L’avatar e l’anonimato online

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L’avatar e l’anonimato online

Se è vera quell’abusatissima citazione di Shakespeare per cui “tutto il mondo è un palcoscenico” e gli uomini e le donne “solo attori”, allora questa dinamica di finzione non può che essere trasportata anche nel videogioco online. Ed in effetti è proprio così: anzi, la mediazione dello schermo, che nasconde le fattezze di chi sta giocando, amplifica enormemente questa pulsione umana di camuffarsi, ed assumere forme concave e convesse a seconda dell’ambiente, del momento e della compagnia.

È questo, peraltro, un corollario di quello che potremmo chiamare il “principio dell’anonimato”. Tra tutti gli strumenti comunicativi a disposizione dell’uomo, internet è senz’altro quello che maggiormente ha dimostrato la natura cangiante di ciascuno quando è messo di fronte alla possibilità di assumere, attraverso l’anonimato, qualsiasi forma egli voglia, senza immediate conseguenze, compresa l’opportunità biblica di tirare il metaforico sasso e nascondere la mano: fra le maschere che un player può indossare, ricordiamo il roleplay. Fra le maschere che un utente può indossare, come non citare il trolling?

A chiunque sarà chiaro come alcuni di questi atteggiamenti siano generalmente lodevoli, mentre altri sono considerati dalla nostra società come riprovevoli e da rifuggire. Nel corso del tempo e della storia di internet, si sono rinvenute due diversi correnti. La prima tende a mantenere fieramente l’anonimato come natura e forse diritto inalienabile dell’utente online, e trova insopportabile la compressione della libertà di ognuno di utilizzare nel pieno delle sue possibilità la tecnologia che si trova dinnanzi, senza doverne offrire rendiconto. L’altra, che teme la degenerazione data dall’assenza di responsabilità, vuole ricondurre ad una identità precisa le azioni di un soggetto, anche a costo di limitarne la libertà di espressione e di esporlo, potenzialmente, a rischi legali nel mondo reale. Volendo semplificare al massimo, la prima corrente è espressione dell’internet delle origini e si rinviene tutt’oggi in piazze “dubbie” dell’internet, quali 4chan; la seconda è archetipale per il Web 2.0, ed è sicuramente esemplificata da servizi quali quelli di Facebook (e di Meta in generale).

Come accade anche in altre circostanze, pure qui i videogiochi fanno eccezione. Nel senso che si inseriscono in un contesto intermedio, cercando una mediazione tra le due correnti. Prendendo atto del fatto che il videogiocatore medio ha una necessità, soprattutto quando gioca online, di immedesimarsi nel proprio personaggio, di vivere il mondo virtuale e di interagire con gli altri giocatori scevro delle preoccupazioni e delle problematiche del mondo reale, i titoli online hanno offerto fin dagli anni ’90 una “terza via”, attraverso il concetto di Avatar.

L’Avatar, termine che origina dal sanscrito e significa “discesa”, intesa come incarnazione delle divinità, viene trasposto per la prima volta nel mondo digitale alla fine degli anni ’70, ma è realmente popolarizzato e storicizzato a metà degli anni ’80, quando Richard Garriott, visionario creatore della serie di videogiochi Ultima, crea Ultima IV: Quest of the Avatar, e chiama “Avatar” la manifestazione del giocatore nel mondo del gioco, esplicata attraverso il personaggio giocante (il “PG”, com’è noto oggi).

In questo senso, l’Avatar è l’immagine digitale che rappresenta un certo giocatore, o un certo utente in generale. Avatar non sono infatti solo personaggi: sono anche immagini del profilo nei forum, o username nelle chatroom. Qualsiasi cosa che trasponga l’utente nel digitale e rimanga sempre uguale è definibile “Avatar”. Sta proprio qui la differenza rispetto al concetto di anonimato: è vero che anche l’Avatar di per sé è anonimo, nel senso che non si collega direttamente all’identità del giocatore, ma è anche sempre uguale. Un Avatar mantiene la sua identità all’interno del mondo virtuale finché non viene cancellato o finché dura il mondo virtuale, laddove invece l’anonimato si esaurisce nell’azione intrapresa, o nel messaggio inviato. Non c’è modo di distinguere due utenti anonimi tra loro, ma è perfettamente possibile distinguere due avatar diversi.

Questa concezione, si diceva, non è unica dei videogiochi, seppure sia in quell’ambito che esprime il suo massimo. Alcuni servizi online più ancorati, almeno in origine, ad una categoria di utenti più “giocosa” ed abituata ai mondi virtuali mantengono il concetto di Avatar. L’esempio più noto è reddit.

La dinamica tra anonimizzazione e responsabilizzazione è complessa, ed è probabilmente uno di quei casi in cui ognuno avrà una sua propria ragionevole opinione dettata dalla sua personale sensibilità e dalle esperienze di vita. Da una parte, l’anonimato è la fondazione di internet: solo attraverso l’anonimato può infatti svilupparsi una libertà di espressione totale, ed un sistema davvero decentralizzato che ha già dimostrato di giovare all’umanità in senso sociale, per esempio tramite la condivisione della conoscenza (anche tramite canali spesso pensati come “illegali”, quali il peer-to-peer), o lo svelamento di notizie sensibili di importanza collettiva (non diversamente da come accade con le “fonti anonime” nella stampa tradizionale). Dall’altra, questa libertà totale spesso degenera in comportamenti aggressivi, verbalmente violenti e difficilmente gestibili per un pubblico disabituato, che pensa di ritrovare, e vuole ritrovare su internet le stesse regole di vita che rinviene nella vita reale. Quale che sia il pensiero di ognuno, andrebbe tenuto presente che lo strumento-internet è molto giovane, e risponde ancora a regole uniche e peculiari, seppure siano sempre maggiori i tentativi di imbrigliarlo in norme precise (si vedano ad esempio le proposte di Digital Services Act e Digital Markets Act della Commissione Europea).

E non si tratta solo di un problema di etichetta, cioè di troll e bulli che si comportano male: l’assenza dell’anonimato si ripercuote anche sul trattamento dei dati personali o sull’opportunità di perseguire penalmente certi comportamenti, che più che illeciti veri e propri sembrano afferire semplicemente alla sfera della diseducazione.

di Giacomo Conti, MMO.it

 

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