Estate italiana – Editoriale
L’estate italiana è un vero e proprio tormentone che si ripete, anno dopo anno, fondando il nostro stesso concetto di estate. E di italiano.
Certo, esistono delle differenze non da poco: c’è chi ha la casa al mare, quella in cui passava l’estate coi nonni, e che ora rivede vuota e solo per una settimana l’anno, perché le ferie non sono più come un tempo, lunghi periodi di vita altrove. C’è chi passa l’estate tra le strade roventi di una grande città, a lavorare lì dove, da piccolo, attendeva che il tempo passasse per ricominciare a settembre la vita vera.
Ci sono piccole tradizioni tra amici: mangiare il gelato facendo avanti e indietro per il lungomare o per la via principale del paesino. Passare davanti all’oratorio o al centro estivo – incubo o ricordo piacevole di molti di noi – e pensare all’infanzia. L’estate è, per molti, infanzia. Perché da piccoli l’estate la vivevamo come una lunga pausa, un tempo sospeso, un momento unico dell’anno e così lungo che si poteva dividere in fasi.
A giugno, che non facevi in tempo a finire la scuola che già avevi chi ti diceva di cominciare i compiti per portarti avanti (ma chi lo faceva?). Luglio, poi, il mese pieno dell’estate, quando alcuni cominciavano a partire, altri restavano, e tra chi restava e chi partiva si creavano nuovi legami, nuove occasioni di essere noi stessi o diversi da come eravamo. Agosto, esplosione di estate, timore o gioia per settembre che si avvicina, caldo frizzante sulla pelle.
Estate era sperimentare un po’ di indipendenza, che ora da adulti ci manca, perché, costretti a esserlo sempre, non ci ricordiamo più l’ebbrezza di quella nuova sensazione.
L’estate italiana è un tormentone fatto di sedie bianche di plastica per le vie, lamentele sul caldo, voglia di mare, leggerezza, noia, impazienza, desiderio di fuggire. Creme solari dimenticate nello zaino, spellarsi a vicenda nelle piazze, fare a gara per chi si abbronza di più. Le canzoni che non sopporti e che risuonano ad ogni bar, non riuscire a dormire perché i ragazzini fanno casino sotto la finestra, rimanere sola mentre tutti si divertono in vacanza, a chiederti perché la tua vita è così diversa dalla loro.
L’estate è avere il tempo per leggere le tue saghe fantasy preferite, per fare i recap dei film che vedevi da bambino. Andare al cinema all’aperto dimenticandoti, ogni anno, del fastidio che danno le zanzare. Le giostre, le sale-giochi, le passeggiate in montagna, la noia che ti fa chiedere quale senso ha l’esistenza, che tutto l’anno desideri l’estate e poi questa arriva e tu non hai voglia di far niente. I primi amori, gli ultimi amori, le vacanze con chi ami e quelle in cui ti rendi conto che non vi amate più. Il “vietato tuffarsi da bordo piscina”, le biciclettate al parco sotto casa. Le serate col calcio balilla, le partite a beach volley, l’imbarazzo di non saper fare nessuna delle cose tipiche dell’estate italiana.
Quest’anno vogliamo parlare dell’estate italiana senza pensare a ciò che non possiamo vivere e a ciò che abbiamo perso. Siamo stanchi e vorremmo lasciarci andare, consapevoli di non poterlo fare: bisogna resistere, chiedere ancora a noi stessi attenzione, pazienza, cautela. C’è ancora paura, c’è ancora perdita e sappiamo che le cose sono diverse da allora.
Ma, per un momento, affacciandoci alla nostra finestra da cui entra solo la calura, ascoltando i rumori della tipica estate italiana, ripensiamo a quei tempi, sentiamoci bambini, sogniamo una gita al mare. E magari, perché no, usciamo, andiamo sotto casa di un amico, citofoniamo e chiediamogli se gli va di fare un giro.
Come ai vecchi tempi: ci si incontra in piazzetta alle nove.
Viola Sanguinetti
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