Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei

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Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei

Il Cibo è una delle cose più intime e personali che esistano.
In una società dove tutto ormai è raggiungibile e “a portata”, non è più un solo nutrirsi, ma soddisfare il proprio gusto fino a definire chi si è nel quotidiano.

Pensiamo solo alle infinite battaglie scatenatesi in internet tra carnivori, vegetariani e vegani: princìpi nutritivi contro prìncipi ottusi.
Dopo anni e anni di lotte dai tempi dei forum a tiktok, non è più una questione di aver ragione o torto, l’unico responso possibile è che non importa da che parte tu stia, ci sarà sempre qualcuno pronto a insultare secondo la propria ideologia.
Il cibo è anche questo, un’ideologia.
Assurdo pensare che ci siano ancora 811 milioni di persone nel mondo che soffrono la fame e 690 milioni denutrite.
Senza fare delle banali considerazioni, i numeri parlano chiaro e, quando imbracciamo il fucile del principio culinario, teniamo a mente queste cose di tanto in tanto.
Il relativismo in cui naturalmente ci culliamo, ci previene dall’informarci o anche solo dal pensare che non siamo il centro dell’universo, ma talvolta, va ricordato.

Se è vero che si è ciò che si mangia, è anche vero l’assunto “dimmi come mangi e ti dirò chi sei”. Anche ciò che si pensa del cibo è indicativo di questo “chi sei”. E non solo in funzione a se stessi, ma anche in rapporto ad altre culture.

Al giorno d’oggi la cucina etnica ha sfondato ogni muro, solo i testardi e i chiusi mentali non provano altre cucine e, attenzione, non giudico ciò, ci si può benissimo fermare ai propri confini culinari… tuttavia, rimane il fatto che le possibilità sono tantissime, e ancor più con tutti i servizi di Delivery che ci bombardano di pubblicità con canzonette odiose create per incollarsi in testa.

È doveroso tirare il solito ma utile freno immaginario e notare come sia cambiato il nostro modo di mangiare, anche solo negli ultimi 15 anni.
Chi ricorda i pasti in famiglia con le sole ricette tradizionali con solito e ripetuto piatto tutte le domeniche?
“Ma vi piace tanto!” ripetevano nonne e zie in loop passivo-aggressivo per giustificare che non ci sarebbero state variazioni di alcun tipo fino a Natale… con lo stesso menù di tutti i Natali da quando hai memoria.

Inoltre, come per tutto, al giorno d’oggi la velocità della vita ci porta a voler consumare i pasti in fretta, senza quasi gustarli.
E ciò, ci ha abituato a non gustare, a perdere il piacere della calma dei sapori. Senza parlare del tempo speso a cucinare, sempre più ridotto o relegato ad altri. Certo, con la pandemia e i lockdown, in moltissimi ci si è riscoperti cuochi e amanti della cucina: tutti panificatori, tutti creatori di proprie nuove ricette.
E questo fa bene.
Ma come il #andràtuttobene, anche quest’abitudine sana è ben presto stata risucchiata nel vortice della rinnovata quotidianità.
Un surrogato di precedenti libertà normalizzate nel tentativo di riprendersi indietro una vita che è stata mutilata di alcune parti e, invece di trovare nuovi arti, si cerca solo d’incollarsi male addosso quelli vecchi.
Sì, il cibo è parte di ciò che siamo, e si vede anche nel cibo e nel cucinare questo atteggiamento.

Da italiani, abbiamo una tradizione di legame fortissimo alla cultura culinaria e, di certo, rispetto ad altri popoli cuciniamo ancora moltissimo in casa, apprezziamo il cibo e diamo a esso un peso notevole.
Come spesso amici stranieri mi hanno fatto notare, “gli italiani sono l’unico popolo che a tavola parla sempre di cibo.” Magari nemmeno di  quello che stanno mangiando, ma di quello che arriverà a cena, o ancora, del confronto con quello di una nonna o del tale ristorante.

Il cibo e la cucina ci definiscono, ma una definizione è anche un limite, quindi sì, rimaniamo legati alle nostre tradizioni, a un’identità.
Però, non dimentichiamo che fuori dai nostri confini ci sono mondi interi.

Alessandra “Furibionda” Zanetti

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