Covid-19, cosa resterà di noi? (Letteralmente)

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Covid-19, cosa resterà di noi? (Letteralmente)

Durante il mese di gennaio 2020, l’Italia scopriva lentamente di essere entrata in contatto con un virus che ha generato un profondo cambiamento nella società e scatenato una pandemia che tutt’ora affligge l’Europa e buona parte del mondo. Il Covid-19 ha avuto un profondo impatto sull’esistenza di moltissime persone, sconvolgendone la vita e, spesso, provocando la scomparsa di molti cari.

Le immagini degli effetti di questa malattia sono ancora molto vivide nella nostra memoria. Come si possono dimenticare le sanguinose lotte al supermercato per accaparrarsi l’ultimo pezzetto di lievito di birra? Mi sono talvolta interrogato su come questo periodo verrà esaminato dai nostri posteri, generalmente quando non trovavo più carta igienica sugli scaffali. Gli storici sicuramente avranno un’enorme mole di documenti da spulciare, leggere, ascoltare ed elaborare; ma gli archeologi a quale dato materiale potranno far riferimento quando vorranno analizzare questo periodo? Sicuramente, la presenza delle mascherine sarà un marker estremamente significativo ma, immaginando l’assenza di questo indicatore, si farà ancora una volta riferimento a ciò che di noi resiste più a lungo dopo la nostra dipartita: il nostro apparato scheletrico, o più affettuosamente, le nostre ossa (la cronologia internet si spera che la puliate regolarmente).

Col tempo, si è sviluppata una scienza che ha fatto dello studio delle malattie e dei traumi del passato il suo principale oggetto di studi: la paleopatologia. Questo termine compare per la prima volta nel XX secolo, nonostante questa disciplina fosse largamente praticata già da tempo immemore. D’altronde, la passione verso lo scheletro umano e le patologie che lo colpiscono sono antiche quanto la nostra stessa società. Davvero!

La paleopatologia, dunque, si occupa di interrogare i resti dei nostri antenati, siano essi ossa o eventuali altri tessuti conservati come mummie o corpi delle torbiere (casi interessanti nei quali una persona immersa per troppo tempo in acqua non si è più risvegliata e si è ritrovata la pelle dura come il cuoio di un pallone da calcio). Valutare, quindi, le condizioni del soggetto al tempo della sua morte tramite un’analisi medica, permette di stabilire il sesso e l’età del defunto, eventuali patologie o difetti genetici e, talvolta, perfino stabilire la causa del decesso nonché, in casi eccezionali, anche se è guarito da eventuali traumi (quelli emotivi però non contano).

Una malattia che ha accompagnato l’uomo durante tutta la sua storia, e che continua ad essere ampiamente studiata vista la sua rilevanza e pericolosità, è la tubercolosi. Questa malattia lascia delle tracce evidenti sulle ossa in diverse forme, tra le quali le caratteristiche alterazioni alla spina dorsale che sono poi causa di lesioni alle vertebre e di conseguenti deformazioni. È stato, dunque, possibile riconoscere gli effetti della tubercolosi in diversi contesti del passato, permettendo di riscontrare la presenza di questa malattia nel bacino mediterraneo più di 8000 anni fa, e attestata in Liguria nel 6000 A.C. Non solo, antiche evidenze di tubercolosi sono state riscontrate in diversi altri luoghi, tra i quali la Cina durante la cultura Songze (3900 – 3200A.C.),  e nel Perù precolombiano, in questo caso in un periodo molto più recente, intorno al 300 D.C.

E dunque, in che modo la paleopatologia potrà aiutare a individuare le tracce di Covid-19? Alcuni studi hanno scovato segni di questo virus all’interno del midollo di alcuni pazienti; tuttavia, non sempre è possibile estrarre il DNA dai i tessuti molli dov’è contenuto e, sottoterra, queste parti sono le prime a scomparire in quanto maggiormente soggette all’azione di animali, batteri e “tremors”, quando presenti. Dunque, diverse persone si sono ingegnate e sono riuscite a identificare ed estrarre tracce di colera da alcune sepolture umane del XIX secolo in Argentina. Ora, sento già i colleghi che mi rimproverano, facendomi notare che la proliferazione batterica e quella di un virus sono assolutamente differenti e, prima che mi mettano tre metri sottoterra a fare da futuro esempio di decomposizione, ci tengo a dire che il mio vuole essere un semplice augurio per il futuro sviluppo di questa metodologia e per l’avanzamento tecnologico in questo campo.

Articolo di Marco Padovan
Illustrazione di Camilla Fasola

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