Una maschera per ogni stagione – la maschera greca

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Una maschera per ogni stagione – la maschera greca

L’umanità indossa delle maschere da sempre, per raccontare storie, per ricordare, per essere qualcun altro, o magari per essere sé stesso in un modo troppo intimo per poterlo fare con il proprio volto. In questo mese di carnevale vi parliamo di maschere e di come sono cambiate nel tempo insieme a noi che le indossiamo.   

GIULIA. La parola maschera ha un’origine incerta, arcaica, màscara, o masca, fuliggine, fantasma nero. Le prime maschere che i nostri antenati hanno indossato per raccontarsi delle storie erano forse il nero del carbone sul viso?

Sono presenti in ogni parte del mondo, rappresentazioni di volti umani, mostruosi o animaleschi da indossare (o da conservare in tombe o per abbellire architetture). Sono stati ritrovati esempi antichissimi di maschere rituali, funerarie, e guerriere per spaventare i nemici durante le battaglie.

La maschera indossata per raccontare storie ha però per noi popoli del mediterraneo un’origine che è un po’ un nuovo inizio, con regole e caratteristiche ben riconoscibili, stiamo parlando della maschera nel teatro greco.

VALERIO. ALT!! Scusami Giulia, ma quando si parla di teatro greco non riesco proprio a resistere! Quindi ti rubo un attimo la scena e mi getto a capofitto per parlarvi della maschera greca!

La maschera greca nasce nel 530 a.C. ad opera del tragediografo Tespi ed è inizialmente di sole due tipologie, il volto sorridente e il volto piangente, a rappresentare i due sentimenti distintivi del Dio Dioniso, al quale erano dedicate le feste Dionisiache, evento religioso in cui si realizzarono le prime vere rappresentazioni teatrali.

Successivamente le maschere, realizzate inizialmente in lino e poi in sughero o legno, servivano a dar un volto ai diversi personaggi presenti nella tragedia o nella commedia, considerando gli attori che erano solo uomini queste erano a dir poco fondamentali.

G. Infatti, era il colore della maschera a distinguere a colpo d’occhio personaggi maschili e femminili, per le donne si usava una colorazione molto più chiara (all’epoca relegate fra le mura domestiche erano visibilmente più pallide degli uomini). Ma molte erano le differenze di carattere, salute e sentimento che le maschere dovevano esprimere, per permettere al pubblico di vedere e capire al meglio la scena. Portando anche a più cambi di maschera per lo stesso personaggio durante la rappresentazione. Dobbiamo immaginarci maschere gigantesche, che coprivano non solo il volto, ma anche la testa dell’attore, come dei grandi caschi.

V. Esatto! Senza contare che vi erano delle maschere anche per gli dèi stessi, che non potevano essere rappresentati da un volto umano poiché considerato blasfemia. Nessuno recitava senza maschera, visto che era un ottimo modo per farsi notare da tutto il pubblico e senza si perdeva l’unicità dei loro personaggi. Mentre per il coro le maschere erano tutte uguale, senza alcuna distinzione, ma differenti da quelle degli attori, per permettere loro di spiccare sul pubblico, amplificando la loro funzione recitativa di narratori delle vicende e di “rappresentanti” del messaggio dell’autore. Inoltre, per la forma cava della bocca, le maschere greche permettevano di amplificare la voce degli attori in modo da essere uditi da tutto il pubblico del teatro!

G. Secondo alcuni studiosi il luogo delle rappresentazioni non fu da subito il teatro, bensì l’agorà, ossia il cuore della vita cittadina dove in occasione degli spettacoli venivano realizzate in legno tribune per gli spettatori mentre coro e attori si muovevano a livello piazza.

Fu solo in seguito al crollo delle tribune che vide coinvolti molti spettatori negli ultimi anni del secolo VI che si decise di realizzare il teatro di Dioniso, sfruttando la pendenza della collina e terrazzando un semicerchio per la realizzazione dei gradoni per le tribune, ovvero la càvea. La parola théatron in greco significa letteralmente “luogo da cui si guarda”, quindi la parola teatro che oggi abbraccia l’intero edificio era in origine utilizzata per il solo spazio dedicato al pubblico.

Pensa che il teatro di Dioniso nel suo impianto nel V secolo a.C. poteva contenere fino a 17.000 spettatori.

V. Uno spazio veramente enorme, ed ecco perché gli attori avevano maschere così grandi affinché tutti potessero vederne le espressioni e sentirne la voce anche dagli spalti più alti.

G. Ma il teatro non è solo fatto di spalti e attori, nel teatro greco si sviluppano altri spazi. Davanti alla càvea si apriva l’orchéstra (“luogo per la danza”) ossia un’area piana di forma circolare di un diametro di circa 20 metri. Dedicata ai movimenti del coro.

L’orchestra aveva poi come fondale la skené, in italiano, la scena. In origine era solo una struttura usata per spogliatoio e deposito attrezzi, nel tempo si trasformò in un vero e proprio edificio di scena davanti al quale si svolgeva l’azione. Nel corso del tempo varie testimonianze parlano di scenografie che cambiavano anche nel corso della rappresentazione teatrale, ma sempre rappresentando l’esterno di un edificio. Era infatti di fondamentale importanza il valore pubblico della rappresentazione che non poteva quindi essere inscenata all’interno di un’abitazione, ma sempre nello spazio collettivo.

V. Con simili migliorie nel campo architettonico, anche la struttura teatrale della tragedia doveva subire dei giusti cambiamenti, a cominciare dal numero di personaggi presenti in scena. Con Eschilo, vi erano soltanto due attori in scena, mentre con Euripide aumentarono a tre e venne introdotto il concetto di comparsa silenziosa, mentre con Sofocle arrivarono addirittura a quattro attori e le comparse cominciarono ad avere delle piccole battute. Senza contare la scenografia mobile, che non rappresentava più sempre e solo l’esterno di una scena, ma anche gli interni e poteva cambiare in base alla necessità. Le innovazioni tecniche diventarono poi col tempo sempre più complesse, talvolta con strutture lignee, funi e carrucole si faceva comparire in maniera inattesa, dal basso o dall’alto un personaggio importante, che la maggior parte delle volte era un dio, che arrivava a risolvere o comunque smuovere la situazione.

G. È quello che ancora oggi, come espediente narrativo, chiamiamo Deus Ex Machina! Un modo di dire che deriva appunto da queste divinità che uscivano in maniera inattesa da macchinari di scena. Praticamente i precursori degli odierni effetti speciali, chissà che stupore per il pubblico!

V. Per non parlare del suo coinvolgimento nella storia, grazie anche all’effetto di maschere dipinte magistralmente. Nell’Agamennone di Eschilo, nella scena dopo l’uccisione del protagonista maschile, compare Clitennestra, la regina di Argo. Per questa scena la sua maschera è crudele e terrificante, colorata di rosso cremisi, al suo fianco i corpi di Agamennone e Cassandra dilaniati dalla sua scure. L’effetto di quella comparsa sanguinosa fu così impattante che alcuni spettatori nel teatro di Atene svennero per l’impressione! Per altre testimonianze simili e aneddoti interessanti, vi consiglio caldamente la lettura del libro di Luigi Bernabò-Brea, Le Maschere ellenistiche della tragedia greca.

G. Io non vi suggerisco delle letture invece, ma vi invito a visitare, alla prima occasione, i tanti teatri greci sparsi sulla nostra penisola e in generale sulle coste del mediterraneo. La maggior parte di queste architetture hanno certo subito grandi danni e modifiche più o meno vistose nel corso del tempo… ma immaginarsi i nostri antenati, seduti su quelle stesse pietre, ad emozionarsi per racconti e leggende raccontati da altri uomini con ingegno e meraviglia mi lascia senza fiato. Spero che anche voi possiate provare lo stesso. E potreste provarlo anche durante una vera e propria rappresentazione teatrale, per esempio durante il festival del dramma antico di Siracusa indetto dall’Istituto Nazionale sul Dramma Antico!

V. Se il teatro greco ci ha lasciato maschere di pazzia, nella figura di Oreste, di rabbia, con Eracle, di letizia con il dio Dioniso… nell’immaginario italiano ci sono altre maschere che rappresentano vizi e virtù degli dei nostri connazionali, anzi, principalmente i vizi… Le maschere della commedia dell’arte… Ma ne parlerò con il nostro Felisi nel prossimo articolo dedicato all’argomento.

G. Io invece vi saluto e vi ricordo il mio articolo dell’anno scorso se una maschera la volete creare!

V. A me ha fatto una super maschera! Ha esagerato un poco sul naso, ma chi mi conosce lo sa che io non disdegno! ;3

Giulia Rossetti e Valerio Angelucci – Niente da Dire

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