Beatrice Alemagna, confezionare emozioni
Nata a Bologna nel 1973, Beatrice Alemagna ha studiato progettazione grafica e comunicazione visiva all’ISIA di Urbino e vive a Parigi già da quando ha vinto nel 1996 il concorso “Figures futures” al francese Salon du Livre et de la Presse Jeunesse di Montreuil (nella provincia parigina dove c’è anche il quartier generale della Ubisoft), seguìto da altri riconoscimenti prestigiosi come il Prix Attention Talent della Fnac nel 2000, il Prix Octogones nel 2002 e il nostrano premio Andersen 2010.
Lungo i decenni ha esposto in mostre personali e collettive a Milano e Roma, Parigi e Monaco, Tokyo e Lisbona, pubblicando una trentina di volumi e illustrando autori come Roald Dahl e Gianni Rodari, ma anche Guillaume Apollinaire, Raymond Queneau, Aldous Huxley, David Grossman, venendo segnalata da Le Monde, Elle, Vogue Italia e la Repubblica tra gli altri organi di stampa culturale. Da oltre un decennio il suo talento è al servizio di una struttura internazionale come il Centre Pompidou della capitale francese.
Quello che stupisce ogni volta nelle sue opere (il suo primo libro italiano è solo del 2008, Che cos’è un bambino?, ma ha firmato anche carte da parati) è quanto e come sia in grado di far percepire anche ai lettori giovanissimi emozioni tutt’altro che facili da trasmettere: merito di una tecnica sopraffina e multiforme, di volta in volta adeguata alla bisogna. «Oltre alle emozioni (che non sono l’unico motore) – ha raccontato – come mie ispirazioni citerei anche le stranezze della vita, le storie degli altri, la forza del caso, le luci che vedo, i paesaggi urbani e naturali e, come dico sempre, le piccole piccolissime cose di tutti i giorni».
Negli ultimi anni è risultata tra la più apprezzata dai colleghi dopo gli inarrivabili Emanuele Luzzati e Bruno Munari, oltre a essere divenuta art director della collana di libri illustrati Ramino per l’editore francese RMN (La Réunion des Musées Nationaux) nella quale chiama a lavorare tutti gli artisti che ama. Ormai parigina d’adozione, qualcuno l’ha definita l’ennesimo “cervello in fuga” italico, noi la consideriamo un imprescindibile motivo d’orgoglio per il Bel Paese. Questione di prospettiva. E di talento.
di Loris Cantarelli
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