Una GOTY sotto l'albero

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Una GOTY sotto l’albero

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Per tutti gli appassionati di videogiochi, la cerimonia dei The Game Awards è un evento molto importante: un appuntamento in cui vengono premiati i giochi migliori dell’anno e che raduna tutti i più grandi esponenti dell’industria e del giornalismo. Una vetrina seguita da migliaia di persone e che è tranquillamente paragonabile alla cerimonia degli Oscar per il cinema. A presentare il gigantesco evento è stato il produttore e giornalista Geoff Keighley, con il pre-show affidato a Sydnee Goodman, presentatrice e giornalista che ha lavorato per anni in IGN.

Purtroppo per noi in Italia, i Game Awards sono difficili da seguire a causa del fuso orario, che costringe gli interessati a fare le ore piccole. Soltanto l’allenamento, l’insonnia e le Redbull sono in grado di tenere gli occhi aperti e la concentrazione alta, non soltanto per seguire l’evento ma per decodificarlo al meglio. Per cogliere quelle sfumature che restituiscono un’immagine attuale dell’industria videoludica. Quest’anno è stato un anno ricco di titoli interessanti, di buoni propositi per il futuro, ma anche di notizie orribili, scandali e inchieste che hanno finalmente portato allo scoperto i problemi di un intero settore.

A luglio, il caso Activision-Blizzard ha scosso il mondo intero, mostrando quanta strada è ancora da percorrere per rendere più inclusivo il medium videoludico e per creare ambienti lavorativi sicuri per tutti, senza distinzioni. La misoginia, la violenza e le discriminazioni sistemiche sono purtroppo diffuse nell’industria dei videogiochi come nell’ambito tech in generale. Difficili da sradicare all’interno di un sistema patriarcale ed esclusivo: il videogioco, per qualcuno, è ancora “cosa da maschi”.

Le aspettative per questa cerimonia dei The Game Awards erano, quindi, abbastanza alte, con il desiderio di una presa di posizione netta, di una condanna verso le discriminazioni perpetrate nelle aziende, con riferimento esplicito ad Activision-Blizzard e ad altre grandi multinazionali. Perché se non si parla di queste tematiche e non si condannano queste dinamiche durante una cerimonia di tale portata, allora si stanno sminuendo; Se non gli si dà spazio durante i Game Awards, l’impressione è che non esistano. Per fortuna ne hanno parlato, ma con molta generalizzazione, condannando ogni violenza in un discorso di pochi secondi. Intanto fuori dal teatro c’era qualche manifestante di A Better ABK e di Raven Softaware (Call of Duty Warzone), sussidiaria che da poco ha visto il licenziamento di tantissime persone che si occupavano del controllo qualità.

The Game Awards

Dopodiché è iniziata la cerimonia e per tutta la sua durata nessun altro accenno è stato fatto sulla questione. Tre ore di spettacolo, di cui almeno la metà di trailer, grandi annunci come il nuovo videogioco di Wonder Woman sviluppato da Monolith, Star Wars Eclipse di Quantic Dream e Senua’s Saga:  Hellblade II di Ninja Theory. C’è stato spazio anche per la musica e le performance di orchestre, Sting, degli Imagine Dragons, di Darren Korb e Ashley Barret che hanno creato un mash-up tra la canzone Build The Wall di Bastion ed Enemy dalla serie animata Arcane. Sul fronte dei premi, solo i principali sono stati consegnati con i giusti tempi, alcuni sono stati assegnati con semplici grafiche a schermo e applausi di circostanza, niente di elaborato. A trovare una Game of The Year sotto l’albero di Natale è stato It Takes Two, il gioco cooperativo diretto da Josef Fares e Hazelight  Studios. La sua eccitazione mentre ritira il premio è qualcosa di unico e genuino, che chiude una cerimonia ricca e dal ritmo serrato, strana e come scritto prima, sofferta.

Finito lo spettacolo, la lattina di RedBull è vuota, la stanchezza comincia a farsi sentire e decodificare quanto visto risultava arduo. Il mattino dopo ci si ferma un attimo per riflettere e ci si rende conto di tantissime, colpevoli, assenze. Ancora non si parla apertamente di crunch, ma si giustificano gli orari improponibili e le paghe ridotte come grande dedizione verso il proprio lavoro. Ancora non si condannando culture aziendali tossiche e discriminatorie. Ancora facciamo come se non fosse successo nulla. Ancora ci ostiniamo a non voler approfondire cosa c’è oltre il videogioco, tanto l’importante e divertirsi. Ancora ci ostiniamo a non far crescere un settore intero, in una costante sindrome di Peter Pan che genera mostri. Ancora, ancora, ancora.

Tra poco l’anno finirà e le feste si porteranno via tutto quanto tra pandori e panettoni, cotechini e lenticchie. Rimandiamo quindi le speranze al prossimo anno, come sempre.

di Damiano  D’Agostino

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