Ghostbusters: Legacy, una questione di famiglia

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Ghostbusters: Legacy, una questione di famiglia

La seguente recensione è senza spoiler

Non è facile recensire con lucidità e distacco Ghostbusters: Legacy, ma farò del mio meglio. Jason Reitman ha accettato una classica sfida impossibile: dopo trentasette anni e un reboot che ha rischiato di carbonizzare la credibilità del marchio, ha deciso di “resuscitare” gli Acchiappafantasmi partendo proprio dall’elemento narrativo che, virtualmente, rendeva pressoché impensabile realizzare un nuovo film: la morte di Egon. Harold Ramis, indimenticabile interprete del dottor Spengler, è scomparso nel 2014. I Ghostbusters senza il loro Egon? Assurdo. E invece… Invece non solo Jason Reitman e Gil Kenan hanno scritto una sceneggiatura che, partendo da questa tragica dipartita, esplora nuove direzioni strizzando l’occhio al futuro, ma hanno reso Egon assolutamente, poderosamente centrale al dipanarsi dell’intera vicenda. Un recap della trama senza spoiler.

Callie (Carrie Coon), madre single dei giovanissimi Phoebe (Mckenna Grace) e Trevor (Finn Wolfhard) è obbligata a trasferirsi nella minuscola cittadina di Summerville per prendere possesso della casa lasciatale in eredità dal padre defunti da poco. Qui la famiglia scoprirà il proprio profondo legame col mito degli Acchiappafantasmi, mentre una minaccia spettrale si prepara a riemergere dalle viscere della terra per distruggere il mondo. Ghostbusters: Legacy riesce a coniugare l’horror e la commedia con la stessa naturalezza dei suoi predecessori. Naturalmente parliamo di horror contemporaneo e di commedia contemporanea: nel primo Ghostbusters si rideva diversamente e ci si spaventava diversamente. Erano gli Anni ‘80, baby!

A questi due elementi, viene aggiunto un terzo che nei film originali mancava: la malinconia. Non dimentichiamo che il presupposto della trama è la morte di Egon. Ed è straordinario notare come la scrittura di Reitman e Kenan salti da una gag a un jump-scare a una lacrima ben piazzata senza che mai un mood vada a inficiare gli altri: tutte le corde sono suonate con maestria ed equilibrio, le melodie sono distinte e indimenticabili anche nelle dissonanze. E parlando di melodie, una menzione a parte la merita il commento musicale. Rob Simonsen ha ripreso per filo e per segno i temi e le orchestrazioni che Elmer Bernstein aveva composto per il primo film, indulgendo quanto basta al proprio stile personale. La sensazione è a tratti straniante ma tutt’altro che spiacevole: crea una continuità sensoriale col primo film ed è la vera chiave per ottenere lo scopo principale di Jason Reitman: riportare a casa i fan di Ghostbusters che per più di trent’anni si sono chiesti che fine avessero fatto i loro beniamini.

Ghostbusters Legacy

Se dovessi descrivere in breve “Legacy”, parlerei di un fanfilm realizzato con mezzi straordinari e con un grandissimo regista al timone. Questo film trasuda amore da ogni fotogramma, è veramente un affare di famiglia, e omaggia il mito dei Ghostbusters in ogni sua sfaccettatura: dai film alla serie animata passando per i giocattoli della Kenner. Gioca con l’originale, lo cita esplicitamente e poi rimescola le carte in tavola. Ve ne accorgerete da un certo punto in poi: Jason Reitman si è divertito a ripresentare una serie di situazioni estremamente vicine a quelle del primo film. E proprio mentre si è sul punto di pensare “Vabbe’, ma questo l’ho già visto…” lui ZAK! Cambia improvvisamente direzione e ci si ritrova ad appassionarsi a iterazioni che non ci si era mai immaginati.

Il tutto coadiuvato dalla bravura del cast. Ogni singolo interprete (e sì, parliamo anche dei “vecchietti”) ha l’aria di essersela goduta un mondo, su quel set. McKenna Grace è di una bravura commovente. È riuscita a fare suoi gli sguardi, le movenze, perfino la voce del compianto Harold Ramis. Logan Kim, qui al suo esordio, si prospetta come un futuro genio comico di Hollywood. Finn Wolfhard è meravigliosamente a suo agio nei panni dello scanzonato Trevor, un po’ il “Venkman” della situazione, se volete. E Celeste O’Connor porta al team una concretezza e un occhio disincantato che è il contrappunto perfetto al coinvolgimento degli altri. Paul Rudd si conferma straordinario nel ruolo del professore di scienze “sui generis”, e Carrie Coon ha una profondità e una dolcezza (anche nei momenti più “duri”) che rendono impossibile non amarla.

Aggiungo, senza fare spoiler, che in un film intimamente citazionista come questo, Jason Reitman ha osato. Ha fatto scelte molto precise, alcune audaci al limite dell’avventatezza. Su alcune questioni narrative si è mosso su un filo sottilissimo: mezzo passo falso e il tutto sarebbe sprofondato in una pagliacciata grottesca e di pessimo gusto. Il risultato, invece, è elegante, commovente, giustissimo. Insomma, Ghostbusters: Legacy è il film che, senza saperlo, i fan degli Acchiappafantasmi hanno aspettato per quasi quarant’anni, e ci auguriamo di cuore che sia solo l’inizio.

Due note importantissime:
1. Rimanete fino alla fine dei titoli di coda;
2. Non incrociate i flussi.

di Edoardo Stoppacciaro

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