Le città e la memoria
Le città invisibili di Calvino è il racconto che Marco Polo fa a Kublai Kan delle città che compongono il suo Impero: i racconti delle città sono i brevi capitoli che compongono le nove sezioni del libro. Ogni sezione ha una cornice narrativa in cui Marco Polo e Kublai Kan parlano tra loro. Le città sono suddivise a loro volta in serie: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città sottili… etc.
Non è un libro con una storia: è più simile alla poesia che alla narrativa. È filosofia, semiotica, riflessione politica e sociale, ma è anche bellezza estetica, contemplazione, architettura.
Il viaggio di Marco Polo non ha un inizio e una fine: non potrebbe averlo, perché è un viaggio che attraversa ugualmente il tempo così come lo spazio. Ma un libro deve avere un inizio e deve avere una fine, una collocazione fisica all’interno di un volume di carta stampata, dei confini metaforici che diano un significato.
Le città invisibili di Italo Calvino, suddivise in queste sezioni che si intrecciano in uno schema accuratamente costruito, hanno un inizio: iniziano con la memoria. Scegliere di cominciare dal passato.
La prima città che Marco Polo racconta è Diomira: città piena di bellezze che “il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città”.
Si incomincia avendo già cominciato, quasi a voler dire che un tempo zero non esiste, che qualcosa sempre già precede l’inizio di ogni nuovo viaggio. Appena ci mettiamo in cammino, subito riconosciamo il nostro passato nella prima città che incontriamo.
Ma Diomira non si esaurisce in questa connessione.
“Ma la proprietà di questa città è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori s’accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano d’aver già vissuto una sera uguale a questa e d’essere stati quella volta felici”.
Il viaggiatore conosce Diomira perché riconosce in essa elementi già visti altrove. Ma chi arriva a Diomira una sera di settembre invidia chi, nel ricordo di ciò che ha già vissuto e di ciò che riconosce, vede una felicità che dal passato giunge fino al presente.
Marco Polo non decide di cominciare solo dal passato. Decide di cominciare a raccontare anche dalla felicità.
Il viaggiatore, dopo questa sera di settembre, si rimette in cammino. “Cavalca lungamente per terreni selvatici e gli viene desiderio d’una città”.
“Finalmente giunge a Isidora”. La seconda città che Marco Polo racconta, un’altra città di memoria.
“Isidora è la città dei suoi sogni”: rispecchia proprio quel desiderio che gli era nato mentre cavalcava. Ma c’è una differenza.
“La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi”.
Giungiamo ai nostri desideri che è già tardi, o forse cambiamo desideri man mano che il viaggio procede: è così che i desideri si trasformano in ricordi. La memoria di ciò che eravamo da giovani, di ciò che sognavamo quando il mondo era diverso ai nostri occhi e noi stessi lo eravamo. Cerchiamo città e vite che rispecchino i nostri desideri e cerchiamo di plasmare la realtà per farla avvicinare il più possibile al modello che abbiamo in testa: ma ci vuole tempo. Il tempo, mentre noi ci impegniamo a raggiungere la felicità (cosa desideriamo se non la felicità?), scorre, e scorrendo ci cambia e cambia ciò che ci sta attorno.
Italo Calvino, ne Le città invisibili, parla di utopie: come si può costruire una società migliore, una città ideale?
Peter Kuon, nel suo saggio Critica e progetto dell’utopia: “Le città invisibili” di Italo Calvino, scrive a proposito di Isidora:
“Certo le utopie sono legate al proprio tempo; questo non significa tuttavia che il sogno della felicità, per citare Bloch, contenga le aspirazioni della propria epoca e di quelle successive espresse in immagini, ma piuttosto che nel momento della sua nascita tale sogno è già superato e può servire alle generazioni future solo come reperto utopico, se non addirittura anti-utopico. Questo vale sia sul piano collettivo, sia su quello individuale: Isidora, la città che un giovane sogna hic et nunc, lo accoglierà, infine, da vecchio, quando il desiderio si sarà trasformato in ricordo. Dietro tale immagine si nasconde l’irresolubile problema di tutti gli utopisti, smaniosi di concretizzare i propri sogni: immaginare una condizione di felicità che superi il singolo individuo e che non debba (come ha sostenuto Skinner) soddisfare gli utopisti in questione o i loro contemporanei, ma piuttosto le persone che realmente la sperimenteranno.”
Torniamo a seguire il viaggiatore nel suo percorso tra le città invisibili dell’Impero: dopo esser passato da Dorotea, città e desiderio, incontra un’altra città della memoria: Zaira. Marco Polo non sa come descrivere a Kublai Kan la città che ha visitato, perché la città è fatta “di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”. Non si può descrivere senza raccontare le vite che si sono intrecciate a Zaira, perché di questo è soprattutto composta.
“Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”.
A volte mi dimentico che Calvino sta parlando di città: sembra che parli di ciò che siamo. Forse qui sta la chiave per comprendere il libro. Non potremmo raccontarci se non partendo da ciò che siamo stati, dal passato che però non è solo parole, ma è contenuto in ogni nostra parte. Il passato è sulla nostra pelle, è dentro di noi.
Il viaggio continua: Anastasia, Tamara. E poi si giunge a Zora, quarta città della memoria.
“Zora, città che chi l’ha vista una volta non può dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un’immagine fuor del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto […]. Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare nessuna nota. […] Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l’ha dimenticata”.
Ecco la bellezza delle città invisibili che Marco Polo attraversa: sembrano farci giungere a una verità e poi la mettono in discussione, per ricordarci la complessità che sta dietro alle nostre vite. Sì, non potremmo forse raccontarci (e raccontare le città) senza dire il nostro passato: ma non possiamo essere solo passato e memoria: il cambiamento è vita. Il cambiamento è il presente, il cambiamento è ciò che porta al futuro. Essere ossessionati dal passato è non vedere ciò che la vita è nel momento in cui siamo.
La prima sezione si chiude e lascia l’ultima città della memoria (la quinta) per la sezione successiva.
Nella cornice narrativa che apre la seconda sezione, Marco Polo e Kublai ci parlano più esplicitamente del passato:
“Quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si trattava del suo passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto.
Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti”.
Andare avanti per ripercorrere anche la strada che ci siamo lasciati alle spalle. Ripercorrerla nei pensieri, per darle nuovi significati man mano che procediamo. È questo che facciamo costantemente. Conosciamo, esploriamo e tutto ciò che di nuovo incontriamo ci permette di ri-definirci con nuove parole. E per definirci (nei continui mutamenti che attraversiamo) abbiamo bisogno di conoscere non solo ciò che siamo, ma anche ciò che non siamo.
“Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza.
Ormai, da quel passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.”
Ed è qua che il passato e il futuro si intrecciano insieme. Viaggiamo per scoprire i passati che non ci appartengono, le persone che non potremo mai essere. Cambiare – vivere – significa lasciare qualcosa per sempre indietro, qualcos’altro fuori. Per far spazio a tante cose.
Inizia la seconda sezione con l’ultima città della memoria, Maurilia.
“A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima. […] Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole precise […] comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era.
[…] Le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa”.
Il percorso nelle città della memoria si conclude con un confronto. Ma si tratta davvero di un confronto? O il cambiamento è stato tale da aver prodotto due città diverse, talmente lontane che non possono nemmeno essere confrontate?
È chiaro anche qui che si parla di utopia: di come il cambiamento spesso porti a una nostalgia dei vecchi tempi andati. I vecchi tempi: la vecchia Maurilia in cui, certamente, qualcuno sognava una Maurilia diversa. Ma ci si è avvicinati alla Maurilia che sognavano gli abitanti del passato? O ci si è allontanati ancora di più da quel desiderio?
Le risposte sono tante. Perché è questo che Le città invisibili dona: tante domande e tante risposte diverse, a volte contraddittorie. È un viaggio meraviglioso, denso, che ci fa sentire insicuri e senza punti di riferimento, ma che insieme ci permette di scavare a fondo in ciò che siamo.
Siamo città.
Imbevuti di ricordi, desideri e passato.
Tanto quanto siamo costruiti di paure, legami, futuro.
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Illustrazioni di Karina Puente.
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