Tre domande a Giacomo Zani, parliamo del progetto Mica Macho
Alla Milan Games Week del 2021 si è parlato di inclusività, un grande salto in avanti rispetto agli anni passati. Proprio in occasione di questa fiera siamo riusciti ad intercettare alcune delle personalità che hanno preso il microfono e raccontato le proprie esperienze nel mondo del gaming, ma soprattutto parlando dei loro progetti di attivismo sui social. Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Giacomo Zani dei Mica Macho, un progetto nato su Instagram e che ha l’obiettivo di combattere la mascolinità tossica attraverso le testimonianze degli utenti e la presa di coscienza del privilegio maschile nella società. I cappuccini e le bibite sono pronte e cariche per l’intervista, e anche noi. Attacchiamo il jack del microfono al registratore e si parte!
1. Quando è nato il progetto Mica Macho?
Mica macho è partito nel 2020, ad aprile, partendo dagli scandali di revenge porn, di scambi di materiale non consensuale e intimo, come una risposta e un tentativo degli uomini di fare autocoscienza e di ammettere il proprio privilegio con le proprie difficoltà, e andare a trovare quegli elementi germinali che portano a queste cause. Il revenge porn è fatto da quello che noi vediamo, che emerge, che sono quelle cose esagerate come padri che condividono foto di figlie minorenni; ma in realtà sotto c’è un substrato di persone normalissime che nella loro adolescenza sono cresciute facendolo in maniera normale, senza nemmeno l’intenzione di fare del male.
La nostra volontà è quindi quella di dire che siamo uomini e dobbiamo mettere in discussione degli elementi della nostra identità e del nostro privilegio, sia per il bene delle persone che abbiamo intorno sia per il nostro; infatti, Mica Macho lavora sia sugli elementi di tossicità che l’uomo compie, ma anche su quelli che l’uomo può subite: repressione delle emozioni, uso della forza, etc…
Quali sono gli ostacoli ai quali eravate preparati – da un punto di vista di reazione del pubblico – e quali invece quelli che proprio non vi aspettavate?
Essendo un progetto nato su Instagram eravamo preparati a una resistenza da parte di mondo di un attivismo femminista molto più storico, tradizionale. Ma non lo vedevamo come una cosa negativa. Dopo anni e anni di lotte femministe portate avanti solo da donne, l’entrata in un’ottica femminista di uomini può essere vista come un’invasione di campo; quindi il nostro obiettivo è sempre stato quello di spiegare il più possibile nello specifico come funzionasse la nostra azione, e che fosse sorella e complementare della lotta femminista.
Quello che è successo è che – in realtà – abbiamo avuto reazioni diverse da mondi diversi; nel senso che paradossalmente una certa parte di mondo femminista più tradizionale ci ha accolto benissimo, mentre qualche progetto più legato al mondo dei social del nuovo femminismo è stato più resistente. Insomma, reazioni diverse, ma alla fine ciò che interessa a noi è il pubblico, ed è andata molto bene. La prima crescita è stata sul pubblico femminile, che era già sensibilizzato a queste tematiche, ma piano piano stiamo andando ad aumentare sempre di più la nostra percentuale di pubblico maschile, che è quello a cui vogliamo arrivare. Ora siamo all’incirca in una situazione di parità, quindi siamo molto contenti.
Infatti, anche durante la conferenza parlavate dell’aumento di testimonianze – sia da donne ma soprattutto da parte di uomini – permesso dall’anonimato che possono offrire i social.
Il nostro lavoro si basa molto sulle testimonianze personali, quindi raccogliamo storie vere di persone che ci scrivono; ovviamente cambiamo nome e permettiamo loro l’anonimato. Però, la forza di partire da una storia vera è proprio quella che ti permette di scoprire le carte, di dire che siamo allo stesso tavolo. Partiamo dai racconti di persone normali che raccontano di tossicità subite o agite, e da queste storie proviamo a costruire un percorso che permetta di decostruire (perdonate il gioco di parole) la tossicità del maschile.
Anche perché poi partendo da episodi reali diciamo che educhi le persone e le aiuti a prenderne coscienza, così anche da riconoscerle e agire nel caso in cui ne diventino diretti testimoni.
E soprattutto fai anche in modo che io mi possa rivedere, che è l’altro grosso problema. La barriera che impedisce agli uomini di fare un discorso femminista e che la prima percezione è quella che sia un qualcosa che non li riguardi. Invece, attraverso la percezione personale tantissime persone ci hanno scritto di aver provato le stesse cose, o di aver avuto quei comportamenti e fatto quelle azioni. Questo processo di empatia per noi è fondamentale per riconoscere il problema, perché crea la collettività.
2. Riguardo il tema delle conferenze a cui avete partecipato qui alla Milan Games Week, qual è secondo te il valore del gioco, non solo come tematica dell’inclusività, ma anche per la costruzione dell’identificazione della propria di identità?
L’invito qui alla Milan Games Week è stato inatteso ma molto gradito, al di là che alcuni di noi sono gamers e altri no,l’interesse nel tipo di media e nel tipo di interazione che le persone hanno con questo media e, soprattutto, la vicinanza che ha con una generazione molto giovane – adolescenti e bambini – per noi è fondamentale, perché è lì che si va a costruire lo stereotipo del ruolo di genere e le barriere. Quindi se tu riesci a cambiare quel tipo di rappresentazione, quel tipo di media, allora stai già facendo tanto. Inoltre, e qui rubo le parole di Nicola DeGobbis di Need Games, il gioco dovrebbe essere il mondo più inclusivo possibile, perché è il mondo dell’infanzia, del divertimento, della giocosità, e invece non lo è.
Anche perché è proprio attraverso il gioco che noi, nel momento fondamentale della crescita, impariamo non solo noi stessi, ma anche a rapportarci con il mondo.
Esatto, anche perché poi il gioco mette in campo delle dinamiche di personificazione, quindi io mi rifletto in quello che gioco e ambisco a quello in cui gioco. E dall’altro lato il gioco mi dà la misura – soprattutto ad esempio con il gioco online con persone sconosciute, lontane – mi dà la percezione, la misura, della mia interazione esterna.
3. Cos’è che ti lascia senza niente da dire?
Allora, nella vita io faccio il Brand Strategist, ed è interessante per me vedere come le nuove generazioni vengano raccontate in un certo modo – fluide, inclusive, etc… –e poi, però, quando entri a contatto con il loro mondo vedi che ci sono le stesse dinamiche. Quando io gioco – e qui rientro nella mia vita personale – e becco ragazzini che giocano agli fps, sento il loro linguaggio, il loro modo di esprimere, e ho questa fase dissociativa tra come la generazione nuova viene raccontata e come in realtà è; che non è una cosa né positiva né negativa, ma deve farci riflettere il fatto che noi vediamo questa generazione come super avanzata perché, effettivamente, alcune cose sono cambiate, ma in realtà tantissime altre sono ancora lì.
Ringraziamo Giacomo Zani per l’intervista e auguriamo il meglio a lui e al progetto Mica Macho, potete seguirli su Instagram ed interagire con loro. La foto di copertina ci è stata gentilmente concessa dai Mica Macho ed è stata scattata dal fotografo Imtheph per il Calendario Detox di Le Sex en Rose.
di Ilaria Celli e Damiano D’Agostino
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