veramente aiutato tantissimo.”
Qual è stato il tuo percorso artistico? Come hai cominciato e come poi sei arrivato a cantare le canzoni dei più celebri cartoni animati anni ‘90/2000?
“Il mio percorso artistico è stato questo: da piccolo ascoltavo mia madre cantare, nonché tutti i dischi che ascoltava mio padre. Lui si chiamava Radames, nome del capitano delle guardie dell’Aida di Giuseppe Verdi. Per cui mio padre era molto legato alla musica, ovviamente non se l’è dato lui il nome, gliel’ha dato sua nonna. Lui ascoltava musica lirica, reggae e Jazz. Io sono quindi cresciuto ascoltando un po’ di lirica, tanto reggae e un pochino di Jazz. Su quest’ultimo, il classico mi piace un po’ meno. Io sono affascinato dalla musica Black, vorrei essere Marvin Gaye ma purtroppo non si può. Ce n’è già stato uno di Marvin Gaye. Lo adoro, è il mio artista preferito. Poi ovviamente ce n’è altri, ma prima di tutto i black singer.
Per cui il mio percorso è partito dalla mia cameretta con una battaglia tra indiani e cowboy, sempre con la chitarra e scrivevo le mie canzoni. Poi ho organizzato e fondato un paio di gruppi e ho conosciuto l’ammiraglio Max, ho cominciato a scrivere per tanti artisti come Eugenio Finardi, Miguel Bosé, con Max abbiamo scritto per Mietta, poi Laura Pausini e Ricardo Montaner. Con il gruppo che avevo fondato siamo andati a Sanremo Giovani nel 1992, poi subito dopo ci dividemmo. Avevamo capito che non era la nostra strada. A me personalmente non piaceva cantare in italiano e non mi è piaciuto sino a quando non ho cominciato con le sigle, lì mi divertivo. Era il mio brodo, e andavo.
La musica italiana non mi portò al successo, non la sentivo particolarmente. Mi piaceva cantare il funky e il reggae che scrivevo in inglese. Dopo un po’ di carriera nella musica tradizionale e pop italiana c’è stata questa chiamata da parte di Max, che aveva già lavorato con Alessandra Valeri Manera. L’ammiraglio aveva già arrangiato due sigle prodotte da Piero Cassano, ex produttore di Eros Ramazzotti e grande amico, e mi chiese di aiutarlo nella produzione di una sigla per cartoni animati. Siccome scrivevo, cantavo e arrangiavo melodie, ho accettato. La nostra prima sigla fu Superman nel 1998 e poi andammo avanti.”
Se potessi vivere in un anime di cui hai cantato la sigla, quale sarebbe e perché?
“Beh, One Piece! Poi anche gli anime in cui c’è una connotazione fantascientifica, quindi sicuramente anche in Dragon Ball e gli Zoids. Yu-Gi-Oh no invece, mi piace ma non ci vivrei dentro. One Piece sicuramente, è uno degli anime di cui ho fatto la sigla che preferisco. Il mio personaggio preferito è Zoro, ce l’ho anche tatuato. Insomma, anche io sono uno che si perde facilmente e che è un po’ combattuto con se stesso. Non ha tanto il senso dell’orientamento ma c’è, è presente ed è un grande amico.
Poi ce ne sono tanti altri, Conan ad esempio no. Mi piace il cartone ma anche lì non ci vivrei. Ci sarebbe anche Gundam che è fantascienza a tutto spiano, ma comunque, ripeto, One Piece e Dragon Ball sicuramente! Mi piacerebbe tantissimo conoscere anche il Dr. Slump e Arale, un anime per cui abbiamo scritto la sigla che ho cantato in duetto con Cristina.”
Cosa ti lascia senza niente da dire?
“Ultimamente mi sta lasciando senza parole, in negativo, che nel 2022 ci siano delle potenze che si contrappongono in modo aggressivo e con la violenza, è assurdo che possano morire delle persone a causa della guerra. Mi sembra una cosa drammaticamente stupida.
In positivo, invece, ovviamente l’amore dei cari nei miei confronti. Mi lascia senza niente da dire anche vedere sulle braccia di chi mi segue, o la mia firma o una frase che ho scritto io, ovvero “la libertà è un’avventura che non finisce mai” che è la prima frase della sigla di Oltre i cieli dell’avventura. Li rimango davvero senza niente da dire.”
Ringraziamo Giorgio Vanni per l’intervista e vi ricordiamo che potete seguirlo sui suoi canali social Spotify, Instagram, Youtube e Facebook.
di Damiano D’Agostino
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