Road 96, videogiochi e antifascismo
Viviamo in un periodo storico politicamente ed emotivamente difficile. Non facciamo in tempo a liberarci di una pandemia che ci ha tenuto sotto scacco per due anni (e che per la cronaca non è ancora finita) che subito abbiamo una guerra alle porte dell’Europa. Stanno arrivando dall’Ucraina, e grazie al lavoro dei reporter sul luogo, tantissime testimonianze per documentare l’invasione dell’esercito di Putin. Delle tante, forse troppe, notizie e articoli pubblicati su questo conflitto, uno in particolare ha immediatamente suscitato il mio interesse e che riguarda l’opinione pubblica russa su quanto sta accadendo.
Il The Guardian, famoso giornale britannico, ha pubblicato sul suo profilo Instagram alcune testimonianze di giovani russi in disaccordo con il proprio governo. Intervistato dal giornale, un ragazzo di nome Dmitry parla della difficoltà che ha nel comunicare ai suoi genitori gli orrori che la Russia sta commettendo in Ucraina, cercando di andare contro la propaganda dello stato. “Mia madre mi ha mandato un messaggio dicendomi che stavo tradendo il mio paese” ha raccontato al The Guardian.
Questa frase ha rievocato subito un sentimento di sconforto e di impotenza, qualcosa che molti giovani percepiscono quotidianamente sulla loro pelle. Mi ha immediatamente ricordato il videogioco Road 96, un’opera indie artisticamente superba e che più di tanti altri titoli prova a restituire il ventaglio di emozioni che si provano a vivere in uno stato totalitario e repressivo. Sviluppato dalla software house francese Digixart e pubblicato nel 2021, Road 96 porta i giocatori a vestire i panni di vari giovani che stanno cercando di scappare da Petria, un paese dal panorama politico eccessivamente problematico. Nel paese vige una dittatura de facto, in cui il presidente Tyrak alimenta odio generazionale nella popolazione, arrestando tutti coloro che cercano di scappare dal paese o protestare contro le sue politiche conservatrici. La grande ispirazione è chiaramente lo scenario americano, nei colori dei vari partiti, nei manifesti e nella scelta degli slogan del Presidente Tyrak, molto simili a quelli utilizzati dalla retorica populista di Donald Trump.
L’obiettivo è, quindi, quello di scappare dal paese e arrivare, finalmente, alla Road 96: la strada che porta al confine e, quindi, alla libertà. Nel viaggio, generato con incontri procedurali, i giocatori si imbatteranno in diverse ambientazioni e storie, in cui è possibile sentire l’angoscia e la violenza psicologica esercitata da uno stato fintamente democratico. Lungo l’itinerario si farà la conoscenza di diversi personaggi, ognuno con il proprio background e le proprie connessioni. Ogni scelta di dialogo e azione presa nel corso di queste sequenze influenzerà il corso degli eventi e i vari finali, ma è necessario anche prestare attenzione alla salute, ai soldi per poter scappare e a non compiere scelte troppo avventate, potrebbero mettere in difficoltà anche le persone attorno a noi. Molti personaggi, infatti, ingaggeranno con noi un discorso di tipo politico e le nostre risposte possono andare dal menefreghismo più totale, passando per opinioni a favore della candidata Florres, avversaria politica di Tyrak, arrivando sino alla lotta e al sentimento di rivoluzione. Scappare non è così semplice e se non si riesce con un personaggio, si può tentare con un altro e i progressi nelle varie storyline rimarranno, perché le vite degli altri giovani vanno avanti e i loro tentativi di fuggire continuano.
Ciò che lascia profondamente scossi da questa esperienza videoludica non è soltanto il suo storytelling ben congeniato, o la sua meccanica roguelite calzante per trasmettere il concetto di sistematicità, ma anche il suo grado di attualità. Diversi personaggi che scopriranno il nostro desiderio di voler fuggire, o la nostra opposizione alle politiche di Tyrak, reagiranno accusandoci di tradire il paese, proprio come ha raccontato il giovane Dmitry al The Guardian. Anche la profondità dell’opera e il suo richiamo a specifici eventi e personaggi è encomiabile, con piccoli riferimenti sparsi qua e là nella narrazione: in un punto è anche possibile intonare “Bella Ciao” seduti accanto ad un falò.
La presenza di quella canzone ha reso l’opera incredibilmente più vicina al nostro panorama culturale e alla resistenza partigiana, esattamente come il lavoro svolto da Golf Club Wasteland di Demagog Studio, che in un frammento di radio in-game trasmette la famosa canzone antimilitarista e anarchica “O Gorizia, tu sei maledetta”, del periodo della Prima Guerra Mondiale. Anche il videogioco ideato da Igor Simic porta una grande critica all’attualità, soprattutto nel contesto dei populismi e del cambiamento climatico. Le canzoni di liberazione della storia italiana non vengono prese e decontestualizzate, in questo senso i due videogiochi non se ne appropriano. Al contrario vengono inserite nel contesto giusto, potenziandone il significato che continuano ad avere anche negli anni’20 del 2000.
Queste due opere nello specifico cercano di trasmettere in modo più complesso e articolato quello che Wolfenstein fa in modo decisamente più diretto: non si smette mai di lottare contro il fascismo. Lo sparatutto sviluppato da Machine Games utilizza l’espediente narrativo dell’ucronia per spiegare tale concetto, mentre i due giochi sopracitati utilizzano meccaniche di gioco diverse e strategia di design e narrazione più eleganti, ma non per questo meno di impatto.
Umberto Eco nel suo libro Il Fascismo Eterno, tratto da uno dei suoi simposi più famosi ed edito dalla Nave di Teseo, parla proprio di come gli elementi che compongono una nebulosa fascista possano sempre ritornare, talvolta anche sotto spoglie insospettabili. Eco nel suo discorso parla proprio di Ur-Fascismo o totalitarismo fuzzy, dai bordi sfumati. La sfida di quest’epoca sarà proprio quella: individuarlo e continuare a sconfiggerlo, giorno dopo giorno. Road 96 in ogni suo minimo anfratto mi ha fatto esperire qualcosa di unico e inimitabile, attraverso un gameplay coinvolgente e una narrazione profonda. Talvolta mi chiedo: se fossi nato in un paese non libero e non fossi d’accordo con i suoi ideali, che cosa avrei fatto? Road 96 mi ha aiutato a trovare la risposta a questa domanda.
di Damiano D’Agostino
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