Capitolo 4 – L’IMPREVISTO

Reveal more

Capitolo 4 – L’IMPREVISTO

Sanctius entrò alla Tana del Lupo a passo svelto eppure, come ogni volta, l’atmosfera all’interno del locale lo obbligò a rallentare. Quel luogo raccontava una storia che lui non si sentiva pronto ad ascoltare, non fino in fondo.
Si sedette al bancone del bar, ad un paio di sgabelli da due giovani vampire intente a bere dei surrogati travestiti da cocktail. Anche un barista ruvido come Jack Seward si era dovuto abbassare alle dure regole del mercato. Lo aveva fatto nell’unico modo di affrontare le cose che gli umani sembravano conoscere: di pancia e senza pensarci troppo.

«Dov’è Abe?» chiese Jack, senza salutare.
«A casa.» rispose Sanctius. «Puoi prepararmi ciò che prende di solito?»
L’uomo dietro al bancone si avvicinò al suo volto. Il chiacchiericcio delle vampire si interruppe.
«Non mi convinci, Polidori.» Jack si abbassò di qualche centimetro per poterlo guardare dritto negli occhi. «Cosa vuoi da Abraham?»
«Anche tu non mi convinci, sei troppo umano per essere stato convertito qualche giorno fa. Il tuo foglio diceva così, almeno… Problemi allo sportello?»
Entrambi rimasero scossi da quelle parole. Jack strinse le dita al bancone fino a sentire dolore. Colui che le aveva pronunciate, invece, non sembrava capacitarsi di quella inutile ondata di coraggio. Non era il caso di sprecarlo, quel giorno, non con quell’umano. Dopo qualche secondo di silenzio, il barista tornò alla cassa, aprì il cassetto e trovò l’invito scaduto dell’Agenzia di Conversione. Lo prese in mano e lo portò davanti al suo fastidioso avventore.

«Come facevi a sapere di questo?»
«Il signor Van Helsing mi chiede di verificare quotidianamente i numeri dei convertiti. Non sempre mi fermo a leggere i nomi, ma il tuo ha attirato la mia attenzione. Lui non lo sa.» si affrettò ad aggiungere Sanctius, già un po’ meno sicuro di sé di qualche istante prima. «Ora puoi preparare il mio ordine?»
«Non prima di aver chiarito chi sei tu.»
Sanctius alzò le mani, in segno di resa.
«Sono un vampiro come tanti altri.» rispose.

La notizia provocò la reazione di una delle due vampire che sbuffò. Non era la prima volta che qualcuno perdeva interesse su di lui sentendo pronunciare quelle parole.
Jack scosse la testa e si allontanò, finalmente diretto alla cucina.
Le giovani vampire lo seguirono con lo sguardo e Sanctius riuscì a malapena a controllarsi. Era sempre stato così, fin dalla Salvezza: ad un certo punto della loro vita, le vampire provavano una forte attrazione per gli umani. Seppur molto più deboli e mortali, i giovani umani avevano avuto da sempre una sorta di campo magnetico intorno a loro, pericoloso per entrambe le specie, anche in quel momento quando l’unico cacciatore rimasto era il suo decrepito capo.
Soppesò l’idea di alzarsi e andare ad informarle che l’unione tra razze creava solo morte e distruzione. Lo avrebbe fatto con dovizia di particolari, senza tralasciare la parte più cruenta, la descrizione precisa e dettagliata della condanna a morte che le avrebbe attese, come era successo a sua madre. Colpevole solo di aver voluto amare un umano, colpevole solo di aver lasciato vivere il frutto abominevole del loro amore.

Una delle due vampire incrociò il suo sguardo, lo studiò per qualche secondo. I più perspicaci lo notavano subito, che Sanctius Polidori non era un vampiro ordinario. Nessuno però si era mai permesso di ipotizzare un’origine così unica e dannata. Per qualche motivo, il vecchio Abraham non solo non aveva mai fatto riferimento al suo aspetto, ma sembrava ignorare completamente la possibilità che gli umani e i vampiri potessero mischiarsi e creare dei bastardi. Se solo avesse avuto il dubbio della sua esistenza, in quel giorno di pioggia non avrebbe preso solo la vita di sua madre. Aveva fatto l’errore più grande della sua vita: lasciarlo vivo. Quell’uomo doveva morire.
«E’ pronto” grugnì Jack, evidentemente non più così propenso a chiacchierare. «Metto sul conto?»
Sanctius prese dalla tasca delle banconote stropicciate e le appoggiò sul bancone.
«Non voglio avere debiti con te, Seward.»

L’ampolla tintinnava nella sua tasca da un paio di giorni. Sanctius Polidori era una persona paziente: aveva passato buona parte della sua infanzia in una casa famiglia per vampiri, una sorta di piccolo mondo chiuso in cui gli avevano insegnato che i suoi genitori erano morti per il bene superiore. Sanctius aveva ascoltato ogni lezione e aveva cercato di imparare il più possibile, nella speranza di trovare una falla nel sistema. Aveva scoperto la sua verità personale in una notte d’inverno, quando un sogno più realistico degli altri gli aveva fatto ricordare di quella balestra e quella freccia e quegli occhi maledetti che avrebbe incontrato di nuovo, per l’ultima volta.

Arrivato a pochi isolati dalla casa del vecchio Abraham, si rese subito conto che qualcosa non andava: il suono degli allarmi rompeva l’aria come un concerto stonato. Nessuno dei vicini si era affacciato, forse troppo spaventato o forse abituato alle stranezze del cacciatore di vampiri dell’ultima casa a destra.
Sanctius allungò il passo e, arrivato al vialetto, scavalcò la recinzione, facendo attenzione a saltare tutti i punti in cui erano fissate le trappole. La sua danza si concluse davanti alla porta d’ingresso socchiusa su cui non sembrava ci fosse alcun segno di effrazione. Esitò un istante, poi mise la mano sulla maniglia e varcò la soglia, affrettandosi subito a spegnere gli allarmi.

«Signor Van Helsing?» chiese. Alle sue orecchie abituate al caos, quel silenzio sembrò assordante. «Abraham?»
Appoggiò il pranzo sul bancone della cucina e si tastò la tasca destra dei pantaloni, facendo passare tra le dita la piccola ampolla di veleno che avrebbe messo la parola fine a quella terribile storia. Tornò in corridoio, diretto verso il salotto.
Un suono gutturale arrivò da quella stanza. Sanctius vi entrò e venne immediatamente scaraventato a terra da un corpo che gli cadde addosso. Il volto del vecchio Abraham gli batté su una clavicola e dal suo naso uscì un fiotto di sangue. Sanctius cercò di liberarsi, ottenendo solo dei rantolii sommersi dall’uomo che si divincolava colpito da tremiti incontrollati. Il ragazzo fece un ultimo sforzo e sentì i loro corpi scricchiolare.

«Signor Van Helsing” lo chiamò ancora una volta Sanctius, cercando di far rinsavire il suo capo, troppo agitato per poter collaborare. «Stia fermo. Non riesco a sollevarla se continua a muoversi.»
Sentite quelle parole, il vecchio si voltò verso di lui.
«E’ questa, la fine di tutto?» gli chiese con lo sguardo spiritato. «E’ questo quello che hanno visto gli altri?»

Le sue spalle persero vigore e Sanctius finalmente riuscì a sollevarsi e a trascinarlo lungo una delle pareti.
L’uomo sembrava malconcio, eppure il suo corpo non aveva alcun segno di violenza; ciò che era certo era che il suo assistente non era l’unica persona a volere Abraham Van Helsing morto.
Finalmente libero, Sanctius fece per alzarsi; l’ampolla nella sua tasca destra cadde a terra e rotolò verso l’uscita della stanza. La seguì caracollare con un suono regolare, fino a sbattere contro un paio di consunti anfibi in pelle.
«Che cosa sta succedendo qui?» chiese il proprietario di quegli stivali.
Jack Seward accolse il suo sguardo con un paletto di frassino tra le mani.

Testo: Silvia POCHETTI
Copertina: Lorenzo DUINA
Logo: Elia FELISI

Lascia un commento

Previous post Inno allo sport
Next post Non sapevo di amare lo Sport