Onigiri Calibro 38

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Andrà tutto bene

Andrà tutto bene ora. Perché? Perché io sono qui!

 

Se avete familiarità con “Boku no hero academia” avrete riconosciuto immediatamente la citazione.
Se invece non sapete di cosa “parlo”, si tratta della frase d’entrata di uno dei personaggi di rilievo della serie. Non il protagonista, il suo mentore, la sua figura di riferimento.
È una storia di super poteri, di eroi, di crescita. Ma non è dell’anime in sé che mi interessa raccontare, quanto del ruolo di All Might, anzi no, del ruolo di tutti le guide, i maestri, che vediamo nelle serie… e nella vita reale.
Lo spettatore ne scopre i punti deboli, i problemi, i pensieri, mentre invece il suo pupillo ne rimane all’oscuro, continuando ad avvolgerlo in un’aura di perfezione.
E anche quando riesce a sbirciare dietro il velo, a scorgere la punta dell’iceberg rimane sempre convinto che, alla fine, il suo maestro ce la farà, perché non potrebbe essere altrimenti.
Perché altrimenti ogni cosa in cui crede finirebbe distrutta e irrecuperabile.

Siamo tutti un po’ persi

I personaggi principali, giovani in crescita, adulti persi, cercano una roccia cui aggrapparsi, un faro che indichi la via.
Siamo tutti persi. A qualsiasi età, in qualsiasi condizione, in qualsiasi momento.
Cerchiamo sicurezza o qualcuno che ci dica che andrà tutto bene.
Ma anche qualcuno che ci insegni ad essere noi stessi, un sé stesso migliore.

Allora cerchiamo una figura di spicco, un eroe a cui ispirarci.
Ma anche gli eroi sono esseri umani.

Perché a volte salvare una vita o mettere a rischio la propria per sventare un massacro, è più facile che riuscire a far capire a una giovane mente la differenza tra giusto e sbagliato, far capire che bene e male sono due facce della stessa medaglia e che la riga che le divide è davvero labile.
Neanche gli eroi, in alcune occasioni, sanno cosa fare, ma sanno fingere meglio di noi.
Ma ci sono volte in cui si pensa che ci si debba spogliare del proprio essere “solo” una persona per incanalare i sogni e le speranze di altri.

Insegnare è difficile

Insegnare è difficile perché richiede di saper creare una connessione, richiede empatia, pazienza e un immenso coraggio, quello di mettersi a disposizione e rendersi vulnerabili ma allo stesso tempo avere una gran forza. Comprendere, non giudicare, saper attendere, sono qualità difficilissime da mettere in campo tutte insieme.

Bisogna saper dire “Andrà tutto bene… ma anche no” per poter spiegare come superare i momenti difficili.
“Io sono qui” e continuare dicendo che finché ci sarò farò di tutto per aiutarti a diventare migliore, ma ad un certo punto non ci sarò più e tu dovrai farcela da sol*.
Il mentore, l’insegnante, la guida, deve far comprendere che il sacrificio, la fatica e l’impegno come quando i nostri genitori tentavano di farci capire che le verdure ci avrebbero fatto bene e che no non potevamo vivere di solo cioccolato, a dispetto di ciò che volevano farci credere le nostra papille gustative.

Anche nelle nostre scuole

E che che se ne dica, nelle nostre scuole ci sono numerosi All Might, Kakashi, Anzai, Izumi e Genkai, a volte sono nascosti, a volte invece sono conosciuti da tutti, ma sono lì e ogni anno ricominciano e combattono mese dopo mese.
Combattono contro l’istituzione che spesso non li aiuta, combattono contro la mancanza di fondi, la mancanza di idee, la mancanza di sogni.
Contro altri insegnanti che hanno gettato la spugna.
Combattono contro studenti che non vogliono credere che ci sia qualcuno lì per loro.

Dovrebbero essere anche loro gli eroi a cui guardare.
Quelli da cui dovremmo tutti davvero imparare.

Avete trovato il vostro, durante il percorso scolastico?
Io sì, si chiama Roberto Tasca.

Love, Monigiri

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