Essere degli Epigoni, parliamo del nuovo GDR di Nicola Santagostino
La nostra esperienza con Epigoni comincia con Capitan Fracassa che ci dice di entrare in un water. Può sembrare qualcosa senza senso o l’inizio di una barzelletta, ma è andata proprio così. Abbiamo avuto la possibilità di provare una breve sessione introduttiva di Epigoni GDR assieme al suo autore Nicola Santagostino, cercando di capire di più su questo nuovo gioco di ruolo che nei giorni scorsi ha concluso il suo periodo di kickstarter.
L’avventura proposta da Epigoni ci ha lasciati piacevolmente stupiti, nonché affascinati dall’ambientazione creata e dei molteplici livelli di analisi, del suo continuo rompere barriere mediali e della sua mica tanto sottile satira politica mista alla mitologia. C’è più di quello che appare in Epigoni e se all’apparenza può sembrare un’ambientazione fantasy urbana simile a Percy Jackson, ben presto ci renderemo conto che trae ispirazione anche da altre opere, definendosi MythPop.
Tornando alla nostra breve avventura: tutto è cominciato con Capitan Fracassa che ci dice di entrare in un water. Poteva essere tranquillamente l’incipit di Giù per il tubo, se non fosse che i nostri personaggi erano le discendenze di divinità e l’avventura che ci aspettava era tutto fuorché rose e fiori. Siamo scesi per le acque reflue aiutati da una barca, che ci ha portato nel luogo in cui, metaforicamente, vanno tutte le acque sporche, la corruzione e l’intrallazzo: un ovemai incasellato in una pittoresca ambientazione genovese. Il tutto per cercare una lettera d’amore di dubbio gusto scritta dal buon Fracassa per Afrodite.
I palazzi che spuntavano da quell’oscuro mare hanno fatto da cornice per affrontare il nemico giurato di questa nostra breve carrambata: le poste che perdono le lettere.
Questa breve introduzione è sufficiente a trasmettere il mood di quest’ambientazione, che attraverso l’assurdo tratta tematiche chiave della storia (in questa specifica ambientazione) dell’Italia degli anni ’90. Una volta conclusa la sessione avevamo bisogno di un attimo per riprenderci e mettere in ordine le idee, dopodiché abbiamo ricontattato Nicola per fargli qualche domanda su Epigoni, qui di seguito trovate l’intervista completa. Buona lettura.
NDD: Da dove è nata l’idea di Epigoni?
Nicola: Nel 2002. Scendo a Bologna per iniziare l’università. Il primo libro che leggo è American Gods. Mi innamoro di quella storia incredibile, anche perché ho sempre avuto un grande amore per la narrazione, e perché fa risuonare in me alcune corde derivanti da altre esperienze passate, tra cui… è molto personale questa cosa.
NDD: Se non lo vuoi dire non c’è problema
N: No non c’è nessun problema, l’unica cosa è che non suoni un po’ cringe magari. Ecco io non ho mai conosciuto mio nonno paterno, è morto quando io ero molto piccolo. Però mio nonno era un figo incredibile, è stato nei campi di lavoro, raccontava barzellette sui campi di lavoro, ha fatto avventure assurde. E con il tempo mi sono reso conto che noi in realtà perdiamo le storie, le storie che ci compongono. Cioè mio nonno non è mai esistito per me, non l’ho mai conosciuto in carne e ossa, però le sue storie sono diventate parte integrante della mia esistenza. Tanto che con il tempo ho iniziato a informarmi sempre di più la storia della mia famiglia, tanto da arrivare al bisnonno Santagostino che ha mollato per amore la famiglia e, maledicendoci con questo terribile testacazzismo, come dico io. Poi anche le storie dei miei bisnonni e compagnia cantante. Noi siamo storie, noi siamo motori narrativi, ed è una cosa che mi ha sempre affascinato.
Quindi inizio a leggere American Gods e mi stupisce molto questo rapporto con la religione, che però era nato anche prima quando ho letto Mage: The Ascension [ndr: un gdr]. Tutto il tema del denaro visto come atto di fede. Noi siamo i creatori della realtà tramite le storie. Quindi mi innamoro.
Faccio la mia vita universitaria, trovo Scion della White Wolf, inizio a giocarci ma è una terribile delusione per vari motivi meccanici. Mi piaceva l’idea ma non era… non era quello che volevo. Era un American Gods tamarro ma non girava, non mi piaceva. In quel momento, dopo un paio d’anni scopro di avere un disturbo bipolare, entro in un momento di crisi della mia esistenza personale. Viene diagnosticato questo disturbo, però io proseguo, con tutti i dolori che comporta un rapporto terapeutico, il rinarrare sé stessi, il riscriversi, il capirsi e capire anche la tua vita dove è andata, in che direzione sta andando. E intanto lavoravo a questa idea di trovare il gioco perfetto, il gioco perfetto per giocare American Gods.
A un certo punto, anche questa è una storia vera, uno dei miei giocatori di D&D mi dice che sono un master tiranno e allora per ripicca creo un regolamento, un setting, seguendo questa idea, e da lì è nato Epigoni. Cioè Epigoni è un insieme di tutte quelle cose tipo coping, vendette, è come le migliori saghe russe no? Cioè è un romanzo russo la storia di Epigoni.
Ironicamente, con il tempo, è diventato qualcosa di più, qualcosa con cui mettersi in gioco e ha creato una community di persone incredibili. Io sono commosso da quello che ha portato Epigoni. Anche perché poi dopo la scoperta del disturbo bipolare mi sono ritirato dalla gestione di molti progetti. Insomma ho passato momenti molto brutti, ma poi sono tornato a essere un team leader e un autore, sono tornato a fare cose sui palcoscenici, sotto ai riflettori e così via.
Quindi Epigoni nasce semplicemente da due bisogni: uno era la voglia di raccontare, l’altro era la voglia di raccontare come tu vedi il mondo, quello che tu dovresti dare agli altri. Penso che l’atto artistico molte volte non sia raccontare la tua storia, ma far vedere agli altri come tu analizzi il mondo, come tu lo vedi. Con quell’innocenza alla Wordsworth degli occhi di un bambino. Questo è un po’ come nasce Epigoni, che è un po’ poetico lo so ma penso sia colpa del Kinder cereali che stavo mangiando prima.
NDD: E quindi anche il tipo di sistema di gioco di Epigoni, il Copperhead, si sposa bene con questa voglia narrativa?
N: Allora io non sono dell’idea che chi crea materiale per la quinta edizione sia il demonio eh, a me piace la quinta edizione, ci gioco. Sempre giocato a D&D, è un gioco che mi diverte e ho ottimi ricordi. Però quando crei qualcosa… la rendi più frizzantina no?
Provi ad andare oltre, provi a sperimentare e a fare cose. Epigoni prende alcune cosa di Fate, mi piacevano alcune cose dei PbtA [ndr: Powered by the Apocalypse], alcune cose del Cypher System. Ho messo tutto insieme, ho iniziato ad aggiungere altra roba e aggiungo nuove persone. Arrivano nuove idee e consulenti che entrano nel tuo gruppo pensando di che davanti alle loro analisi beccheranno l’ennesimo flame e tu gli dici “no aspetta spiegami”, e quindi loro rimangono di sasso. Su questo c’è proprio un post del mio consulente regole, Matteo Sciutteri, che dice: “Io sono andato fare domande e critiche come mio solito ma invece di beccarmi polemiche ho trovato una persona che mi ha chiesto di spiegargli perché dicevo alcune cose.” E da lì è nato il mio rapporto con le sue consulenze.
Anche Antonio Rossetti, che è il socio del sistema Copperhead, un ingegnere e una persona molto precisa. Io gli dicevo che secondo me il d8 è il dado migliore e lui mi ha chiesto perché lo dicevo, e mi ha spiegato la statistica. E allora si è messo lì a metter le mani a quell’accrocchio di regole che avevo fatto e le ha sistemate un po’ alla volta. E adesso lo chiamo il mio “matemago”, perché spesso gli dico “fai la tua magia”. Una volta mi ha fatto vedere uno schema con varie lineette e altre cose e ho detto: “Guarda credo che quella verde sia arrivata prima delle altre, credo abbia vinto lei.” Questa era un po’ la mia idea della statistica.
Quindi il Copperhead che cos’è? Il Copperhead è, come dice un mio amico, un sistema che dà delle regole alla fantasia, è quasi improvvisazione ma meccanizzata perché tu hai delle parole, hai delle cose che devi usare per costruire la scena.
Che poi non è che abbiamo inventato chissà cosa: Not the End fa lo stesso lavoro, Fate fa lo stesso lavoro, Omen di Daniel Comerci e Alberto Tronchi fa lo stesso lavoro, e mi piaceva l’idea di farlo così. Forse l’unica cosa di cui un po’ posso vantarmi, questo si, è che l’abbiamo fatto per fare un gioco caciarone, action; profondo ma allo stesso tempo videoludico e cinematografico. Questo sì, forse in quel contesto lì la spinta verso fare il Die Hard con Schopenhauer e retorica potrebbe essere il colpo di scena, o, come dico sempre io, in realtà il sistema è semplicemente “convinci il master che hai ragione”, che è anche un po’ la base di tutta la retorica di casa mia.
NDD: Giocando a Epigoni e sentendoti parlare ma soprattutto sentendoti narrare, e soffermandosi su tutte le specifiche mentre giocavamo, traspare quasi un sorta di disegno della mente umana, delle sue varie forme. Quanta attenzione c’è, dunque, alla psicologia e alle neuroscienze?
N: La scheda è costruita sulla base dell’euristica ad esempio. C’è stato uno studio di mesi per fare la scheda in modo tale che l’ordine di creazione del personaggio fosse “a cascata”. A livello psicologico ovviamente qua nessuno vuole fare il maestro di vita lo chiarisco subito. Non è un manuale di auto aiuto, non è psicoanalisi. Epigoni fa una grande riflessione, ovviamente rispetto alla psicoanalisi junghiana, basti pensare all’uso degli archetipi, rispetto anche un po’ alla psicomagia, ma anche alla mito-psicoanalisi.
Allora la base di Epigoni è che noi siamo narratori di storie. L’essere umano narra la sua vita come storia. La psicoterapia è ri-narrarsi in alcuni momenti, guardare le cose da un punto di vista diverso. Riguardarle e farci pace perché racconti a te stesso come è andata. Ora, non sono uno psicologo ma sono uno che ha fatto abbastanza psicoterapia per saperne qualcosa, e so che si può anche guardare uno stesso avvenimento e pensare che in quel momento quell’avvenimento l’hai visto con degli occhi e adesso lo stai guardando con altri, o guardare il futuro in altri modi, guardare il presente in altri modi. È il famoso “ma perché ti fissi sul puntino nero in un foglio bianco”, cioè la stessa produzione di Epigoni è stata una grande sfida psicanalitica e psicologica, con lo stress con le cose, anche il fatto di avere un disturbo bipolare implica la necessità di una certa stabilità nella propria vita, cosa che come si può intuire non è molto facile in un settore così. Quindi è stato un costante lottare un costante mettersi in dubbio a livello umano, chiedersi cosa sto facendo?
A dicembre 2020 ero in lacrime, volevo chiuderlo, non ce la facevo più. Ero stressato, in burnout, ero distrutto. E poi ho guardato quello che avevo e ho detto “ma io devo essere grato per una community che è anni che tiene in piedi un progetto basato sul prima o poi arriverà, che persona sono se scappo da esso?” E allora sono andato avanti, ho proseguito, e da lì è arrivato un team e così via. È anche quella una delle storie di Epigoni: crescere vuol dire anche accettare che la vita è sofferenza, è brutto detto così ma è vero. Capire che la vita è anche quello ma da ognuna di queste cose impari delle lezioni, cresci, migliori. La vita è un costante miglioramento, che però non è un perfezionamento. Infatti c’è un questo enorme contrasto in Epigoni, un contrasto voluto, tra il miglioramento del cammino e il perfezionamento del fato, tanto che il fato, quando uno cede a esso, inizia quella che si chiama “la riscrittura”, che è fatta di 5 fasi prima di diventare un vacuo, cioè una persona che ormai è soltanto una maschera di se stesso. Le fasi sono sgrossatura, adattamento, rifinitura, limatura e perfezionamento, proprio il termine tecnico con cui si chiude il percorso è il perfezionamento, tanto che il personaggio perde i propri difetti, tanto alle persone perfette non servono.
Come dice Zerocalcare in Strappare Lungo i Bordi, scusate lo spoiler, “non voglio essere una bambola di ceramica dal volto immutabile”. Quello è perfezionamento, diventi immutabile, eterno, tanto che quell’immutabilità devi mantenerla altrimenti ti perdi per sempre. Mentre l’Epigone rappresenta la spinta vitale, è il cambiamento. L’Epigone vive la sua vita fino a che non esce, non cavalca verso il tramonto e torna a fare la persona normale. Infatti la cosa che ci ha divertiti tanto è stato inventare alcuni personaggi per il playtest, per esempio negli altri giochi con lo stesso sistema c’è proprio la discendenza, c’è un personaggio che poi in un altro gioco ha un figlio e quel figlio è un pre-generato e poi ci siamo inventati la storia che lui è riuscito a scappare dal fato, è andato in Giappone per aprire una pizzeria, poi si è sposato e si è creata la famiglia Fasanella. In un altro gioco c’è anche il Fasanella malvagio, colui che non crede alle tasse, per dirti.
Mettiamola così, non c’è una riflessione psicanalitica, perché non sono uno psicanalista. Noi scriviamo quello che siamo e sicuramente in Epigoni si vede il percorso psicoanalitico che ho fatto, le riflessioni di spiritualismo, dato che io comunque mi occupo di discipline esoteriche in privato, faccio meditazione, e quindi si vede quella roba lì, quella riflessione sulla condizione umana quasi esistenzialista. Se vogliamo proprio fare gli sboroni, il dubbio del “che cos’è essere una persona?” In Epigoni la risposta è sopravvivere al fato e andare avanti, ma non è quella sopravvivenza di rassegnazione, è quella sopravvivenza che è una guerra costante che termina soltanto quando finisce la vita, ma la vita è lotta costante, sia in Epigoni che nel mondo reale, perché poi alla fine quando finisci la tua avventura nel gioco, la tua saga, alla fine poi sei una persona che ha sbloccato il suo potenziale, che è quella roba che ti è stata negata dalla vita, da te stesso, dal tuo timore.
In realtà è vero, c’è un percorso psicoanalitico, tramite i personaggi. Poi l’abbiamo vista con alcune mosse, con alcuni poteri dei nemici, alcune riflessioni. Quindi Epigoni è la storia di tutti noi, la storia di un percorso personale che non è per forza psicoanalitico, ma è umano. Accettare la propria condizione di orfano, che nessuno verrà a salvarti e non c’è un “padre nobile”.
Il Potere con la p maiuscola si basa semplicemente sul bisogno dell’essere umano di non assumersi responsabilità sulla propria esistenza, per quello creiamo governi, forme di potere ecc. Però ovviamente i governi sono fatti da persone, e come tali fallibili, quindi abbiamo sempre creato anche tizi magici invisibili. Io credo sempre che la religione sia basata sul l’idea che serva qualcuno che ci redarguisca dall’alto perché ormai i nostri genitori non possono più farlo.
Un’idea nata nel mio team è che “vogliamo combattere il demiurgo”, combattere l’idea che c’è sempre un potere superiore a cui deleghiamo la nostra vita, è quella la base di epigoni, ti arriva un dio in faccia, addirittura l’incarnazione di un’idea che ti strappa il velo e ti molla lì. L’unica forma di potere supremo, che è il fato, è come la Nemesis greca, cioè la meccanica del mondo che non è in nessun modo razionale, è soltanto un azione-reazione. Basta pensare come nel mito greco anche se facevi qualcosa di sbagliato ma senza consapevolezza venivi punito, per esempio il padre di Enea viene punito perché va a letto con Venere, lui non ne aveva colpa, era stato sedotto, ma non importa. Il mondo delle regole è quello, e il fato si chiama così perché viene da quella visione del mondo greco, che poi in realtà è una cosa molto comune nella mitologia l’idea che in realtà anche gli dei sono asserviti a qualcosa di più grande. Gli dei aztechi sono asserviti ai sistemi, gli dei norreni hanno il ragnarok e non ci possono fare nulla. Esiste sempre qualcosa di più forte e nonostante tutto non esiste un potere assoluto che può fare quello che vuole. Siamo mentalmente costruiti per essere comunque con l’idea che ci sia qualcosa di superiore e quando lo creiamo ci mettiamo comunque qualcosa di più grande sopra. E quindi insomma c’è anche quella riflessione in Epigoni che un po’ deriva anche dalla mia giovinezza punk, fuck the system, abbatti il potere.
NDD: Che cosa ti lascia senza niente da dire? Nella tua vita o nel tuo lavoro, è indifferente.
N: In effetti è una cosa che dico sempre. Cosa mi lascia senza parole, senza niente da dire, è l’idea che a un certo punto della tua vita ti rendi conto che la domanda retorica che ti poni spesso è “bastava così poco?” La cosa che mi lascia senza parole, la cosa che mi ha sempre tormentato è quanto ci complichiamo la vita inutilmente: Una riflessione zen dice “la vita è semplice siamo noi a complicarla”, e la cosa che mi lascia sempre perplesso è come quanto il mondo sarebbe molto più semplice se noi lo vivessimo con semplicità, quando in realtà noi lo complichiamo no?
L’ingiustizia deriva dal nostro bisogno di non essere responsabili. Jung diceva che il male deriva dalle persone non consapevoli di quello che fanno, cioè il male è l’inconsapevolezza definitiva. Se noi fossimo consapevoli, se noi fossimo coscienti il mondo sarebbe un posto migliore, non ci complicheremmo la vita così tanto. Poi la cosa che ha colpito anche il team di Epigoni è quanto siamo intrappolati in questa illusione, che tutto in realtà sia complesso, ma in realtà è semplice, semplicissimo. La vita è una partita già in parte truccata, sai già che dovrai morire quindi cosa te ne frega di tante cose. Bill Hicks nel suo spettacolo Revelations diceva che c’è sempre qualcuno che a un certo punto arriva e ce lo dice, e poi quello lo ammazziamo. Che poi sia Gandhi, Gesù, Platone non importa, lo prendiamo e lo ammazziamo perché ci dice “ragazzi ma è tutto un giro di giostra, noi siamo lì a far tutte queste cose, abbiamo creato tutti questi sistemi per cosa? Siamo infelici per cosa?” Perché di base non vogliamo dire la verità, che basta così poco. Ed è quella la cosa che quando te ne rendi conto, quando guardi tutto questo sistema complicato, e la politica e i governi e l’economia ecc. Io dico sempre, davanti a tutto questo io taccio. Davanti a chi urla forte, davanti a chi sbraita, davanti a chi batte i piedi io non dico nulla, perché il silenzio forse è l’unica forma di ribellione che ci resta. Nel mondo delle parole l’unica vera forma di ribellione è il silenzio, ma non il tacere di sottomissione, occhio, non il tacere vittima. In tutto questo baccano, questo rumore, anche in questa pandemia; tra quelli sui balconi che gridavano e indicavano.
Quindi sì, mi lascia senza parole pensare che basta così poco, davvero basta poco per rendere la vita un posto migliore dove stare. E una di queste cose, è brutto detto così, ma ce l’ha insegnata il covid. Perché da tanto tempo eravamo in costante corsa, anche se lo negavamo, e ci siamo dovuti fermare. Non a caso in America c’è il caso delle “Great Resignation”. Poi ci siamo fermati un attimo, la giostra si è fermata, ci siamo guardati intorno abbiamo detto “ragazzi ma che cazzo stiamo facendo?” È arrivato il silenzio e in quel silenzio per la prima volta ci siamo riusciti ad ascoltare, e magari non ne usciremo migliori, però ne siamo usciti sicuramente cambiati.
È dovuta arrivare una pandemia a insegnarci che ogni tanto basta così poco come stare zitti, che è incredibile se ci si pensa. Invece che guardare la televisione, invece che stare sul cellulare e così via, basta fermarsi un istante e chiedersi “cosa sto facendo della mia vita?” Ma senza necessità di darci una risposta, solo chiedertelo, basta, tutto qua. Io me la sono fatta a 26 anni quella domanda, quando mi hanno dato la diagnosi, ho deciso di andare in terapia perché non stavo bene, stavo male. Il terapista mi fece un discorso sulla questione, e io dissi: “guardi almeno so perché, almeno so cosa ho, mi dia le regole che lo risolviamo.” Però se non ti poni le domande, se pensi che quello che stai facendo va bene, se pensi che bere 10 birre, sbraitare, urlare, essere arrabbiato sempre va bene, allora rimani lì.
Ringraziamo Nicola Santagostino per l’intervista e auguriamo il meglio per il suo futuro e per il progetto Epigoni, che ha concluso da poco il suo kickstarter raccogliendo €18,144. Potete seguire il progetto sul sito ufficiale e sui canali social Instagram e Facebook.
di Guglielmo Sudati, Ilaria Celli e Damiano D’Agostino
Copertina a cura di Alessia Sagnotti
Stazione Ovemai a cura di Valentina Pinti
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