La contabile, il sogno, il grande incubo
Ho sempre odiato la matematica, io.
Ho sempre provato fastidio nei confronti delle formule matematiche e della loro fredda capacità di risolvere i loro problemi applicando sempre le stesse mosse.
Ora che lo scrivo, credo che, in età scolastica, io della matematica fossi proprio un po’ gelosa. Privata di ogni tipo di velleità artistica, la matematica era una di quelle materie per la quale era fondamentale prendere il primo treno in orario, pena il fallimento dell’intero viaggio.
Alla matematica non sono mai importati la nostra velocità, l’ambiente in cui essa ci veniva insegnata, le nostre prime cotte e le nostre insicurezze adolescenziali. La matematica di noi se n’è sempre fregata.
Ad un certo punto della nostra vita, sfiniti dall’ennesimo problema che doveva risultare quattro e a noi risultava Islanda, abbiamo iniziato a rispondere alla matematica con le sue stesse armi.
“Anche oggi saper trovare il valore di x non mi è servito a niente”, è una frase che mi sono ripetuta per anni. Una sorta di tattica di autodifesa mi ha fatto credere per molto tempo la matematica fosse solo una tappa inutile del mio percorso, un allenamento per il mio giovane cervello, da relegare in un cassetto della memoria.
Nella mia vita, per i miei insegnanti, erano altri i miei punti forti: le lingue, la scrittura, le scienze sociali. Due materie non sono mai state minimamente sfiorate dai discorsi dei professori che tanto rendevano fiera mia madre: la matematica e l’educazione artistica. Per la seconda la spiegazione è semplice: una persona mancina e una matita B2. I miei disegni sono sempre stati una serie di righe sfumate su un foglio pieno di sbuffi grigi. Le mie mani – perennemente sporche di grafite, tempera, pennarelli – non sembravano essere state programmate per creare qualcosa di esteticamente bello.
Per la matematica il discorso è più complesso ma, anche in questo caso, cercherò di riassumere tutto in poche parole: non ci siamo mai piaciute. Ho proseguito i miei studi e la mia vita ignorando l’importanza della matematica e, ammetto, non è proprio andata male. Poi è arrivata la necessità di trovarmi un lavoro e, per un gioco del destino non particolarmente felice, la matematica si è presa la sua vendetta.
Sono diventata una contabile.
Per me la matematica è il simbolo della mia sconfitta. Sotto la matematica sono sepolti i miei sogni giovanili, la mia vita sempre in viaggio, la mia carriera mancata da giornalista.
Essere una contabile implica, quotidianamente, il dover affrontare il fatto che la matematica è importante e che senza di essa alcune parti fondamentali della mia vita non funzionerebbero. Lo sto accettando con i miei tempi, senza fretta, curando le ferite dei miei sogni infranti una alla volta.
E, magicamente, mi capita sempre più spesso di trovare serenità in un foglio di Excel. Dopo anni a contatto con il pubblico, a cercare di risolvere i problemi di ogni cliente, mi ritrovo a pensare che la matematica abbia ragione.
Mi capita sempre più spesso di trovare confortante l’unicità delle soluzioni. Il bianco e il nero, la netta differenza tra un bilancio che non quadra e uno invece che non eccede nemmeno di un centesimo. Mi trovo a sospirare beatamente davanti a un foglio di calcolo ben strutturato, con le sue intricate formule nascoste nell’intimità di ogni singola cella. Anche la matematica ha i suoi problemi, ma ha sempre cercato di risolverli e, nel mentre, ha provato anche a facilitare i nostri. La matematica non si lamenta di me se non le rispondo nella maniera che vuole, se non reputo la sua pratica urgente, se le sorrido troppo poco.
Essere una contabile mi ha regalato anche delle soddisfazioni a livello professionale. A livello umano un po’ meno, ma non possiamo pretendere miracoli, nemmeno dalla matematica.
Credo che un giorno rimpiangerò la mia vita creativa e l’aver relegato le mie passioni ai ritagli di tempo libero, ma per il momento cerco di far tesoro di ciò che la matematica mi sta insegnando. Cerco di godermi quel meraviglioso momento in cui tutto quadra, in cui anche io sento di aver trovato il mio posto nel Mondo, così come i numeri nelle loro formule. Non so se io e la matematica riusciremo davvero a piacerci, prima o poi. Al momento, ritengo il nostro un rapporto di fredda stima reciproca, condita da una serie di volontarie sfide che ci lanciamo per vedere quanto siamo state attente l’una all’altra, se ci siamo tenute al passo.
Per ora ha sempre vinto lei.
di Silvia ‘Stovtok’ Pochetti
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