Il Capitano, il Re e il Presidente
Finali di calcio come quelle di questi Europei, a dispetto del risultato, mi portano sempre alla memoria un altro campionato, anche se forse non per le ragioni che accomunano tutti gli appassionati di calcio. È sempre strano per me pensare che uno dei momenti in cui ho sentito di appartenere a qualcosa, coincida con un evento così fortemente rappresentativo, e nel contempo così distante dalle mie preferenze come i mondiali di calcio del 1982.
Tra la fine degli anni ’70 e primi anni ’80 ero ancora molto lontano da quella specifica visione di me, che in seguito mi avrebbe permesso di dare un nome alle mie passioni. In quegli anni molte delle cose che mi accomunano al resto della redazione di NDD erano agli albori, mentre alcune altre che non mi interessavano, dominavano sul resto. Una di queste era il calcio. Premetto che non mi è mai piaciuto e che non ci ho mai trovato nulla di affascinante (scusa Stovtok). Bisogna però dire che all’epoca, più innocenti e meno influenzati dai social network (forse perché non esistevano), eravamo anche più aperti di vedute. Non eri considerato strano se non ti piaceva il calcio. Era solo strano che non ti piacesse.
Sottile ma sostanziale differenza.
Indelebile il ricordo di quel compagno di scuola che professava le virtù e la bellezza del gioco del calcio al fine di convincerci a entrare nella medesima associazione calcistica cui era iscritto lui. L’equivalente odierno sarebbe un fan di Games of Thrones che cerca di spiegare a chi non ama i fantasy che GOT non è solo un fantasy.
Milanista da parte di madre e Juventino da parte di padre, da piccolo volevo quello che vogliono tutti i bambini; compiacere le mie figure adulte di riferimento. Decisi quindi di tendere la mano alla fede Juventina, mentre mio fratello fece lo stesso con quella Milanista. La cosa veniva naturalmente vissuta con totale assenza di oggettività e un pizzico di scherno per le rispettive sconfitte. Anche se il conflitto della botte durò parecchio tempo. Da piccolo abitavo fuori Milano e la nostra proprietà consisteva in un appezzamento di terra piuttosto grande. Da un lato casa nostra e dall’altro casa dei nonni materni. In mezzo un enorme giardino. In centro al giardino un salice piangente. Sotto il salice, appoggiato al tronco, una vecchia botte convertita a tavolino. Una mattina di primavera, al nostro risveglio, scoprimmo che la botte era stata dipinta a strisce nere e bianche.
Mio nonno (milanista) non la prese benissimo, ma accettò sportivamente lo scherzo. Tanto la notte stessa avrebbe ridipinto la botte a strisce nere e rosse. Così ebbe inizio un bizzarro conflitto che andò avanti per giorni. Di tanto in tanto, di notte, mio nonno o mio padre uscivano di nascosto per dipingere la botte dei colori della propria squadra di calcio. Nel frattempo i mondiali stavano per concludersi e l’Italia era ormai arrivata ad una agognata e sofferente finale. Non proprio priva di critiche per via di alcune delle sconfitte subite o per la scelta dei giocatori e diverse altre cose che misero a dura prova l’operato del mitico Bearzot. A casa era tempo di seppellire il pennello di guerra. L’Italia era in finale e niente altro contava. Era il momento di tornare a essere uniti. Venne trovato un compromesso e la botte fu lasciata per metà di un colore e metà dell’altro.
Non è un caso se i mondiali di calcio del 1982 vengono ricordati con tanto fervore. Innanzitutto furono i primi a cui parteciparono ventiquattro squadre invece delle solite sedici, nonché l’unico ospitato da una sola nazione, la Spagna. Indimenticabile la partecipazione a sorpresa del presidente Sandro Pertini, seduto sugli spalti accanto al Re di Spagna, Juan Carlos.
Era il luglio di un’estate perfetta. Dalle finestre aperte giungeva la voce di Nando Martellini che faceva la telecronaca in diretta della partita. Per ogni azione che poteva portare ad un goal, o fallo, o un calcio di punizione (a quel punto bastava davvero poco a infiammare gli animi), le urla di un intero paese rompevano il silenzio. Fino al momento in cui Martellini non pronunciò la storica frase.
Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finita! Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo!
C’era stato qualcosa di magico in quei mondiali di calcio. I nostri genitori e i nostri nonni erano quelli che l’ultima vittoria, quella del ’38, la ricordavano bene. Per averla vista o per averla vissuta attraverso i ricordi dei loro genitori. Una specie di memoria collettiva e ancestrale che ci spingeva a restare uniti.
Mi duole ammetterlo, ma in tempi di pace, niente fa sentire unito un paese come un mondiale di calcio.
Fu così che un Capitano, affiancato dal Presidente della sua nazione, ricevette la coppa del mondo da un Re.
Ditemi voi se non c’è della magia in una cosa come questa.
Alessandro Felisi – Niente Da Dire
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